Aprirà a gennaio e non farà notizia. È un piccolo supermercato in tutto simile a quelli che vediamo aprire intorno a noi. Quelli sotto casa che gli esperti chiamano di “prossimità” perché nascono vicino a dove vivono le persone. Questo piccolo supermercato diverso da tutti gli altri aprirà a Lodi un comune a 40 chilometri da Milano località diventata famosa negli anni 50 per una canzone del Quartetto Cetra che evocava un mondo antico fatto di sentimenti semplici, d’amori lontani di un tempo che fu, quando un innamorato poteva andare a piedi da Lodi a Milano per incontrare la bella Gigogin.
Sentimenti semplici come la carità e la solidarietà. Questo nuovo punto vendita non sarà solo comodo, perché sotto casa. Lo sarà perché vicino ai problemi di povertà e di disagio sociale di chi vi abita. Sono gli “altri”. Quelli che non vediamo perché invisibili ai nostri occhi anche quando gli passiamo accanto.
Aprirà un “Emporio Solidale” proprio dove prima c’era una piccola azienda metalmeccanica, oggi chiusa, che dava lavoro a qualche decina di persone. Non è però concepito come un classico punto per la semplice distribuzione di alimenti per i poveri. Sarà un vero e proprio supermercato, dove, chi ha problemi economici che gli impediscono di frequentare perfino un discount super scontato potrà andare a fare la sua spesa con il classico carrello tra i lineari carichi di merce e poi passare alla cassa “pagando” con una tessera a punti.
L’Emporio di Lodi segue gli altri due market solidali di Sant’Angelo e di Casalpusterlengo. Il progetto nasce dalla Fondazione Casa della comunità, l’ente che comprende la Caritas lodigiana e una decina tra associazioni del territorio e sostenitori privati. Sono un migliaio le famiglie lodigiane (circa 3 mila persone, compresi 200 profughi ucraini) in un comune di 45.000 abitanti che nell’ultimo anno hanno richiesto alla Caritas una mano per andare avanti. La metà sono italiane, non hanno più di 30 anni, con un lavoro precario e figli a carico.
Anziché costrette alla fila davanti al centro di distribuzione dei pacchi alimentari come al “Pane quotidiano” di Milano, dove dal 1898 mettono a disposizione generi alimentari di prima necessità a chi ne ha bisogno, potranno scegliere sugli scaffali tra vari prodotti, ciò che preferiscono.
Quello degli Empori della solidarietà è un passo in avanti importante. A Lodi 50 volontari si occupano di tutti gli aspetti, dalla logistica alla gestione del magazzino, come in un normale supermercato. Tra di loro ci sono studenti, borse lavoro segnalate dal Comune e anche chi sta affrontando un percorso di recupero dopo il carcere. «È un grande laboratorio di confronto e lavoro», sottolineano i coordinatori del progetto.
La formula dell’emporio solidale si sta diffondendo in tutta Italia quasi tutti gestiti da volontari. Il meccanismo è sempre lo stesso: le persone che si trovano in gravi difficoltà economiche ricevono una tessera a punti grazie alla quale possono fare la spesa sia di generi alimentari sia di prodotti di prima necessità. E possono richiedere servizi di assistenza sul territorio.
Il primo emporio solidale è nato nel 1997 a Genova. Grazie a questa formula, il modello ha cominciato ad affermarsi con una crescita piuttosto stabile. Il 52% infatti sono associazioni, il 10% cooperative sociali, il 35% enti ecclesiastici diocesani o parrocchie, e il 3 per cento enti pubblici. Nello specifico le Caritas diocesane hanno un ruolo in 137 empori mentre il Csv lo hanno in 79 empori. Infine, secondo un recente studio, sono più di 1.200 le imprese che collaborano direttamente con gli empori a cominciare dalla GDO. E, cosa molto importante, gli empori “accanto al sostegno materiale, propongono direttamente o indirettamente servizi e percorsi di orientamento, formazione, inclusione e socializzazione”.
Ogni regione ha definito le sue regole per potervi accedere. Questo tipo di iniziative hanno il loro progenitore nel Banco alimentare a sua volta nato dall’intuizione di un grande imprenditore cattolico lombardo, Danilo Fossati patron di Star che coinvolse don Giussani e diede il via ad un’esperienza che, in pochissimo tempo, si è diffusa e radicata su tutto il territorio nazionale.
La loro accelerazione è stata possibile anche grazie alla legge 155/2003, ribattezzata del “buon samaritano” (Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale). Questo provvedimento ha consentito la possibilità di distribuire grandi quantità di cibo inutilizzato che, mense scolastiche e aziendali, ristoranti e supermercati erano, fino ad oggi, costretti a distruggere. Ha un suo precedente americano in un decreto firmato da Bill Clinton il 1° ottobre 1996, il “Good samaritan food donation act”.
Attualmente sono diciannove le regioni in cui c’è almeno un emporio solidale. Secondo un report FAO del 2021 ogni anno circa il 17% degli alimenti prodotti, 931 milioni di tonnellate (!), viene gettato nella spazzatura. Dati allarmanti, che stanno portando, con sempre maggior frequenza, alla nascita di diverse iniziative come quella degli empori a sostegno delle persone in difficoltà economica, che fanno fatica persino a fare la spesa.
Sugli scaffali di questi market si trovano un po’ di tutto; alimenti di prima necessità non deperibili (pasta, legumi, biscotti e latte a lunga conservazione, e alimenti freschi, come frutta e verdura, prodotti per l’igiene personale e per la cura della casa o indumenti, giocattoli, libri e molto altro ancora.Per quanto riguarda i prodotti alimentari, nella maggior parte dei casi, si tratta di eccedenze di cibo, che viene ridistribuito tra i diversi empori, rendendoli etici e sostenibili, in quanto non solo contribuiscono a contrastare la povertà e a ridurre gli sprechi alimentari, ma favoriscono anche lo sviluppo dell’economia circolare.
Oggi si punta però ad andare oltre per riuscire a recuperare i sei milioni di tonnellate di cibo che ancora finiscono in discarica. L’obiettivo è la riduzione degli sprechi ma anche delle eccedenze in tutta la filiera, e non solo nel settore alimentare. Una grande opportunità quindi per le persone e per le imprese, non solo della GDO, per riuscire a guardare oltre il proprio tornaconto come ha recentemente sottolineato l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini: “la paura che serpeggia nella città, che include difficoltà reali che si devono affrontare, spesso non si sa come, spingono a chiudersi in se stessi. Ma è giusto e doveroso sempre porsi la domanda: E gli altri?”.
Gran bella riflessione Mario
Grazie.