Sindacati USA e Amazon. Un rapporto complesso…

Il mondo Amazon è stato sempre posto sotto la lente di ingrandimento dei sindacati in ogni Paese. Al di là del fatto acclarato che le multinazionali, spesso per principio, provocano una diffidenza non sempre giustificata, l’azienda di Seattle, per la sua dimensione e per le problematiche che innesca muove interessi e attenzioni particolari. Amazon nel 2024, nel mondo, ha raggiunto 1.521.000 dipendenti tra tempo pieno e part-time. In Europa sfiora i 150.000 e in Italia arriva a 20.000 collaboratori. Anche per questo fa notizia quando in USA in particolare, o in altre parti del mondo emergono, indipendentemente dalla natura del contendere,  problematiche sindacali.

In questi giorni, agli onori della cronaca, arrivano i lavoratori del Philly Whole Foods Market nel centro di Philadelphia, uno dei negozi della catena di proprietà di Amazon, che il 27 gennaio 2025 voteranno  per decidere se aderire alla United Food and Commercial Workers International Union, secondo un avviso pubblicato il 5 dicembre dal National Labour Relations Board. Se i lavoratori scegliessero di aderire  all’UFCW, il punto vendita  di Philadelphia, diventerebbe la prima sede di Whole Foods sindacalizzata negli Stati Uniti. L’UFCW Local 1776 rappresenta i lavoratori dello stato della Pennsylvania per gli United Food and Commercial Workers. La maggior parte dei suoi membri lavora nei supermercati (il numero 1776 si riferisce all’anno in cui la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti fu redatta a Philadelphia).

Nel 2018, a pochi mesi dall’acquisizione da parte di Amazon, un gruppo di lavoratori di Whole Foods aveva inviato un’e-mail a quasi tutti i dipendenti del retailer esortandoli alla sindacalizzazione chiedendo l’istituzione di un comitato “interregionale” per affrontare le lamentele dei lavoratori nei confronti dell’azienda. I membri del personale all’epoca affermavano di non essere soddisfatti dei compensi e benefici, erano preoccupati per i licenziamenti in corso e temevano che questi problemi sarebbero peggiorati sotto la proprietà di Amazon. Non se ne è poi fatto nulla, praticamente  fino ad oggi.

In Amazon, il primo magazzino logistico è stato sindacalizzato nel 2022. Gli impiegati della sede di New York hanno votato a favore  nei 27 anni di storia del gigante dell’e-commerce. Non è stata una vittoria schiacciante, 2.654 voti contro 2.131, ma da quel momento  i circa 8.000 lavoratori del magazzino di Staten Island si sono potuti iscriversi alla prima Amazon Labour Union. Tutto è nato da Chris Smalls, un ex impiegato di Amazon licenziato in tronco a marzo del 2020 per aver organizzato una protesta contro l’assenza di misure anti-Covid nel magazzino di Staten Island. Leggi tutto “Sindacati USA e Amazon. Un rapporto complesso…”

Ventiquattro associazioni datoriali (insieme ai tre sindacati confederali) rinnovano il CCNL della logistica.

Venerdì 6 dicembre 2024, le Organizzazioni Sindacali FILT CGIL, FIT CISL e UILTRASPORTI hanno siglato con le 24 associazioni datoriali (tra cui Assologistica, e Fedit assistite da Confetra) l’ipotesi di rinnovo del CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, scaduto da 9 nove mesi. Il nuovo contratto interessa circa un milione di lavoratori e durerà fino al 31 dicembre 2027. Un risultato atteso nel contesto dato, pur in un  comparto attraversato da contraddizioni che rischiano comunque di non risolversi con la firma di questo testo e di contaminare sempre di più i settori per i quali la logistica rappresenta uno snodo decisivo.

