“Entrare come addetto alle vendite e diventare CEO”. Il quotidiano francese Le Figaro ha dedicato al tema, qualche tempo fa, un servizio interessante. È un problema vero perché l’ascensore sociale si è interrotto quasi ovunque. Resistono alcuni comparti che offrono ancora questa prospettiva professionale. Nella grande distribuzione, ad esempio, poter crescere, indipendentemente dal punto di partenza e dai titoli posseduti e far crescere professionalmente i propri collaboratori, è una pratica ancora diffusa e condivisa.
Per ascensore sociale si intende quante possibilità hanno i figli di genitori con un reddito modesto di riuscire a ricoprire incarichi più importanti e meglio remunerati. È, in sostanza, il processo che consente e agevola un cambiamento del proprio stato economico e sociale di partenza. Non sempre e non solo grazie alla sola istruzione scolastica terziaria. L’istruzione resta, citando Malcom X, «il passaporto per il futuro, il mezzo per prepararsi ad affrontarlo». E questo deve essere chiaro. Ma oggi, da sola non basta. Serve, una volta entrati in azienda, conoscere e sapersi muovere “dalla parte delle radici”.
È quindi l’impegno personale, la capacità di sacrificarsi e sentirsi parte del team nel quale si è inseriti, è la voglia di crescere e di affrontare sfide crescenti, è la qualità e la disponibilità dei capi incontrati che possono valorizzare o meno le caratteristiche delle persone. E a non dimenticarsele quando, emigrando in altre realtà del comparto, grazie a queste relazioni, si riformano squadre vincenti. Tutto questo crea quelle capacità e quella personalità professionale che può fare la differenza. Non sempre è sufficiente ma molto spesso funziona. E nella GDO, per chi non ha fatto esperienze altrettanto significative in altri comparti o in altre posizioni aziendali, è il punto vendita il primo step. Ed è da lì che si parte per crescere.
L’elenco di chi ce l’ha fatta è lungo. Non faccio nomi perché sarebbe troppo facile, per me, dimenticare qualcuno. In quasi tutte le insegne sono i risultati personali e di team che favoriscono la crescita professionale. Almeno fino ad un certo livello. E questi professionisti formano l’ossatura fondamentale di ogni insegna: il cosiddetto middle management. Penso agli specialisti di pescheria, panetteria e ortofrutta. Penso ai capi reparto e i direttori di punto vendita. Macellai e salumieri che determinano il successo dei loro punti vendita. Vere e proprie scuole aziendali di prim’ordine, non sempre riscontrabili sul curriculum.
Nella GDO, non c’è purtroppo, una scuola professionale riconosciuta come ALMA a Parma nel cuore della Food Valley italiana. Una scuola dedicata alla cucina e all’ospitalità che coinvolge oltre 1000 allievi ogni anno e rilascia un diploma riconosciuto a livello internazionale. Le scuole pubbliche, penso ad esempio a quelle di macelleria, chiudono da noi e proliferano nell’Europa dell’Est. La GDO pur in grande difficoltà a reperire risorse di qualità non è ancora arrivata a pensarsi come comparto nel suo insieme. Ogni insegna fa per sé e, per ora, ciascuna di loro riesce ancora a mettere in campo professionisti che andrebbero però conosciuti e valorizzati all’esterno perché fanno veramente la differenza. Il loro CV fuori dalle mura aziendali pesa troppo poco. Con molti di loro sono stato collega, altri li ho visti crescere e li seguo oggi nella loro carriera, altri ancora ho avuto la fortuna di conoscerli nei colloqui di lavoro e di seguirli nel tempo. Tra coloro che ce l’hanno fatta e che non conosco personalmente cito simbolicamente Maura Latini Presidente di Coop partita anch’essa dal basso. Dalla barriera casse.
