Grande Distribuzione cooperativa. È ora di cambiare…

Non c’è più nulla che giustifichi sul piano gestionale le differenze di costo e di organizzazione del lavoro che ancora esistono tra la Grande Distribuzione privata e quella appartenente alla cooperazione. Non ha più senso neppure avere un CCNL (contratto nazionale) separato. Lo pensano, credo, anche gli stessi  sindacati di categoria. Compresi quelli che si “ostinano” a ritenere che la “Coop non deve perdere le sue caratteristiche peculiari”.

 Ovviamente sarebbe necessario intendersi sul significato di queste caratteristiche. Così come, sull’altro versante della cooperazione, le cooperative di imprenditori stanno realizzando ottime performance in Italia e nel resto del  continente. Da Conad in Italia, a Rewe in Germania fino a Leclerc in Francia.  Il mondo cooperativo a 360° sta dimostrando ovunque una flessibilità e una resilienza importanti.  Coop stessa ha scelto di avvalersi di imprenditori locali proprio  laddove la gestione diretta si è rilevata complessa. Quindi è un mondo in evoluzione. 

Credo però che occorra individuare cosa ne debba ancora rappresentare concretamente i punti di forza e cosa, per ovvie ragioni, va superato prima che corroda l’essenza stessa del modello rendendolo incapace di reagire al cambiamento. Restano  fondamentali il rapporto con il cliente in termini di convenienza e qualità, l’integrazione con il territorio e le comunità di insediamento all’interno di  un confronto costruttivo nelle filiere. Ultimo ma non ultimo, il rispetto del lavoro. Caratteristiche identificative ma non più esclusive di quel perimetro.

Sul versante del lavoro nel mondo Coop in Italia, convivono importanti CIA (contratti integrativi aziendali). Questi ultimi restano strumenti fondamentali per governare,  azienda e sindacato insieme, la complessa fase di riposizionamento. Soprattutto sulle grandi superfici.

Storicamente la leadership sindacale è sempre stata della Filcams Cgil. Uiltucs Uil e Fisascat CISL hanno sempre giocato di sponda anche per rispetto del peso e delle difficoltà a trovare sintesi all’interno del variegato mondo del sindacato maggioritario.

Quando il mercato era favorevole e l’espansione continua avere un sindacato di riferimento che condivideva il modello cooperativo e la sua  specificità e in grado di accompagnarne lo sviluppo ha rappresentato un importante punto di forza. Per l’azienda ma anche per l’insieme dei lavoratori dei loro rappresentanti e dei territori di insediamento. I “vantaggi” e le specificità sono stati sostanzialmente condivisi. A questo proposito basta scorrere normative e contratti applicati per rendersene conto. Nelle fasi di riorganizzazione e di riposizionamento sono i “costi” e il cambio di contesto che devono essere inevitabilmente condivisi. E questo rapporto, nel bene e nel male,  è  decisivo per il futuro stesso della cooperazione.

Questo sistema, costruito sulla  ricerca del  consenso e della condivisione di responsabilità, rischia di trasformarsi, in mancanza di interlocuzione all’altezza del cambiamento imposto dal contesto,  in  una evidente “palla al piede” destinato a destabilizzare il sistema stesso.

Quindi un vantaggio competitivo, peculiare del sistema rischia, per la rapidità richiesta delle scelte necessarie imposte dal cambiamento, di trasformarsi in un handicap. La partita è quindi complessa. Il risultato dipenderà  dal livello e dalla capacità di comprensione delle problematiche da parte dei negoziatori, del rapporto con i propri militanti e la loro base, dalle dinamiche competitive tra le differenti sigle sindacali. E, ultimo ma non ultimo, dalla capacità del management aziendale di guidare il negoziato verso l’approdo voluto senza ingaggiare inutili sfide di principio o forzature dialettiche.

In Coop Alleanza 3.0, gli aspetti gestionali da affrontare sono altri. A partire dalla necessità di poter disporre, in maniera flessibile, delle ore lavorabili nelle fasce orarie di maggior afflusso della clientela. Problema abbondantemente risolto nella maggior parte delle insegne concorrenti. Con la domenica che da sola porta il 12% del fatturato e l’80% delle vendite concentrate dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 17.00 in poi,  il problema è reale. Così come l’attuale programmazione plurisettimanale dell’orario di lavoro non regge più in un contesto contraddistinto da una marcata imprevedibilità nell’utilizzo dell’organico.

L’azienda, credo, proponga di passare almeno ad una programmazione settimanale considerato che in molte realtà concorrenti esistono orari giornalieri spezzati e programmazione addirittura giornaliera da ben oltre un decennio. Altre proposte riguardano la gestione dell’orario dei lavoratori part-time, il superamento del riconoscimento economico delle pause, l’utilizzo maggiore del personale, oggi esonerato, nelle aperture domenicali. Tutte richieste che mirano ad un utilizzo più razionale e produttivo dei lavoratori.

Il sindacato ha preso tempo con un comunicato che lascia però perplessi. Coop non ha mai cercato  lo scontro per lo scontro. Pensare però di governare questi passaggi, da parte sindacale, penalizzando interlocutori non certo ostili credo sia  un errore. Tra l’altro in Coop sul riconoscimento del lavoro esiste mediamente una piramide rovesciata. Ai livelli più bassi le tutele economiche e normative, quindi i costi, sono maggiori e, rispetto ai concorrenti, si ridimensionano  solo con il crescere della scala parametrale. Quindi i diritti fondamentali e le retribuzioni sono ben tutelati. E ritenere il perimetro dei cosiddetti “trattamenti di miglior favore” per una parte dei dipendenti come insindacabile in una fase di riposizionamento organizzativo è un atteggiamento molto rischioso.

Il recente accordo siglato in Carrefour dimostra che certi passaggi possono essere anticipati e gestiti correttamente proprio per evitare pesanti danni collaterali. Dichiarare semplicemente “irricevibili” le proposte espresse da Coop Alleanza 3.0, se depurato dal solito gioco delle parti significa non comprendere la posta in gioco e rinunciare in partenza ad un ruolo da protagonisti di questa fase. Il confronto fortunatamente non si è interrotto. E questa è l’unica buona notizia.

Continuo a pensare che quello che ha rappresentato in termini di maggiore costo e maggiori tutele una caratteristica peculiare dell’approccio sindacale in Coop rispetto all’intero comparto potrebbe in questa fase essere parte di una rinegoziazione complessiva  che consenta di sperimentare strade nuove proprio a partire dal CIA mettendo al centro il lavoro in termini di formazione, crescita professionale, sicurezza, qualità del servizio e obiettivi economici legati all’andamento dei diversi siti.

Ridisegnare il ruolo delle grandi superfici oggi in crisi ricercando recuperi di produttività e coinvolgendo i lavoratori nella vita del punto vendita e dell’impresa rappresentano  la vera sfida. Non solo alla Coop. 

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