Purtroppo la presenza al tavolo negoziale di ben 24 associazioni datoriali, se da un lato contribuisce ad identificare regole e costi comuni dall’altro rinvia i problemi più volte denunciati alla contrattazione di secondo livello, laddove è presente. Qualcosa sul governo del mercato del lavoro però c’è. Sulla percentuale dei lavoratori assunti con contratti atipici (tempo determinato, somministrazione, tempo parziale) rispetto ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato pur mitigata da una deroga rispetto alla percentuale in fase di start up per i primi due anni di avvio della nuova attività lavorativa, così come sulla gestione degli appalti e, più in generale, sulle esternalizzazioni. Nulla di rivoluzionario ma una presa d’atto dell’importanza  del problema con l’obiettivo di aumentare il livello di serietà, capacità economica e finanziaria  e qualificazione dei soggetti economici  coinvolti.

È un comparto in crescita che deve fare i conti con evidenti contraddizioni non risolte. Da un lato la presenza diffusa del sindacalismo di base poco sensibile a strumenti  di regolazione del conflitto e, dall’altro, una situazione che presenta ancora cooperative aperte e chiuse ogni anno, pur a volte trasformate in SRL in corso d’opera senza però modificarne la sostanza che spesso si confermano come  luoghi di sfruttamento e, purtroppo,  di evasione contributiva e fiscale. Un comparto, quello della logistica, dove la presenza di lavoratori stranieri supera in molte realtà  il 60% con punte dell’80%. Lavoratori  con esigenze profondamente diverse da chi li ha preceduti e scarsamente interessati ai contributi previdenziali e a promesse di tutele future e dove perfino le realtà che si pongono il problema di superare situazioni di illegalità si trovano spesso contro gli stessi lavoratori che scelgono la strada più semplice ai loro occhi. E su queste esigenze concrete alcuni sindacati di base offrono sponde pericolose alla protesta e all’illegalità.

L’intesa prevede un aumento medio a regime di 230 euro per il personale non viaggiante e di 260 euro per il personale viaggiante, che potrà godere anche di un incremento della trasferta minima contrattuale, e l’introduzione di un Elemento Professionale d’Area (EPA), nuova componente retributiva che riconosce le competenze e la professionalità del personale. Viene ridotto l’orario di lavoro,  si interviene sui profili professionali, adeguandoli alla tecnologia e alle nuove figure del settore; tra i nuovi profili professionali, da sottolineare, l’introduzione della figura del Mediatore culturale al fine di favorire la comprensione e la comunicazione, vista la presenza, sempre più significativa  di lavoratori appartenenti a diverse culture, lingue e religioni. Leggi tutto “Ventiquattro associazioni datoriali (insieme ai tre sindacati confederali) rinnovano il CCNL della logistica.”

Alla fine dei giochi, vincerà il low cost?

Mentre da noi la discussione prevalente ruota intorno alla futura quota destinata ad essere occupata dai discount, della lenta avanza dell’online, dalla crescita degli specializzati  e dalla capacità di risposta della grande distribuzione tradizionale, altrove si stanno ponendo problemi più sistemici. Il punto è capire dove stiamo andando. Certo l’Italia ha le sue specificità soprattutto se parliamo di consumi alimentari però ci sono segnali inequivocabili che il futuro del commercio in generale e della grande distribuzione in particolare saranno caratterizzati in buona parte dal low cost inteso a 360° (lavoro, gestione punto vendita, back office, prezzi, ecc.).

Invecchiamento e difficoltà  della popolazione locale, immigrazioni da Paesi poveri, concorrenza delle piattaforme cinesi spingono i grandi player internazionali a serrare le fila e a ripensare al loro futuro. Questo non significa che non esisterà spazio per nicchie di popolazione, più o meno grandi, dove resterà una capacità di spesa importante ma è bastato il campanello dell’inflazione e delle tensioni geopolitiche per far comprendere che la “ricreazione è finita” e che nulla tornerà come prima. Ma è chiaro che, soprattutto il commercio tradizionale generalista, dovrà farci i conti.