Élisabeth Borne, primo ministro francese, per questo ha recentemente reso omaggio alla politica di Decathlon. “Penso che se vogliamo avere una maggiore coesione nel nostro Paese, tutti dovrebbero poter avere prospettive di ascesa sociale, di promozione sociale”, ha sostenuto ad un recente incontro del Medef, la Confindustria francese. L’esempio che aveva in mente era proprio Decathlon. I percorsi interni di carriera sono infatti parte integrante del DNA dell’insegna degli articoli sportivi. I suoi dirigenti hanno iniziato la loro carriera, con poche eccezioni, in un negozio della catena, in fondo alla scala gerarchica. Come l’attuale direttore generale Francia di Decathlon, nominato nell’agosto 2022, Bastien Grandgeorge. Il quarantenne si è unito al gruppo nel 2002, come tirocinante responsabile di reparto presso il negozio di Aix-en-Provence (Bouches-du-Rhône), prima di ricoprire diverse posizioni a livello internazionale (in Repubblica Ceca e Slovacchia, Sud-Est asiatico, Irlanda). Dopo un breve periodo presso Auchan (anch’essa di proprietà del gruppo Mulliez), è stato rimpatriato da Decathlon per diventare il suo DG France. Lo stesso vale per la maggior parte dei DG di Decathlon. Michel Aballea, che ha guidato il gruppo dal 2015 al 2022, ha fatto il suo debutto nell’azienda in un negozio di Brest (Finistère) negli anni 1980. Il suo predecessore Yves Claude (2000-2014), è entrato in Decathlon come capo reparto, prima che anche lui scalasse la scala. La nomina di Barbara Martin Coppola a CEO dell’azienda nel 2022 ha quindi costituito un piccolo evento nella “casa blu”, poiché questa non ha fatto le sue gambe a Decathlon, ma a Ikea, Google, YouTube o Samsung.
Decathlon viene citata ad esempio perché, in Francia, poche grandi aziende offrono prospettive di carriera così ampie. Sempre oltralpe si può citare Kiabi, il cui direttore generale Francia dal dicembre 2022, Ouarda Ech-Chykry, di 34 anni, ha iniziato all’interno del marchio prêt-à-porter come apprendista, come parte del suo master in risorse umane e gestione. Oppure Leroy Merlin, che non ha esitato a nominare quest’anno a capo della sua filiale francese Agathe Monpays, 28 anni. La giovane donna aveva iniziato lì la sua carriera come capo settore a Valenciennes (Nord) nel 2016. Possiamo finalmente pensare all’esempio dell’ormai ex-PDG di Picard Surgelés Cathy Collart Geiger, che dopo i suoi studi ha iniziato da Auchan come capo reparto. Recentemente, parlando di Amazon e della determinazione del CEO Andy Jassy di rilanciare la presenza nel retail ho citato Tony Hogget l’attuale SVP World Wide Grocery Stores o il suo vice Peter Bowrey (https://bit.ly/3YzV3Rw). Hogget è partito dal piazzale di Tesco a Bridlington come “trolley boy”. Il merito e i risultati in questi casi hanno pagato.
Purtroppo i tempi cambiano e le generazione che si affacciano sul mercato del lavoro rischiano di non avere la possibilità di un “apprendistato” adeguato. Certe professionalità non si creano senza adeguati percorsi di crescita strutturati. E se oggi la difficoltà a trovare risorse comincia a farsi sentire in molte insegne, presto i problemi coinvolgeranno il tema delle figure chiave, compreso quello della loro provenienza internazionale. Alma oggi vanta studenti provenienti da più di 85 nazioni diverse. Certo parliamo di cucina e di ospitalità dove siamo riconosciuti come leader nel mondo e non di Grande Distribuzione dove i leader riconosciuti sono altrove.
Ma i CEO della GDO più lungimiranti non possono sottovalutare a lungo la carenza di capacità e competenze professionali nelle nuove leve del comparto sommata alla contemporanea uscita di scena dei migliori professionisti e quindi dotarsi di una strategia comune adeguata di comparto sapendo che la singola insegna da sola sarà sempre meno in grado di trovare risposte adeguate. Soprattutto in un mercato del lavoro destinato ad attrarre risorse al di fuori dei confini nazionali. Anche perché, lo dico sommessamente, se vogliamo essere obiettivi, le stesse insegne che oggi scelgono di non collaborare tra di loro per formare giovani professionisti di comparto sanno benissimo che, una volta formati e messi in campo nella singola azienda, spesso diventano preda facile della concorrenza. Un’altra sfida, quella della formazione e della sua certificazione, che le associazioni di comparto dovrebbero presidiare.