Conad/Auchan. Priorità, idee e obiettivi realizzabili

Una ristrutturazione aziendale nella GDO, per quanto dura, segue uno schema classico sempre uguale a sé stesso. Semplificando per brevità, si chiudono le filiali obsolete, si restringe il numero degli addetti, si trasferisce altrove parte degli esuberi, si incentivano le cosiddette “dimissioni volontarie” e si “spera” nei prepensionamenti. Le aziende poi tentano di aggredire, se ci riescono, i costi e i vincoli della contrattazione aziendale preesistente,  o di neutralizzarne gli effetti ritenuti negativi  attraverso contropartite definite con i sindacati.

L’operazione  Conad/Auchan, a mio parere, è profondamente diversa e non può rientrare facilmente  in questo schema. Per varie ragioni. Innanzitutto per la sua complessità sul piano strategico, organizzativo e commerciale. E quindi per i rischi che comporta sia su chi l’ha progettata che per il contesto su cui ricadono effetti pesanti.

Aggiungo che ad oggi le prime 109  filiali  hanno iniziato il cambio di insegna. Quindi per una parte dei diciottomila lavoratori la soluzione è stata trovata. Adesso toccherà al piano industriale affrontare e proporre nuove idee per gli  ipermercati e, di conseguenza, un’altra parte dell’occupazione troverà così una soluzione adeguata.

Poi c’è il resto dove le soluzioni si potranno costruire solo strada facendo. Penso alle sovrapposizioni, all’antitrust, alle partnership individuabili e alle filiali non comprese nel primo giro che forse potrebbero rientrare in gioco. Quindi una ulteriore parte importante dell’occupazione troverà anch’essa, seppur in tempi diversi, una soluzione positiva.

Infine c’è chi rischia di non avere alcuna soluzione. Qui sta il punto vero.  Filiali obsolete, organici in esubero  a seguito della riorganizzazione degli ipermercati, logistica, sedi, indotto e altro. Persone che non potranno essere tutte trasferite nella rete Conad e non tutte in grado di cavarsela da sole.

Sotto questo punto di osservazione non ci vuole molto per capire che dimissioni incentivate, mobilità interna, prepensionamenti e ricollocamenti tradizionali non saranno sufficienti. Soprattutto in alcune realtà territoriali precise. Quindi  questa vertenza non approderà  ad alcun risultato utile per l’insieme dei lavoratori ex Auchan se resterà confinata nelle incomprensioni reciproche o nelle prove muscolari tra i due contendenti principali.

Sul piano del consolidamento e della prospettiva dell’occupazione, del ruolo delle parti e della gestione degli esuberi ho suggerito tre ipotesi di lavoro.  Una per chi salirà a bordo, due per chi resterà a terra.

Innanzitutto a mio parere Conad necessiterebbe di un nuovo contratto aziendale innovativo che abbia al suo interno tre capitoli principali.

1) Le persone, la loro crescita e il welfare a supporto, 2) una forma di incentivazione collettiva legata agli obiettivi di singolo punto vendita e 3) una parte della retribuzione legata anche alle performance individuali. Dignità del lavoro, professionalità, condivisione e coinvolgimento sugli obiettivi  aziendali.  A mio parere meglio sarebbe se questo contratto sostituisse con le opportune integrazioni, aggiornamenti e modifiche, lo stesso CCNL o almeno ne costituisse una parte autonoma scegliendone uno dei tre che oggi sono presenti in Conad. Sancirebbe (finalmente) la fine della cultura fordista  contenuta nel vecchio modello contrattuale applicato nella GDO.

L’alternativa è rappresentata dallo status quo. Nessun CIA e tutti uguali nel vecchio schema di uno dei tre CCNL applicati. La conferma dell’esistenza del lavoro “povero” come strategia propugnata o subìta anche nelle prossime scadenze contrattuali.

Per tutti coloro che non potranno essere compresi nel perimetro Conad occorre predisporre un progetto serio di ricollocamento esterno. Incentivi alle dimissioni, prepensionamenti, mobilità intergruppo, non credo siano  sufficienti. O, nel caso di quest’ultima, ancora in parte da costruire attraverso robusti interventi formativi.
Nelle zone più a rischio occorrerebbe mettere a regime dei veri e propri centri  operativi di ricollocamento gestiti in collaborazione con le organizzazioni sindacali territoriali. Il loro compito dovrebbe  essere quello di prendere in carico e gestire le persone in esubero operando in sintonia con l’Anpal.

Obiettivo: nessuno deve essere lasciato solo con il suo problema.