Gli USA, sotto questi aspetti,  sono ritornati ad essere una delle grandi aree di sperimentazione.  Vuoi perché lì i modelli di consumismo sono arrivati all’estremo possibile, vuoi perché resta un Paese di grandi differenze territoriali e culturali, quindi di contraddizioni sociali evidenti. Senza sottovalutare che, anche  nell’altro grande contendente, la Cina, destinato sempre più ad essere il principale competitor mondiale, nascono idee, sperimentazioni, innovazioni  tecnologiche applicate al commercio, alle piattaforme (TikTok, Temu, Alibaba per citare le più note) e strategie di esportazione che  contribuiscono a cambiare gli scenari nel lungo periodo.

I 30 maggiori produttori cinesi di videogiochi rappresentano il 18% delle vendite globali del settore al di fuori della Cina. Le app di e-commerce collegate alla Cina hanno avuto un successo simile. Si ritiene che Shein, che vende vestiti economici, principalmente agli americani, abbia venduto capi di abbigliamento per un valore di decine di miliardi di dollari l’anno scorso. Temu, che ha sede a Boston ma è di proprietà del gigante cinese  Pdd Holding (che controlla anche Pinduoduo, piattaforma cinese per la vendita online di prodotti a basso prezzo, che ha raggiunto un utile netto circa 4 miliardi di euro e il fatturato è salito a quasi 12 miliardi di euro).

La risposta di Amazon, non si è fatta attendere.  È così, dopo “Amazon Saver” sui prodotti alimentari essenziali a basso costo, è arrivato “Haul”. Per ora in beta test negli USA. Per i boomer come il sottoscritto, “Haul” nel gergo social significa, più o meno, fare bottino (a prezzi stracciati) di vestiti o altro in rete. Il gigante di Seattle  gli ha dedicato una sezione di shopping della sua app e del suo sito con una selezione di proposte al prezzo inferiore a 20 dollari, “con la maggior parte inferiore a 10 dollari” e alcuni a partire addirittura da 1 dollaro. Gli sconti maturano man mano che gli ordini crescono. Mentre l’assortimento di questi articoli a basso prezzo abbraccia categorie, tra cui moda, casa, stile di vita, elettronica e altro, per questi ordini Amazon si è dovuta allontanare per forza dal suo modello di consegna rapida, indicando, per “prodotti con prezzi ultra bassi” da una a due settimane.

L’esperimento è ovviamente una risposta a Temu e ad altri mercati cinesi in rapida crescita. Amazon più che la concorrenza nei negozi fisici deve stare attenta ai nuovi arrivi in rete e quindi  decide di correre il rischio di vedersi  cannibalizzare le altre sue vendite, ritenendolo comunque preferibile alla perdita di quote per l’incalzare di questi concorrenti. Ricerche recenti mostrano che i consumatori statunitensi confermano  di fidarsi di più di Amazon rispetto a Temu, ma che stanno comunque facendo sempre più acquisti su Temu. Circa il 17,5% degli intervistati globali a un sondaggio della società di software di marketing Omnisend ha dichiarato di pensare che il sito cinese potrebbe addirittura superare Amazon come piattaforma di e-commerce leader. Leggi tutto “Alla fine dei giochi, vincerà il low cost?”

Lo sciopero generale del 29 novembre. Le conseguenze inevitabili sul sindacalismo confederale

C’è qualcosa  di profondamente diverso e preoccupante nella stagione sindacale  che arriva. La divisione del sindacalismo di matrice confederale porta inevitabilmente con sé due effetti.  Da un lato rischia di spingere  CGIL e UIL nel campo presidiato dai sindacati di base, tutt’altro che marginali in alcuni settori e, dall’altro ripropone la necessità di certificare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali che rischia di coinvolgere anche le singole categorie e quindi le dinamiche dei futuri rinnovi dei CCNL. 

