Può esistere uno sciopero 4.0?

La vicenda di Deliveroo e della sua proposta unilaterale di assicurare i riders a livello continentale ha fatto scattare una discussione interessante sulla possibilità o meno di “piegare” le resistenze di un’azienda con forme di pressione apparentemente fuori dal comune.

Messaggi che spingono a astenersi dagli acquisti  in un dato giorno o all’interno di una protesta comune tra consumatori e prestatori di lavoro non sono nuovi. Hanno un discreto effetto mediatico perché rappresentano una novità ma restano del tutto inefficaci sul piano pratico. Basti pensare alla inutilità degli appelli contro gli acquisti negli outlet durante le festività.

Credo però che la discussione dovrebbe essere concentrata su di un punto importante. Avrà ancora senso parlare di sciopero in epoca 4.0? Personalmente credo di no. La società 4.0, se così possiamo chiamarla, avrà due caratteristiche importanti.

Innanzitutto si affermeranno concentrazioni economiche sempre più significative favorite dalla loro capacità di muoversi sui mercati globali e dalla tecnologia. In secondo luogo il lavoro tenderà a spostarsi sempre più da luoghi fisici per prendere strade sempre più difficili da normare. Leggi tutto “Può esistere uno sciopero 4.0?”

Il difficile mestiere della rappresentanza.

Fa bene Dario di Vico ad interrogarsi sulla scelta di Luxottica di lasciare le associazioni territoriali di Confindustria ( http://bit.ly/2IgmMP2 ). Per chi crede, come me, nel ruolo decisivo delle organizzazioni di rappresentanza nelle dinamiche democratiche del nostro Paese, è certamente un campanello di allarme.

Forse, per comprenderne la ratio, dobbiamo partire dalle ragioni che spingono un’impresa, grande o piccola, ad avvicinarsi oggi al modo associativo.  Indubbiamente Il più importante strumento riconosciuto che una associazione datoriale mette a disposizione delle imprese, associate o meno,  è il Contratto Nazionale di Lavoro. In alcuni comparti economici come ad esempio nel terziario è, di fatto,  l’unico elemento regolatorio a cui le aziende possono riferirsi essendo praticamente inesistenti altri livelli negoziali. È uno dei pochi contratti di natura confederale cioè gestito direttamente da Confcommercio-imprese per l’Italia.

La stragrande maggioranza dei contratti è, al contrario,  sottoscritto da federazioni datoriali di categoria (chimici, metalmeccanici, ecc.). Quindi, nel caso del comparto industriale, non da Confindustria. Pur riconoscendosi in una Confederazione il peso e l’autonomia di chi firma contratti nazionali è indubbiamente rilevante in rapporto alla Confederazione alla quale aderisce.

Tutto questo era meno evidente quando ciascun livello di rappresentanza garantiva agli associati risultati concreti sia di carattere generale che particolare. Oppure servizi specifici altrimenti indisponibili sul mercato. La concertazione sia centrale che periferica, le attività di lobby, gli indirizzi di politica economica tenevano conto del peso e del ruolo delle Confederazioni datoriali particolarmente di Confindustria che, in quel modo, esercitava un ruolo quasi in nome e per conto di tutto il fronte datoriale. Leggi tutto “Il difficile mestiere della rappresentanza.”

ILVA. Un negoziato che deve continuare.

Difficile pensare ad un argomento dove il PD non dovrebbe avere dubbi di posizionamento come la vicenda ILVA. Oltre ventimila posti di lavoro a rischio, la rinuncia a un punto di PIL e una perdita di  900 milioni di euro. Indubbiamente si tratterebbe di una grave sconfitta per tutti.

Marco Bentivogli non ha dubbi: “Il silenzio del Pd su ILVA e sulle scorribande di Emiliano  è il segno dell’assenza del lavoro tra le sue priorità”. Il punto sta qui. Se per il PD la soluzione della vicenda ILVA è, in questa fase politica,  assolutamente marginale così come lo è per i vincitori delle elezioni, la partita rischia di essere chiusa prima ancora di cominciare. 

Certo il Ministro Calenda ha sbagliato. Lasciare il tavolo sfruttando una provocazione di qualche sindacalista è stata una ingenuità che rischia di costare molto cara perché è evidente che le fila di chi gioca allo sfascio si sono ingrossate. E le provocazioni sono all’ordine del giorno.

