Grande distribuzione. Il contratto lo porterà Babbo Natale…

Questa sembra essere  la volta buona. Gli sherpa dei sindacati Fisascat Cisl, Filcams Cgil, Uiltucs UIL e di Federdistribuzione sono al lavoro sotto traccia per limare le ultime divergenze e per poter arrivare al confronto finale. Forse, prima di Natale avremo il quarto contratto applicabile alle imprese della  Grande Distribuzione.

Al di là di ciò che si potrebbe pensare,  la situazione di oggi richiede comunque uno scatto in avanti. La pressione sul settore è fortissima. Una parte del Governo ha dimostrato ampiamente di voler “aggredire” la GDO su più versanti. Sul lavoro (qualità, quantità e sua distribuzione) i 5S hanno purtroppo assunto la posizione dei Cobas. Sulle domeniche e sulle festività prevale, nella migliore delle ipotesi una visione passatista. 

Dario di Vico ne ha tratto una valutazione assolutamente condivisibile quando afferma che ”l’impressione è che il Ministro Luigi Di Maio non abbia intenzione di cogliere la complessità di queste trasformazioni e usi l’argomento delle chiusure festive come una facile “reductio ad unum” dei problemi del settore.”

E questo senza considerare che sembra esserci una grave sottovalutazione dell’importanza e dell’evoluzione di  luoghi dedicati ai consumi ma anche all’intrattenimento e al divertimento di massa.

Probabilmente nel Governo c’è chi ha intuito la deriva abolizionista sulla quale i 5S volevano spingersi e sta cercando di ammortizzare le spinte più estreme cercando interlocutori nell’associazionismo imprenditoriale in grado di  proporre mediazioni accettabili. Andrea Dara il relatore (leghista) sulla materia nella commissione attività produttive, pur confermando di voler andare avanti nella regolamentazione apre a ciò che ha prodotto  il confronto con gli operatori del settore.

Nonostante questo contesto con forti rischi di  penalizzazioni e di peggioramento della situazione economica le aziende  del settore continuano a investire, affrontano la crisi dei formati distributivi e la forte competizione tra imprese come meglio possono cercando di strutturarsi per affrontare i nuovi competitori che si muovono con ben altra libertà di azione mettendo  così   in forte tensione fatturati e margini.

Possiamo discutere se un nuovo contratto nazionale praticamente simile a quelli già firmati da Confcommercio e Confesercenti era indispensabile o sarebbe stato meglio seguire altre strade. L’unica cosa indiscutibile è che l’assenza di un contratto acuisce le tensioni con la politica, crea situazioni di dumping tra le imprese e danneggia i lavoratori coinvolti.

Quindi la scelta di provare a sottoscriverlo comunque è da segnalare come un dato positivo. Un segnale distensivo fondamentale in questa fase.

Tra l’altro molte aziende applicano già il contratto firmato da Confcommercio e altre avevano anticipato questa decisione concedendo tranche o addirittura applicando gli aumenti contrattuali definiti da Confcommercio stessa.

Quali insegnamenti si possono trarre da questa vicenda?

Innanzitutto che dal 30 marzo 2015, momento in cui le aziende aderenti a Federdistribuzione, non hanno applicato il nuovo CCNL è cambiato profondamente il contesto economico, politico e sociale. Sul piano economico interno alle imprese l’analisi della GDO era sostanzialmente corretta. I CEO delle aziende del comparto avevano ben altri problemi su cui concentrarsi.

Sicuramente non erano disponibili ad accettare passivamente un rinnovo che aggiungesse costi certi senza contropartite credibili. Federdistribuzione ha interpretato correttamente quel disagio senza però riuscire a fornire un punto di mediazione credibile ai problemi delle imprese e alle esigenze dei sindacati. Questo ha rappresentato il vero limite di quell’idea di autosufficienza della rappresentanza: non capire che stava iniziando una deriva nuova, estremamente pericolosa e che la voglia di procedere in solitaria avrebbe solo accentuato.

D’altra parte gli stessi sindacati del settore (chi più, chi meno) si sono lanciati con grande improvvisazione in questa operazione lanciando segnali contraddittori a destra e a manca. La stessa vicenda delle domeniche e delle festività ne ha segnalato i limiti. Contrari ideologicamente, favorevoli se coinvolti. Lo stallo è risultato inevitabile.

Sul piano politico, almeno dal marzo di quest’anno, l’avversione dei 5S si è manifestata con una virulenza senza pari. Sul piano culturale sposando le tesi datate e azzardate della sociologia più estremista, sul piano del lavoro individuando, arbitrariamente, nella retribuzione contrattuale in sé e nelle maggiorazioni del lavoro domenicale, una insufficienza a prescindere. Ma anche disconoscendo di fatto  l’enorme impegno di formazione e sviluppo professionale messo in campo dalle aziende della GDO.

Infine, non comprendendone la specificità,   mettendo in discussione la logica e l’equilibrio economico stesso di un centro commerciale, dove coabitano attività e decine di contratti di lavoro e settori merceologici diversi. Cos’altro significa dichiarare la domenica e le festività la nuova linea di demarcazione tra esigenze e diritti del singolo lavoratore contrapponendoli a quelle delle imprese e dei consumatori senza comprendere che, oggi, un centro commerciale, pur in difficoltà è ristorazione, intrattenimento, svago e, perché no, consumo.

Comunque la si voglia vedere la debolezza di risposta del comparto in rapporto alla politica e ai giganti della rete è stata però insufficiente. La GDO più che moderna è apparsa fragile e isolata. Una fragilità superabile solo se saprà costruire una visione comune a tutto il comparto della distribuzione indipendentemente dalla taglia o dalla merceologia. O all’appartenenza organizzativa.

E’ l’idea del pluralismo commerciale e distributivo che deve riprendere fiato e spessore. Piccoli e grandi non devono più confrontarsi e litigare sul pianerottolo di una casa ormai troppo angusta mentre a fianco cresce un nuovo mondo senza freni e in assenza di regole comuni condivise.

La distribuzione italiana deve tornare a parlare la stessa lingua. Piccola o grande, cooperativa o indipendente, nazionale o multinazionale. E deve saper convergere su  una prospettiva comune, seppure rinnovata. Le ultime vicende lo hanno ampiamente dimostrato.

Nessuno si salva da solo. La probabile firma del CCNL toglie un problema dal tavolo. Speriamo non se ne aggiungano subito  altri. 

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