Maurizio Landini ha evocato addirittura la necessità di una  “rivolta sociale”. Rivolte che, come la Francia a volte ci mostra, nascono generalmente dal basso, dalle contraddizioni sociali  senza essere annunciate, evocate o previste dall’alto come in questo caso. Il 29 novembre ci sarà una verifica non tanto del malessere presente nel mondo del lavoro che è evidente ma della capacità di interpretarlo da chi ha proposto la mobilitazione a partire  dalla partecipazione dei diretti interessati, i lavoratori dipendenti,  allo sciopero generale di otto ore indetto da CGIL e UIL (la CISL non ha aderito).

Contemporaneamente si è messa in movimento anche la galassia del sindacalismo di base, Cub, Sgb, AdL Cobas, Confederazione Cobas, Clap, Sial Cobas, presenti nei servizi, nel pubblico impiego, nei trasporti  e nella logistica, che ha anch’essa  indetto lo sciopero generale per l’intera giornata del 29 novembre contro la manovra e la politica socio-economica del Governo. Ovviamente quest’area prova ad alzare la posta puntando a  far emergere le contraddizioni presenti nel sindacalismo confederale non volendo delegare loro la protesta sociale e la decisione sulla prosecuzione delle iniziative dopo lo sciopero.

Come ho già scritto, più che la roboante dichiarazione in sé, preoccupa la deriva imboccata dalle due sigle del sindacalismo confederale. Che ci stiamo dirigendo più o meno consapevolmente verso il rischio di una pericolosa lacerazione del tessuto sociale mi sembra evidente. Aumento dell’area della  povertà, preoccupazioni per il futuro che lambiscono anche il ceto medio, crisi del welfare state, sono sotto gli occhi di tutti. Mi lascia però perplesso la convinzione di Landini che sia necessario evocare la rivolta sociale e che  lui e Bombardieri possano presentarsi come i possibili interpreti.

Affermare ad esempio che i salari sono fermi da qualche decennio e la precarietà nel mondo del lavoro è una costante, risponde al vero ma è difficile addebitarla a questo Governo e non ad una serie di ragioni e responsabilità che risalgono nel tempo. O che esistano scorciatoie per risolverla e soluzioni semplici a portata di mano. E queste responsabilità non esonerano né i governi precedenti né gli stessi Sindacati confederali che in questi decenni non erano su Marte. Difficile quindi chiamarsi fuori.
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Grande Distribuzione. I Contratti Nazionali fanno parti uguali tra diseguali..

Le insegne dovrebbero essere valutate per la loro capacità di fare business e di integrarsi nei territori dove sono insediati.  Per i loro risultati, per come interagiscono con il cliente e per la loro distintività in un contesto competitivo esasperato. Per come valorizzano i propri collaboratori.  Non dovrebbero fare notizia perché sottopagano i loro dipendenti o aggirano norme e contratti come purtroppo a volte  avviene.

È dovuto intervenire addirittura  il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiarire la china pericolosa verso cui ci stiamo incamminando sul piano sociale: “L’occupazione si sta frammentando, tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà. Si tratta di un elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale”.

Basterebbe questa frase per far “aprire occhi e orecchie” a chi, nella GDO, aggira la leale competizione applicando contratti, pur ritenuti localmente legittimi a causa della lacunosa legislazione vigente, ma in evidente dumping con chi rispetta le regole del gioco definite dalle principali organizzazioni di categoria. Su questo passa il confine netto tra “Imprenditori e Prenditori”. Sia che operino a monte della filiera, nell’agricoltura, nei servizi alle imprese o nella logistica o nel comparto stesso. A nord come a sud. Continuo a pensare che non c’è alcuna differenza tra chi compra prodotti agricoli pur sapendo che sono raccolti sfruttando gli immigrati  e chi non paga il dovuto ai propri collaboratori nascondendosi dietro  contratti definiti “pirata” per il loro contenuto chiaramente a danno del soggetto più debole.

