Sbagliare è umano. Ammetterlo fa la differenza …
Pur di restare al suo posto ha abdicato politicamente. Carlo Sangalli ha preferito non ingaggiare competizioni con Confindustria sul terreno delle proposte, della rappresentatività e del ruolo. Si è messo in scia.
85 anni, presidente dell’Unione dei commercianti di Milano dal 1995. Nel 1996 viene eletto Presidente di Confcommercio Lombardia e dal 2006 assume la Presidenza di Confcommercio Imprese per l’Italia. Viene poi rieletto per acclamazione nel successivi tre mandati, Il 4 marzo 2010, il 12 marzo 2015 e il 15 luglio 2020. In Confindustria vigono altre regole. Nessuno punta all’eternità.
Carlo Bonomi, a differenza sua, ha intuito per tempo che, in un’epoca di evidente disintermediazione e in un contesto globalizzato, Confindustria e l’insieme dei corpi intermedi non potevano più contare sul loro “glorioso” passato. E neppure sul brand in sé. Gli imprenditori, se volevano farsi ascoltare, dovevano imparare a giocare a tutto campo. Con sindacati e governo come da tradizione, ma anche da soli magari interpretando anche i propri collaboratori per difendere insieme il perimetro di ciò che l’industria rappresenta e quindi parlare direttamente al Paese nel momento in cui il contesto sociale ed economico ha infilato anche la Politica, oltre alle dinamiche esterne e internazionali, in un pericoloso cul de sac.
La risorsa umana al centro dei principali rinnovi contrattuali, quindi il riconoscimento reciproco, gli accordi con il sindacato sul lockdown, la priorità del continuare a produrre ben oltre le richieste di ristori e indennizzi, la disponibilità alla certificazione della rappresentanza, i tentativi di concordare strategie comuni con i rappresentanti dei lavoratori nel confronto con il Governo Conte (purtroppo falliti) che hanno preceduto l’arrivo di Mario Draghi hanno consentito a Confindustria un tasso maggiore di autorevolezza e un ruolo di traino dell’intero sistema della rappresentanza datoriale che si era perso. Ultimo, ma altrettanto decisivo, Carlo Bonomi è riuscito a ricreare una idea di comunità intorno all’impresa industriale e ai suoi protagonisti. Sotto questo punto di vista l’assemblea della Confederazione in Vaticano e l’incontro con Papa Francesco hanno rappresentato un capolavoro. Confindustria ha guadagnato di nuovo un ruolo politico centrale.
Confcommercio, al contrario, è rimasta a guardare mentre uno tsunami colpiva l’intero terziario di mercato. Come spiega Francesco Maietta, responsabile dell’area politiche sociali del Censis sul Corriere Economia in un interessante articolo di Dario Di Vico: “Il Covid ha accentuato questa sensazione di fragilità dei lavoratori autonomi che si sono sentiti privati della loro energia vitale e sono approdati alla richiesta di maggiori tutele, di protezione statale”. Ristori e bonus che consentono si di sopravvivere ma che “spingono le attività autonome a dubitare di riuscire ancora a produrre più crescita e più opportunità, incerti sulla propria identità”. È qui che è mancata completamente Confcommercio. Quando perdi l’anima e la capacità di interpretare il senso di smarrimento e la realtà di chi rappresenti le parole che pronunci diventano inutili.
Carlo Sangalli non ha colto né l’importanza a suo tempo del rinnovo del CCNL come collante necessario alla pretesa rappresentanza del perimetro e non ha dato alcuna disponibilità alla certificazione della sua rappresentatività reale sul terziario di mercato i cui confini restano tuttora vaghi. Ha spento i fuochi chiedendo ristori e indennizzi ma non ha indicato traiettorie praticabili né ha dato risposte credibili al disagio identitario dei suoi rappresentati. Si è sostanzialmente defilato dalle partite che contano dal PNRR al futuro probabile di parte delle sue categorie.
Si è così accontentato di esercitare un ruolo di secondo piano mentre l’intero terziario di mercato veniva posto sotto assedio prima dalla pandemia e poi più recentemente dalla crisi energetica. Ha paventato sfracelli in arrivo ma non ha costruito le alleanze necessarie lasciando alle singole categorie interne l’iniziativa non riuscendo a fare sintesi in grado di guardare avanti come vera rappresentanza unitaria del terziario.
Alla leadership attuale probabilmente andava bene così. Anziché cambiare passo Confcommercio si è imposta il passo lento e defilato del suo Presidente. Da lì, solo modeste dichiarazioni unilaterali o interviste programmate, nessuna presenza televisiva se non accuratamente registrata, vicepresidenti inviati al suo posto negli incontri che contano. Un’appannamento complessivo che si percepisce in modo evidente nascosto ai suoi occhi dalla pletora di yes men che lo circondano. E questo al netto delle vicende giudiziarie che lo stanno coinvolgendo e che lo accompagneranno ancora per lungo tempo.
Eppure basta leggere la recente corposa sentenza del tribunale di Roma per prenderne atto. L’anziana coppia Sangalli-Aragone (l’assistente del Presidente di Confcommercio) che governa in solitudine e arroganza la confederazione ha dato ancora il meglio di sé. Si sono però fatti male da soli con le loro contraddizioni. E tutto questo per cosa?
Per tirare a campare mentre il Paese rischia, con la sua ormai acclarata fragilità, di non avere di fatto in campo, una confederazione indispensabile. L’intero terziario di mercato è così in grave difficoltà e senza una vera e autorevole rappresentanza. È dura ammetterlo ma è così.
Certamente Sangalli ha delle enormi responsabilità per il mancato rinnovamento ai vertici di Confcommercio nazionale ma non c’è stato nessuno che è riuscito a scalzarlo dal suo posto, perché ci si accontenta di vivacchiare.