GDO: quando la burocrazia riesce a complicare la vita anche a fin di bene

Dal 1°gennaio è scattato l’obbligo di utilizzare i cosiddetti  ”bioshopper” per i prodotti di gastronomia, macelleria, pescheria, frutta verdura e panetteria. Queste ultime saranno biodegradabili e compostabili, nel rispetto dello standard internazionale UNI EN 13432.

Una scelta, decisa nella lotta all’inquinamento ambientale e al problema delle microplastiche nei nostri mari, che peserà però sulle tasche degli italiani: ogni esercente dovrà  vende infatti le singole buste a un prezzo di qualche centesimo. Non potrà più essere dato “gratuitamente”. Dovrà essere venduto.

Il punto sta sta qui perché non c’è in discussione la genesi del provvedimento né la sua utilità ambientale. C’è anche una discreta maggioranza degli italiani che è assolutamente convinta della bontà dell’iniziativa  secondo  una recente ricerca Ipsos anche perché in Europa si consumano, ogni anno, 100 miliardi di buste di plastica di cui, una buona parte finisce o in mare o sulle coste.

È un provvedimento quindi che poteva  soddisfare tutti se non fosse stato concepito da chi, non  è mai entrato in un supermercato. Due aspetti entrambi incomprensibili. Innanzitutto i sacchetti non possono essere distribuiti gratuitamente: il prezzo deve essere riconoscibile e separato rispetto a quello della merce. In secondo luogo il Consiglio di Stato ha disposto che i sacchetti biodegradabili per frutta, verdura, pesce e pane si potranno portare da casa, senza per forza doverli acquistare insieme alla merce.

A breve verrà emanato un dettagliatissimo regolamento. Ma chi controlla se il sacchetto è idoneo? Secondo il Consiglio di Stato, il negoziante. Ve le immaginate le discussioni alle casse, nelle ore di punta? Ovviamente con il rischio di multe salate per tutti… i gestori.

La GDO e i dettaglianti in genere protestano inascoltati ma pochi cercano di proporre soluzioni credibili pur difendendo la finalità del provvedimento. Ci ferma agli effetti collaterali, enfatizzandoli.  Il MISE tace.

Insorge la FIDA con il suo Presidente Donatella Prampolini:” La soluzione prospettata dal Ministero è totalmente avulsa dalla realtà e non tiene minimamente conto delle dinamiche che avvengono all’interno di un esercizio commerciale.” E continua:”«Siccome chi ha scritto la circolare evidentemente non ha la minima idea di quello a cui ci riferiamo, vogliamo scriverlo in maniera semplice e chiara, con esempi concreti per rappresentare l’assurdità della proposta.

Primo: i sacchetti biocompostabili utilizzati dagli esercizi commerciali sono ceduti ai consumatori sottocosto nella quasi totalità dei casi. Non si capisce quindi dove sarebbe la convenienza dei consumatori, visto che la circolare stessa impone le stesse caratteristiche ai sacchetti portati da casa. Secondo: la stragrande maggioranza dei negozi della media e grande distribuzione ha reparti ortofrutta self service; pertanto non c’è un operatore che potrebbe farsi carico di verificare l’idoneità dei sacchetti. Terzo: anche nel caso in cui i sacchetti fossero idonei, bisognerebbe contraddistinguerli con un simbolo o un’etichetta; diversamente i cassieri, che mai sono le stesse persone che operano nel reparto ortofrutta, non saprebbero come fare a riconoscere i sacchetti portati da casa. Quarto: nelle bilance è stato preimpostato il costo del sacchetto, per cui occorrerebbe stornare manualmente in cassa ogni sacchetto, sempre che si sia risolto il problema di riconoscerli. Quinto: c’è il problema della tara, che è rinviato ad un altro Ministero, ma che non è risolvibile, perché, come detto prima, i reparti sono ormai quasi tutti a libero servizio, pertanto è improponibile dover mettere un addetto per assolvere a questo compito».

E conclude:”Siamo disponibili ad un confronto immediato per trovare assieme una soluzione, che sia percorribile e che metta fine a questa continua agonia dei sacchetti, che ogni volta che  si placa, viene rinfocolata da soluzioni che hanno il solo effetto di creare confusione. Restiamo quindi in attesa di convocazione a brevissimo giro, ribadendo che daremo indicazione ai nostri iscritti di non dare seguito alla circolare».

Federdistribuzione, anziché la clava della Prampolini opta per il fioretto e propone una educata protesta:“L’applicazione di questa norma, per come definita al momento, appare di grande complessità. L’attribuzione della responsabilità ultima all’esercente sul suo rispetto richiede l’introduzione di processi specifici nell’organizzazione dei punti vendita, con il rischio di peggiorare il servizio ai clienti, costretti a sottoporsi a nuove procedure di verifica dell’idoneità dei loro sacchetti”.

Riteniamo quindi necessario procedere a una semplificazione dell’impianto della norma, che ne consenta un’applicazione nei punti vendita senza un aggravio di procedure per gli esercenti e senza disagi per i consumatori. In questo senso riteniamo che la possibilità di mettere a disposizione dei clienti i sacchetti ultraleggeri senza alcun costo possa rappresentare una valida soluzione.

Che dire. In un punto vendita non c’è mai nulla di gratuito. Quindi basterebbe un minimo sforzo di fantasia per trovare una soluzione pratica. Ma parole come fantasia, buon senso, efficienza, servizio al cliente, ambiente possono appartenere alla burocrazia? Staremo a vedere….

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