Nel recente rinnovo dei due CCNL principali applicati in GDO (Confcommercio e Federdistribuzione) è mancato il coraggio di voltare pagina. Così come nessuno ha  capito per tempo che pandemia e inflazione avrebbero cambiato il consumatore modificandone priorità e atteggiamenti  così è stato, sul tema del lavoro  e della sua necessaria evoluzione. E così il tema della distintività della GDO che avrebbe dovuto caratterizzare il primo vero testo di Federdistribuzione si è arenato perché è mancata la capacità di  proporre uno scambio realistico e accettabile al sindacato consentendo così a quest’ultimo di sfuggire al confronto.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. I Contratti Nazionali fanno parti uguali tra diseguali..”

Dumping tra imprese. Quando “sottocosto” ci finisce il lavoratore.

Spesso è difficile filtrare le informazioni che arrivano. Una mezza verità non è di per sé una notizia credibile. Le verifiche sono importanti. Personalmente non sopporto l’arroganza del potere. Soprattutto quando è ben mascherata. Nella GDO si manifesta quando non si paga il dovuto fingendo di farlo, quando si illude il soggetto più debole con promesse  future che non verranno mai mantenute e quando si predica bene ma si razzola malissimo. Recentemente mi è stata recapitata una busta di grande formato.  Quando l’ho aperta all’interno c’era la fotocopia di  quello che sembrava essere un testo di un contratto nazionale. Trecentonovantuno pagine dedicate al comparto del commercio e della distribuzione moderna e un bigliettino di accompagnamento con scritto: “leggilo e se te la senti, commentalo sul blog”.

Ho cercato in rete il testo corrispondente. È possibile trovarlo a questo indirizzo. Definire, prendendo a prestito il termine dal sindacalese,  quel testo  “giallo”, credo sia corretto. Il cosiddetto sindacalismo giallo (in Francia si chiama syndicalisme jaune; in inglese Company unionism) definisce  l’attività antisindacale  compiuta tramite la creazione o il controllo imprenditoriale di sindacati dei lavoratori. Oppure, più banalmente quando il sindacato diventa un interlocutore accomodante del datore di lavoro e non tutela gli interessi dei lavoratori ma quelli personali o aziendali.  Quel testo, è frutto di una evidente  sudditanza che danneggia  non solo i lavoratori ma, addirittura, crea una situazione di dumping tra imprese. Soprattutto se operanti nello stesso territorio.

Nessuno, credo,  avrebbe sollevato il problema, che pure si sta diffondendo,  se non si fosse verificato un incidente di percorso in Campania dove, nel passaggio tra Rossotono (ex Apulia Distribuzione) a Multicedi, Gennaro Rizzo, un rappresentante sindacale regionale della Uiltucs Campania e dipendente di Rossotono in un’intervista  ha spiegato: «Il contratto propostoci è quello che viene chiamato “Cisal-Pirati” (in realtà CISAL-Anpit, una tipologia di testo lontano da quelli sottoscritti da Confcommercio e Federdistribuzione n.d.r.). Se entrasse in vigore realmente questo tipo di contratto, ai lavoratori non verrebbero pagati né gli straordinari, né le quattordicesime, né tantomeno i festivi che invece oggi ci sono garantiti (da Rossotono n.d.r.)  oltre lo stipendio base. Mentre il mondo va avanti – aggiunge amareggiato Rizzo – noi rimaniamo all’età della pietra». I festivi oggi sono pagati il 30% in più, percentuale che sale al 60 nei giorni particolari come quelli del periodo natalizio. «Tutto questo, con il nuovo contratto, sparirebbe. Non solo: a un turno di 4 ore mattutine ne dovrebbe seguire un altro pomeridiano dopo alcune ore di pausa. Questo significa avere una vita stressata, senza possibilità di gestirti il resto del tempo da dedicare alle famiglie o ad altri interessi. In molti stanno pensando se sia meglio licenziarsi e trovare altre strade, come qualcun altro ha già fatto in passato» sottolinea ancora Gennaro Rizzo che lavora nel settore da decenni ed è preoccupato come gli altri per il suo futuro. Ovviamente Rizzo era sostenuto nella sua protesta da tutti e tre i sindacati confederali di categoria.

