Grande Distribuzione e festività lavorative.

Ci risiamo. Con l’avvicinarsi del Natale riesplode la polemica sulle festività diventate lavorative. Da oggi i detrattori possono contare sul supporto anche del movimento 5 stelle.

Pensavo però di aver letto la motivazione più grottesca in rete da parte di una supporter del movimento: “ I centri commerciali servono ad abituare il popolo al superfluo spendendo soldi che non ha e quindi ad indebitarsi mentre gli distruggono scuola e sanità”.

Davide Casaleggio però l’ha superata sostenendo che gli italiani devono restare a casa per passare le feste in famiglia e così, finalmente, imparare a comprare on line.

La polemica è al calor bianco. La Politica in difficoltà tenta di invadere tutti i campi. ILVA, Amazon, Ikea, Alitalia, orari o tipologie contrattuali sono i nuovi campi da battaglia. Sullo sfondo i sindacati la cui voce fatica a farsi sentire. I media amplificano a dismisura il nulla di queste discussioni.

Mentre il “popolo”, imperterrito, continua a frequentare i centri commerciali, gli outlet e quant’altro perché nel resto della settimana ha probabilmente altro da fare.

Il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli lo aveva previsto già ai tempi delle liberalizzazioni che voler affidare alla Politica il compito di decidere a livello nazionale le aperture dei punti vendita avrebbe potuto rappresentare un boomerang al primo cambio di vento. Così è stato.

Oggi ribadisce una proposta assolutamente ragionevole: libertà di apertura in qualsiasi giorno dell’anno con 6 giornate di chiusura obbligatorie e sei facoltative. Vedremo come andrà a finire.

Avendo lavorato molti anni nella Grande Distribuzione mantengo la mia opinione di sempre: la libertà di apertura dovrebbe essere 365 giorni all’anno e H24. Senza se e senza ma.

Questo è un momento critico per il comparto. Margini e fatturati sono in crisi. Il rischio che, affrontando superficialmente il problema, ci siano conseguenze anche sul piano occupazionale è molto alto. Casaleggio poi se la prende con le multinazionali “francesi e tedesche” e qui siamo veramente alla follia.

Una  Grande Distribuzione “francese e tedesca” come peraltro nel resto d’Europa, sarebbe perniciosa per il nostro Paese.  Purtroppo  quella tedesca ci ha già in parte lasciato (REWE) e in altra parte  vorrebbe investire massicciamente (ALDI) mentre quella francese vive le stesse difficoltà di quella nostrana.

E così mentre i metalmeccanici si battono sull’ILVA, pur sapendo di avere interlocutori fragili, contro una parte della politica e dell’opinione pubblica questo non avviene per i sindacati del terziario che preferiscono  scomparire dai radar accodandosi agli abolizionisti pensando di riuscire guidarne le mosse e non, come purtroppo avverrà, di gestirne le conseguenze.

È vero c’è un problema di rapporto tra ecommerce e mondo reale, tra grande e piccola distribuzione e tra settori che hanno esigenze differenti che andrebbero finalmente affrontare in base al principio “stesso mercato, stesse regole”.

Ma che gli interessi e le strategie di un intero comparto economico in difficoltà siano preda delle scorrerie della Politica è semplicemente vergognoso.

E c’è sicuramente anche un problema di rapporto e di comprensione della qualità e della quantità del lavoro nel comparto. Purtroppo si parla spesso del livello (basso) delle retribuzioni, del lavoro festivo e del suo riconoscimento economico, della flessibilità degli impieghi proposti.

Molto meno del fatto che quasi tutte le aziende della Grande Distribuzione investono più di altri settori nella formazione e nello sviluppo e nella crescita professionale di una parte consistente delle loro risorse umane.

Certo il fatto che Federdistribuzione si sia infilata in un vicolo senza uscita sul contratto nazionale non ne consolida l’immagine complessiva però le aziende non si sono comunque fermate. Molte hanno rinnovato la loro contrattazione aziendale, i programmi di assunzione, formazione e di crescita sono attivi e ci sono spazi maggiori per il lavoro femminile e per i giovani.

È vero. C’è anche una parte consistente di lavoro povero. Ma basterebbe entrare in un supermercato per capire che molte delle persone che vi lavorano non avrebbero nessuna chance altrove.

C’è tutta un’area di lavoro trasparente e marginale che ruota intorno alla GDO, alla logistica, alle cooperative, ai subappalti (tipo pulizie e mense) e in altri comparti accessori su cui c’è poco da fare.

Dietro un’apertura festiva c’è però anche tutto questo. E sono decine di migliaia di persone. Per questo un maggiore equilibrio nelle discussioni sarebbe auspicabile.

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