Declinare crescendo?

E’ indubbio che uno degli effetti collaterali della globalizzazione e delle crisi di assestamento collegate sta travolgendo equilibri e sistemi politici nazionali. L’Europa del sud si è trasformata in un grande cantiere politico dove dalla Grecia alla Spagna passando per la Francia e l’Italia si generano pulsioni autonomiste e divisive, nuovi soggetti politici, trasformazioni in itinere di movimenti che nascono con propositi bellicosi di rottura e, in tempi relativamente rapidi, vengono studiati, blanditi e assorbiti  dall’establishment economico e finanziario internazionale.

L’interdipendenza economica rende difficile dare alle parole e ai programmi urlati nelle campagne elettorali un seguito praticabile. Quindi si producono inevitabilmente percorsi di cambiamento instabili e fragili che creano disequilibri e contraddizioni difficili da gestire. E così mentre Emmanuel Macron sta cercando di internazionalizzare il suo successo interno prima che si dimostri la sua fragilità e Alexis Tsipras di consolidare sul piano politico i primi risultati dei sacrifici a cui si è dovuto piegare, Pedro Sanchez dovrà misurarsi con le spinte autonomiste catalane e con la leadership in crescita di Albert Rivera che con Ciudadanos rappresenta, di fatto, il primo partito spagnolo.

Contemporaneamente in Italia ha preso il via l’esperienza gialloverde strumentale e opportunistica fin che si vuole ma finalizzata a rompere per sempre gli equilibri precedenti. Né la Lega né i 5S avrebbero potuto fare da soli con i risultati ottenuti il 4 marzo. Però quel giorno ha comunque cambiato tutto. A sinistra (sinistra) dove lo spazio politico si è ridotto e l’elettorato evaporato. Nel centro sinistra dove, ad oggi,  senza Renzi non si va da nessuna parte ma con Renzi non si arriva da nessuna parte. Così come nel centro destra dove l’eredità di Berlusconi ha troppi pretendenti ciascuno dei quali con scarsa possibilità di passare all’incasso.

A questo fa da contrappeso  la Lega, oggi salviniana. Sempre più inserita in un contesto europeo di risveglio nazionalistico e potenziale alleata delle numerose forze populiste presenti in tutta l’Europa. Non solo del sud e su cui aleggiano forze che vogliono mettere in discussione la tenuta politica e istituzionale del continente.  Una Lega che Salvini consoliderà magari  andando anche oltre la soglia del 30% ma cercando di trasformarla sempre più in una nuova destra di cui le caratteristiche principali sono già visibili all’orizzonte.

Una destra (destra) che non si pone il problema delle alleanze, non riuscirà a governare né le contraddizioni interne al centro destra che sono altra cosa né quelle messe in moto dalla competizione internazionale viste le caratteristiche economiche e sociale del nostro Paese. E questo  pur trascinando con sé, in questa avventura la parte più disorientata e incattivita dell’elettorato moderato e cinque stelle. Un elettorato “anti” più che “pro”. 

Io resto convinto che Salvini, ad un certo punto, finirà la benzina. E compirà lo stesso percorso in discesa con la stessa velocità  dell’altro Matteo. I penta stellati, no. Innanzitutto perché hanno dalla loro parte una parte consistente del Paese che manifesta una forte volontà di cambiare. Lasciamo stare l’entrourage della prima ora, i webeti e l’esigenza di mettere insieme una compagnia di scombinati che si offre spontaneamente al dileggio delle opposizioni.

C’è qualcosa nella scelta di molti parlamentari ingaggiati e nelle figure terze proposte nei posti chiave che fa presagire un mutamento genetico in corso nel passaggio da “movimento a istituzione” che andrebbe analizzato meglio di quanto viene fatto nella polemica al calor bianco che costringe a schierarsi o di qua o di là. Io credo ci sia una differenza generazionale quindi di approccio e di strategia tra Casaleggio padre e figlio.

Il primo era forse più visionario e proiettato nel futuro remoto, il secondo più concentrato sul consolidamento necessario del movimento nel presente e sul futuro prossimo. Da qui l’idea di una lunga vacanza per Di Battista, un incarico istituzionale per Fico e un passo indietro per lo stesso Grillo. Nei 5S si sta affermando una linea pragmatica, tutta in costruzione e ricca di evidenti contraddizioni, in linea però con l’esigenza di cambiamento espressa dall’elettorato più giovane.

Una generazione post ideologica rassegnata a dover pagare per lungo tempo un tributo pesante a chi l’ha preceduta, che non manifesta il suo dissenso nelle piazze, ma lo fa con i piedi, andandosene dal Paese o, in silenzio, con il voto. Anche quando, ingenuamente, scommette sull’illusione di un reddito di cittadinanza. Una buona parte delle nuove generazioni non vota certo inseguendo  le stranezze di Grillo ma segnala, forse in modo disordinato di non accettare più quella melassa gattopardesca messa in piedi dalle rappresentanze delle generazioni precedenti (le nostre)  con l’evidente scopo di arrivare tranquilli al proprio traguardo.  Renzi lo aveva capito ma, oltre a metterci del suo, è stato alla fine risucchiato dal gruppo che di cambiamento vero non ne voleva proprio sentire parlare.

Adesso la frittata è fatta. Vale per quella parte  dei penta stellati che lo hanno compreso più velocemente di altri ma vale anche per tutta quella parte del centro sinistra e del centro destra che presidia posizioni europeiste, moderne e riformiste. Area che vede nel macronismo, a parte le uscite estemporanee sull’immigrazione della leadership francese, una via d’uscita credibile. Vale allo stesso modo per la prospettiva stessa dei corpi sociali che rischiano di subire le conseguenze di questo lento ma inarrestabile declino.

Il documento proposto sul Corriere da Tommaso Nannicini, Marco Leonardi, Giovanni Dosi e Andrea Roventini ( bit.ly/2l8FM8q ) da un segnale utile nella direzione del cambiamento dell’Europa che andrebbe colto e rilanciato anche su altri campi. A cominciare dal lavoro. Così come quello precedente di Bentivogli e Calenda, che pur scritto in un’altra “era” politica, mantiene una sua importante validità.

Personalmente credo che siamo entrati in una fase di smottamento che produrrà assestamenti continui e imprevedibili del nostro sistema politico e istituzionale. Speriamo non letali. L’obiettivo però non può essere lasciato in mano a chi è riuscito a raccogliere ciò che di peggio c’è comunque in ognuno di noi dandogli la dignità di una proposta politica.

Occorre un nuovo progetto di grande spessore per cambiare veramente questo Paese, renderlo abitabile alle nuove generazioni, in grado di sostenere chi resta indietro e affrontare così il terzo millennio in un contesto moderno e europeo. Dall’altra parte ci sarà sempre chi cavalcherà ansie e paure indotte da questi cambiamenti epocali. Questo però non è tempo per i rancorosi, i nostalgici che si guardano indietro o per chi ha paura che il cambiamento metta in discussione il proprio orticello così faticosamente costruito. Ne per continuare all’infinito una contesa elettorale sperando nel crollo dell’avversario.

Dobbiamo avere maggiore fiducia negli altri e nelle generazioni che pur scendendo in campo in modo disordinato ci lanciano un messaggio chiaro che ci dovrebbe spingere tutti ad alzare lo sguardo verso nuove sfide.

C’è un bellissimo proverbio svedese che recita: “Il pomeriggio conosce cose che il mattino nemmeno sospettava”. Credo sia questo lo spirito giusto.

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