Da quello che ho letto, e a seguito delle proteste, per questi trasferimenti  sembra si sia trovata una soluzione  . Non ho visto comunicati dei tre sindacati confederali. Però il problema resta comunque aperto. Vista l’intenzione iniziale manifestata da chi ha acquisito i punti vendita e come hanno reagito  i sindacati, qual’è la situazione in Campania o in altre realtà limitrofe? Allargando il discorso spesso questi accorpamenti, passaggi al franchising, subappalti, cessioni vengono viste come semplici transazioni  di carattere commerciale. Pochi vanno a vedere cosa succede alle persone, alle loro retribuzioni alle loro prospettive. E se tutto questo introduce elementi distorsivi della concorrenza. Leggi tutto “Dumping tra imprese. Quando “sottocosto” ci finisce il lavoratore.”

Il lavoro nei servizi al consumo. Un contributo interessante della sociologa Giovanna Fullin

Ho avuto modo di partecipare ad un’iniziativa proposta dal Sindacato di base CUB (nato negli anni 90 da una scissione nella FIM CISL milanese) sul lavoro nei servizi dal titolo: “Flessibilità-alienazione e rapporti con i clienti”. Argomento impegnativo e ambiente, com’era prevedibile  estremamente critico sia nei confronti delle aziende del terziario, insegne GDO  in testa, ma anche dei sindacati confederali. L’occasione è scaturita dalla presentazione del libro di Giovanna Fullin “I CLIENTI SIAMO NOI. IL LAVORO NELLA SOCIETÀ DEI SERVIZI (Il Mulino, 2023)”.

Le ricerche sul lavoro nel terziario e nei servizi,  che ormai riguardano oltre  il 70% dell’occupazione totale, si concentrano in genere sui knowledge workers o sui lavoratori delle piattaforme. Difficile trovare sociologi del lavoro che hanno focalizzato il loro lavoro sui servizi al consumo pur trattandosi di oltre 5 milioni e mezzo di persone. Quasi il 30% dell’occupazione complessiva. Ci aveva provato negli anni 90 un altro sociologo, Renato Curcio, noto più per altre vicende, che aveva individuato, studiando i lavoratori dei centri commerciali e degli ipermercati, l’emergere di una nuova “classe operaia” in grado di sostituirsi al cosiddetto “operaio massa” fondamentale per la ripartenza di un movimento simile a quello del ‘68. Anche allora le interviste a supporto le avevano fornite i lavoratori della GDO, i delegati sindacali delle aziende  e i sindacalisti (soprattutto della Uiltucs milanese).

Al di là delle teorizzazioni di allora che poi si sono dimostrate completamente errate per la prima volta in quelle riflessioni sindacali entrava il “cliente”. Pur raccontato da Curcio  come isterico e alleato del datore di lavoro nel “vessare” i lavoratori, ma terzo soggetto di un triangolo che, in qualche modo, introduceva un elemento di diversità rispetto alle riflessioni sul lavoro derivate dalla cultura industriale e tayloristica che riduceva il rapporto di lavoro  alle dinamiche esclusive tra imprenditore e lavoratore.

Questa presenza viene ripresa anche dalla sociologa  Fullin che costruisce un nesso interessante  tra mestieri diversi (dal lavoro nel turismo, alla ristorazione, dalle hostess fino alla grande distribuzione) dove il rapporto con il cliente è centrale e ne approfondisce alcuni aspetti nel libro. Innanzitutto il delicato confine tra organizzazione aziendale e cliente.  L’organizzazione tende, per sua natura, a standardizzare i comportamenti richiesti  ma deve contemporaneamente saper costruire un rapporto personalizzato perché il cliente porta con sé una forte dose di imprevedibilità nei suoi comportamenti. Tra l’altro, nel negozio del  futuro, questa capacità di relazione e di assistenza sarà ancora più centrale. Leggi tutto “Il lavoro nei servizi al consumo. Un contributo interessante della sociologa Giovanna Fullin”

Esselunga. Appalti e tensioni con i sindacati di base…

Capita, non solo nelle relazioni sindacali, di dover riflettere sulla differenza tra decisioni che nel breve risolvono un problema apparentemente irrisolvibile in altro modo ma, contemporaneamente, rischiano di complicarlo nel lungo periodo.  È la differenza tra tattica e strategia. Quando si parla di appalti, terziarizzazioni di attività e impatti sull’organizzazione, sia nel caso  di affidamenti esterni che di ripresa in carico spesso si sottovalutano le conseguenze sull’azienda, sulle persone e sui soggetti collettivi coinvolti.