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Atac. Ovvero quando manca il Capo del Personale…

L’ottimo Sergio Rizzo su Repubblica individua nella mancanza del “Capo del Personale” uno degli indicatori dello sfascio dell’ATAC, l’azienda di trasporti romana. Dodicimila dipendenti con il 13,7% di assenteismo lo reclamerebbero a prescindere. Fino a poco tempo fa c’era e, probabilmente tra poco ce ne sarà un’altro. Cambierebbe qualcosa? Io penso di no.

Per Sergio Rizzo il Capo del Personale ha una funzione precisa: rimettere i numerosi sindacati al loro posto  e imporre quel minimo di ordine, disciplina e rispetto delle regole che dovrebbe esserci in ogni azienda. Nel caso di ATAC più che un Capo del Personale, se si seguisse questa logica, servirebbe Mandrake. Figura difficile da trovare sul mercato.

Ma un Capo del Personale, così come lo intende Sergio Rizzo, lì o altrove, serve ancora? Io credo di no. Al di là del business scelto, della tecnologia impiegata e della composizione degli occupati, ogni azienda, pubblica o privata che sia, si alimenta di tre caratteristiche di fondo. La sua specifica cultura organizzativa, il clima che si respira e un azionista/management che indicano con chiarezza la direzione di marcia.

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Occorre definire un nuovo perimetro per il lavoro.

Secondo McKinsey l’economia dei lavoretti impiega già oggi il 30% della persone in età lavorativa  in Europa e negli States. Da noi  la discussione si è concentrata sui bikers ma decine di altre attività, dai montatori di mobili alle consegne a domicilio, dagli aspiranti tassisti uberizzati ai gestori di appartamenti e così via stanno modificando strutturalmente le tradizionali  tipologie del rapporto di lavoro sia autonomo che dipendente. 

Ma anche lo stesso concetto di imprenditore è destinato ad entrare in crisi perché  agire nelle filiere internazionali, competere con i nuovi giganti economici prodotti dalla rete, cambia in profondità anche le caratteristiche di chi fa impresa, di come decide di farsi carico dei rischi, di come si muove in un mercato aperto e globale. E di come tenderà a considerare il lavoro di cui ha bisogno per la sua impresa.

C’è voluta una sentenza come quella recente di Torino per costringere tutti ad aprire una riflessione. Sta emergendo qualcosa con cui bisogna misurarsi con una certa urgenza. L’idea di lavoro con cui siamo cresciuti ha sempre avuto precise caratteristiche. Al di là delle tipologie o delle classificazioni in essere, il lavoro, per essere riconosciuto come tale ha sempre avuto un luogo e un tempo dedicato.

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Gli effetti collaterali della riforma Fornero.

Personalmente sono convinto che la riforma Fornero è stata utile e decisiva per il nostro Paese. Lo dico senza se e senza ma, proprio per poter affrontare con serietà un tema delicato che la riforma stessa ha indirettamente aggravato e che, invece, andrebbe analizzato in profondità.

Le statistiche, da questo punto di vista, parlano chiaro. Il mercato del lavoro ha premiato i senior tenendoli al lavoro più a lungo. Un elemento ritenuto positivo in più per generazioni già “premiate” sul piano previdenziale, a giudizio di molti osservatori. I riflettori si sono spostati così altrove concentrandosi sull’universo giovanile e sulle sue difficoltà ad entrare nel modo del lavoro. Quindi emergenza conclusa. Ma è proprio così?

Perché allora la riforma Fornero piace alle imprese ma continua a non piacere nelle imprese?

Non piace a chi pensava di lasciare il lavoro e deve farsene una ragione, non piace a chi pensava di subentrare al pensionato, non piace a chi pensava di sostituire il pensionato con un collaboratore più giovane e forse meno costoso, non piace a chi vive con preoccupazione il proprio futuro dovendo restare al lavoro più a lungo del previsto. Non piace ai lavoratori senior delle aziende in crisi. Non piace a chi, lasciato a casa dalla sua azienda,  ha paura di non potersi reimpiegare a causa dell’età. È il caso di chi è troppo giovane per andare in pensione ma ritenuto troppo vecchio per essere considerato dal mercato del lavoro. Leggi tutto “Gli effetti collaterali della riforma Fornero.”