Il costo potrebbe essere ricavato attingendo dai fondi interprofessionali, dai fondi europei e, in parte, dalla stessa BDC che potrebbe a sua volta mettere a disposizione sia le risorse umane necessarie (da selezionare all’interno) e parte delle risorse  previste per il ricollocamento. insisto poi sul ruolo di Auchan. La multinazionale francese dovrebbe contribuire seriamente  sia in termini di risorse economiche da mettere a disposizione  che di offerte di lavoro vista la sua permanenza nel nostro Paese pur in altre attività. 

Al MISE andrebbero trovate le interlocuzioni necessarie per favorire una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche che favoriscano concretamente il reimpiego. Così come la possibilità di metterle a disposizione in parte a quelle aziende che  decidessero di di assumere gli esuberi coinvolti.

Aggiungo che si potrebbero addirittura predisporre degli elenchi di personale professionalizzato in esubero nei diversi territori a cui le aziende del comparto possano attingere con vantaggi da definire.

Costruito il prototipo e sperimentato sul campo nei suoi sicuri effetti positivi (formazione e ricollocamento) questo, tra l’altro,  potrebbe essere propedeutico al prossimo rinnovo del CCNL all’interno di un confronto sulla nuova bilateralità insieme al diritto soggettivo alla formazione soprattutto in un comparto dove l’evoluzione dei format e le riorganizzazioni non daranno tregua nel prossimo futuro.

Altra cosa (assolutamente legittima) è affidare alle società di outplacement gli esuberi o incentivarli alle dimissioni lasciando però le persone sole con il loro problema. È una questione di scelte.

Un’operazione di queste dimensioni può essere un’occasione di responsabilizzazione reciproca, di innovazione sociale e di sfida tra parti che si rispettano e, insieme, sanno individuare un terreno comune.

Oppure, per poco coraggio, rassegnate e costrette a ripercorrere strade note, fatte di recriminazioni, accuse reciproche e inutili ritorni al passato. Il tavolo del MISE è un’occasione importante per entrambi i protagonisti del negoziato.

Adesso tocca a loro.

 

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7 risposte a “Conad/Auchan. Priorità, idee e obiettivi realizzabili”

  1. Questa è un operazione poco trasparente, io mi sono domandato e suggerisco anche ad altri di chiederselo dove ha trovato i fondi Conad per rilevare AUCHAN ITALIA. Per questo ribadisco che le parole se le porta il vento e le risorse resteranno senza lavoro.

    1. Forse non si è accorto che Auchan se n’è andata dal nostro Paese svendendo l’azienda e lasciando allo sbando tutti i dipendenti.

  2. Salvaguardare i singoli impiegati ed operai o salvaguardare il lavoro in senso lato?
    Prendo spunto da una recente intervista a Carlo Calenda da parte di Bianca Berlinguer.
    Al giorno d’oggi i lavori manuali tendono a scomparire, tranne per i costruttori di grattacieli a Dubai, Cina e Milano. Come si concilia tutto questo con il mantenimento di un lavoro fisso per tutta la vita lavorativa?

    1. Esclusivamente con la capacità di restare aggiornati coltivando le proprie attitudini personali e professionali. Già oggi molti sono o saranno sempre più costretti a cambiare più volte azienda e lavoro. Serve una formazione permanente come diritto soggettivo al pari della previdenza o della sanità e la consapevolezza che le proprie scelte (o non scelte) determineranno il proprio destino professionale.

      1. Siamo d’accordo sull’elasticita’ degli operai ed impiegati. Però così viene meno la specializzazione dei vari settori. Tutti sanno fare tutto, però non in modo specializzato. Da tenere in considerazione tipi di lavoro e forza fisica. Io a 56 anni non sono così veloce a fare il cassiere o ad affettare la mortadella in un supermercato come invece lo è una ragazza di 25-30 anni.
        Sono molte le variabili da tenere in conto, sia dalla parte del datore di lavoro che dalla parte del dipendente.

        1. Il problema purtroppo riguarda proprio le generazioni di mezzo. Quelle che hanno costruito il loro percorso professionale tradizionale sia esso da operaio, impiegato o dirigente prevedendo solo di poter crescere nel tempo. Per loro non è facile adattarsi a continui cambiamenti e ripartenze. Questo vale anche per le imprese che non possono limitarsi a scaricare le loro scelte sulle persone.

  3. Riflessione positiva, ci vorrebbe, forse , un sindacato meno “vecchio” nei ragionamenti e nelle proposte, un’azienda in fuga più responsabile nei confronti dei collaboratori che l’hanno seguita in questi anni ed, infine un MISE, quello che ci tocca non mi sembra abbia brillato nella risoluzione delle crisi aziendali, da Pernigotti in poi…Purtroppo la vedo in salita e verso un finale già scritto.

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