Per le aziende il punto dirimente è rappresentato dal proprio modello organizzativo e quindi dal vantaggio o dallo svantaggio di gestire internamente  o meno una determinata attività nell’immediato e nel lungo periodo. Per le persone coinvolte, rappresenta la quantità e la qualità del lavoro e quindi il senso stesso del loro impegno   e per i sindacati esterni determina il ruolo, la credibilità e  il peso associativo. Tre punti di vista molto diversi tra di loro. Ogni intesa sottoscritta sul tema tende a modificare il contesto (in meglio o in peggio) per ognuno dei tre soggetti coinvolti. Comprendere questo aspetto e gestirlo  è fondamentale.  Altrimenti il problema è solo rimandato.

Nel caso di Esselunga a Biandrate, a Pioltello o nella sua complessa rete territoriale, l’aver “internalizzato”  alcune attività,  prima gestite da terzi o averle giustamente passata a partner più affidabili, ha chiuso una fase di tensione ma ha contemporaneamente creato aspettative sul lungo periodo a sindacati e lavoratori  di difficile gestione. C’è da dire, in premessa, che Esselunga ha sempre avuto ottimi Direttori Risorse Umane in grado di affrontare situazioni di tensione con le organizzazioni sindacali. Il tipo di attacchi a cui oggi è sottoposta l’azienda da formazioni sindacali estreme e la loro frequenza  farebbe pensare che questa capacità di gestione sia venuta  meno.

Aggiungo che, almeno a parole, sembra sempre che tutti i soggetti in campo  abbiano interesse a far emergere situazioni radicate nel tempo   per riportarle ad un livello di maggiore trasparenza gestionale. Vale per le aziende che vogliono superare situazioni passate, vale per i sindacati confederali che hanno un interesse ad andare oltre  impostazioni che non li hanno  visti protagonisti. Non vale, però, per alcuni sindacati di base, persone o gruppi che, nelle fasi che hanno preceduto la normalizzazione, possono aver ottenuto vantaggi nella gestione di orari e attività, piccoli e grandi favori personali, riconoscimenti economici  (a volte) anche sottobanco.  Non sempre i vertici aziendali conoscono o approvano tutto ciò che avviene nei “piani bassi” nell’organizzazione. E spesso alcune situazioni incancreniscono fino a essere percepiti come “diritti acquisiti” o abitudini consolidate da chi ne gode i benefici. Elementi che, in presenza di cambi di gestione o di organizzazione, vengono inevitabilmente in superficie e rimessi in discussione.

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Famiglia cooperativa trentina. Quando piccolo è bello ma anche utile…

Ci sono argomenti sconosciuti ai più che raccontano la vitalità, la cultura e l’impegno delle comunità e che, a mio parere, meritano di essere condivise. Malé è il capoluogo della Val di sole in Trentino. In una sua frazione, Bolentina, risiedo per una parte dell’anno. Malé conta circa 2300 abitanti. Sul territorio comunale ci sono quattro punti vendita: IperPoli, Eurospin, Eurospar e Coop con la “Famiglia cooperativa”. Ho frequentato spesso questo punto vendita durante la pandemia. Quest’anno, pur con un ritardo di due, a causa della coincidenza con la pandemia, ha festeggiato i cent’anni di attività.