L’importante è partecipare…

Non è certo una sorpresa la cautela della CGIL sul tema. A questo proposito trovo divertente ma testimone sincero  di una cultura il siparietto del segretario FIOM Rosario Rappa “Calenda ha troppa inventiva e sta innovando troppo”.

Calenda, in effetti,  ha un po’ spiazzato tutti con la sua proposta per Alcoa. Le pur diverse forme di partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese non erano da tempo all’ordine del giorno del dibattito politico sindacale.

Certo ci sono sia  la CISL che la UIL che lo considerano da sempre un loro cavallo di battaglia e leggendo con una discreta lente di ingrandimento si può trovare qualcosa al riguardo nel recente documento firmato dai sindacati confederali con Confindustria.

C’è poi, sempre sullo sfondo,  l’interessante invito alla riflessione di Martini e di Colla due importanti confederali della CGIL che animerà sicuramente il loro dibattito congressuale. È però chiaro che la costruzione di un modello partecipativo in Italia sconterà inevitabilmente i limiti e le ambiguità ancora presenti nel dibattito sindacale e non solo. Leggi tutto “L’importante è partecipare…”

Prendersela con IKEA? Pessima IDEA…

Quando succede un fatto grave in un’azienda che ha un brand importante e riconosciuto dai consumatori, dipendenti e fornitori il rischio di strumentalizzazioni è molto alto anche perché un licenziamento disciplinare in IKEA non è un fatto consueto.

Addirittura così come a suo tempo era stato presentato sembrava un autogol incredibile da parte aziendale. Rete e media avevano amplificato il carattere vessatorio e crudele del provvedimento che andava a colpire una lavoratrice in una condizione familiare e personale grave. Almeno così sembrava per come i fatti erano stati rappresentati dal sindacato milanese di categoria subito ripresi e rilanciati come verità assoluta.

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Se la Politica invade (di nuovo) il campo delle forze sociali.

Quando Renzi annunciò la strategia degli 80 euro e del Jobs Act qualche autorevole opinionista pensò che la disintermediazione segnasse un punto definitivo a favore della Politica nel suo tentativo di mettere in un angolo i corpi sociali.

Ricordo che solo Dario Di Vico, in quei mesi ad un convegno della Fondazione Welfare Ambrosiano, tentò una lettura meno ultimativa e dirompente tra una disintermediazione necessaria e finalizzata ad interrompere il potere di veto di rallentamento delle decisioni causato dalla concertazione rispetto ad un attacco in grande stile temuto dai sindacati.

Renzi pur forte di un orientamento presente allora tra l’opinione pubblica sottovalutò comunque il ruolo e il radicamento delle rappresentanze sociali. L’attacco fu però, di fatto, più formale che sostanziale.

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Intese confederali sulla rappresentanza e accordi separati

Ricordo che Luciano Lama in una situazione dove le interpretazioni dello stesso accadimento sindacale erano fortemente discordanti ebbe a dire che “se ci troviamo in due in una stanza buia con l’orologio che segna le dodici e io sostengo che è mezzogiorno e l’altro, mezzanotte, basta aprire la finestra. Se è chiaro ho ragione io, se è scuro, il mio interlocutore.

Questa affermazione mi aveva colpito perché “spogliava” un fatto sindacale dall’interpretazione di parte. Lo rendeva oggettivo. Mi è ritornato in mente sia dopo la vicenda Castelfrigo che, in questi giorni sulla conclusione dell’accordo aziendale LIDL dove FISASCAT CISL e UILTUCS UIL di categoria hanno siglato un intesa sul nuovo contratto aziendale senza la FILCAMS CGIL.

Con una differenza sostanziale. Nel caso della Castelfrigo la FAI CISL ha firmato una intesa con un’azienda difficile ben sapendo che l’accordo non sarebbe stato risolutivo sul tema delle cooperative spurie, che si sarebbe attirata le ire della FLAI CGIL egemone in quella fabbrica fino a poco tempo prima e che non avrebbe risolto i problemi di tutti i lavoratori. Leggi tutto “Intese confederali sulla rappresentanza e accordi separati”