Conad/Auchan. La fredda logica dei numeri….

Com’era prevedibile siamo arrivati al dunque. La procedura partita per le sedi centrali chiarisce definitivamente  il problema principale di questa acquisizione. Non devono meravigliare tutti coloro che fingono di cadere dal pero. Succede sempre così. Otto mesi buttati al vento in cui si è scelto di discutere di altro. La procedura riporta tutti con i piedi per terra. Il conto alla rovescia è partito.

Se si continuerà a perdere tempo ci saranno presto  817 licenziamenti senza alternative. Personalmente non ho alcuna intenzione di seguire i profeti di sventura. Ho detto fin dall’inizio che il problema centrale sarebbe stata la gestione degli esuberi delle sedi e poco di più  e che lo sforzo principale andava fatto su questo. Molti hanno preferito parlare d’altro. Rancori di settore, dirigenti ex Auchan messi da parte, sindacalisti in cerca di nuove identità hanno fatto il resto creando quella confusione inutile in un complesso processo di ristrutturazione.

I dirigenti, dopo le inutili polemiche scatenate a suo tempo da qualche gola profonda, hanno in larga parte sottoscritto l’accordo raggiunto da Manageritalia. L’ho giudicato un buon accordo allora prendendomi le critiche delle “Teresine del lago” di varia estrazione e confermo il mio giudizio oggi. Magari potessero sottoscriverne uno simile i quadri aziendali che invece rischiano di essere trasformati nel classico vaso di coccio compressi  tra esigenze diverse.

Lo stesso vale per la gestione degli esuberi. L’universo Conad ha limitate capacità di assorbimento. Vanno sfruttate fino in fondo ma non saranno sufficienti. Meglio puntare al ricollocamento esterno. Dovessi dare un consiglio a tutti coloro che non sono in grado di gestirsi autonomamente punterei deciso verso un accordo con le società di OTP aderenti all’AISO che è l’associazione di riferimento e che ne garantisce la serietà di approccio.

Prima si comincia, meglio è per tutti. Il punto però è un altro. Cosa intende fare il sindacato? I consulenti aziendali  hanno messo sul tavolo le loro carte. Aver avviato la procedura costringe tutti a riflettere. Se si arriverà al cosiddetto “mancato accordo” l’azienda tirerà diritto. Come peraltro ha fatto fino ad ora. E questo non è un bene.

Mi è stato fatto notare che il sindacato non è tutto uguale. È vero. L’UGL ha sottoscritto la prima bozza e credo sarà intenzionata a seguire la stessa strada sulla procedura aperta. Filcams Cgil, Uiltucs uil e Fisascat cisl devono decidere come approcciare quello che è evidentemente un salto di qualità del confronto.

L’accordo di Rivoli sulla ristrutturazione dell’IPER è però un segnale positivo. C’è spazio per intese a tutela dei lavoratori e di rilancio dell’azienda. Lo sottolineo perché se il sindacato avesse voluto trincerarsi in una pura logica di scontro avrebbe trovato modo di non firmare nulla.

Sulle sedi è la stessa cosa. Possono lasciare campo libero all’azienda o negoziare il cosiddetto “piano sociale”. Nella riunione del 16 gennaio i consulenti aziendali hanno messo sul tavolo le loro carte, l’assemblea convocata oggi a Milano  dovrebbe iniziare a costruire il percorso che porti ad un’intesa altrettanto utile per i lavoratori coinvolti. L’alternativa sono le cause legali che scavano un solco alternativo al negoziato.

Può essere che qualcuno nel sindacato  ci stia seriamente pensando. La stessa rigidità degli avvocati di Margherita distribuzione potrebbe spingere in quella direzione. Mi permetto di sconsigliarla.

Ristrutturazioni di queste dimensioni non si risolvono in tribunale. Almeno per la stragrande maggioranza dei lavoratori coinvolti. I lavoratori delle sedi non possono essere trasformati in “scudi umani” per ottenere risultati ad altri tavoli da nessuna delle parti in causa. E il MISE più di tanto non può fare. Può accompagnare un’intesa tra le parti, non certo imporre soluzioni che nessuno sarebbe poi in grado di garantire.

C’è un serio rischio di contrapposizioni di interessi tra lavoratori che va evitato assolutamente. Tra i cosiddetti “ultimi” che sono quelli che non hanno alcuna soluzione a portata di mano e i “penultimi” che sono coloro i quali hanno una soluzione che si dovrà consolidare nel tempo.

Comprendo  le difficoltà per quella  parte del sindacato che ha capito benissimo che in queste situazioni non c’è spazio per la demagogia. Serve saper costruire un percorso negoziale difficile ma fondamentale per tutelare i lavoratori coinvolti. Questa è la fase più delicata dell’operazione. Quella delle scelte.

Da una parte ci sarà chi pensa che sia saggio e lungimirante  rinchiudersi in una sorta di Fort Alamo e rispondere colpo su colpo alle rigidità dei consulenti aziendali. Dall’altra chi ha capito  che è solo la determinazione messa in campo e l’obiettivo finale che è la massima salvaguardia possibile delle persone coinvolte a dare un senso alla fatica della rappresentanza e quindi all’importanza del negoziato. Il metodo “Rivoli” segnala che non ci sono alternative al confronto  pur serrato. E che laddove se ne è verificata la necessità,   le parti lo hanno compreso benissimo. 

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