Il Trentino è terra di cooperazione. Don Lorenzo Guetti, primo di 13 figli di una famiglia contadina, cooperatore, giornalista, sacerdote, poi eletto deputato al Parlamento di Vienna fondò a Villa di S. Croce la prima “Società cooperativa di smercio e consumo” cioè la prima “Famiglia cooperativa” il 28 settembre 1890, e nel luglio 1892, a Quadra, la prima Cassa Rurale. A queste prime società cooperative seguirono poi molte altre, tanto che alla fine del 1898, anno della morte di don Lorenzo, le Famiglie Cooperative erano più di cento e le Casse Rurali una sessantina. Anni durissimi per i trentini fatti di povertà e isolamento; per far fronte alla crisi servivano idee e uomini visionari. Dai problemi di sopravvivenza dei contadini nasce l’intuizione di don Guetti: unire i suoi compaesani per renderli Soci, per acquistare insieme le merci e, in questo modo, risparmiare. Questa prima esperienza di Cooperazione alimenta in pochi anni lo spirito cooperativo in tutto il Trentino.

È il “negozio di casa”, spesso collocato in centro al paese o a poca distanza. Le Famiglie Cooperative sono presenti in tutte le vallate trentine e, in molti paesi, rappresentano l’unica realtà commerciale. La loro funzione diventa per questo anche sociale: spesso sono luoghi di relazione, presidi della socialità, prima che esercizi commerciali. Sì conoscono tutti. Con la loro presenza offrono però un servizio indispensabile.

In Trentino i negozi delle Famiglie Cooperative sono in parte associate a Sait (Coop) e, dal 2009,  in parte a Dao (Conad).  Quest’ultima nasce nel 1962 da un gruppo di 20 alimentaristi trentini e oggi conta circa 130 soci. È presente in tutto il Trentino A.A. e nelle province di Verona, Vicenza, Belluno, Brescia e Bergamo con circa 300 punti vendita. Nel 1992 ha contribuito a fondare Eurospin. Nel 2004 DAO avvia la partnership con Conad della quale diventa centro distributivo per le province di Trento, Bolzano, Verona, Vicenza e Belluno. È la più piccola delle cinque cooperative Conad ma anche una delle più attive e performanti. Leggi tutto “Famiglia cooperativa trentina. Quando piccolo è bello ma anche utile…”

Coop alleanza 3.0. Continuare a crescere tenendo insieme ciò che ha rappresentato la cooperazione e ciò che dovrà essere

L’inflazione nei consuntivi 2023 dell’intera GDO presenta le sue due facce. Migliora i bilanci delle aziende, pur segnalando un rallentamento dei volumi, e scarica i costi sui consumatori nonostante gli sforzi delle insegne per attutirne gli effetti.  Non sfugge a questa logica neppure Coop Alleanza 3.0 impegnata in una complessa operazione  di risanamento e rilancio definiti nel piano strategico 2023/2027. Il 2022  si era chiuso negativamente.  Così come gli anni precedenti.

La  stessa partecipazione al progetto Fico, a Coop Alleanza 3.0 era costata cara. Circa 13,5 milioni di euro.   La Cooperativa vi aveva aderito perché il suo impegno nella valorizzazione delle filiere agroalimentari italiane trovava una perfetta assonanza con le finalità, gli obiettivi e i valori di Fico, peraltro nella città in cui Coop Alleanza 3.0 ha la sua sede. Impossibile allora, sottrarsi ad un’operazione di quel profilo. L’ingresso del fondo di investimenti  Investindustrial di Andrea Bonomi in Eataly, l’hub gastronomico creato da Oscar Farinetti,  ha cambiato lo scenario di riferimento anche per FICO che non essendo mai decollato ha perso anche la sua centralità per la città. Se si ridimensionerà o si trasformerà in altra cosa non è più un problema di Coop. La rifocalizzazione delle attività caratteristiche in linea con il Piano Strategico e la progressiva eliminazione delle iniziative non a reddito, ha comportato la cessione delle quote e quindi la gestione di quella società, a fronte di un incremento delle quote detenute del fondo Parchi Agroalimentari Italiani (PAI).

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