I fatti non cessano di esistere solo perché noi li ignoriamo. A. Huxley

Eppure c’è un sottile filo logico che lega la vicenda Arcelor Mittal, il reddito di cittadinanza, la guerra alle auto aziendali, la regolamentazione proposta sui rider e la voglia di intervenire sul lavoro domenicale. Senza dimenticare il disinteresse evidente per la gestione delle crisi aziendali e settoriali come quello sulla necessità di promuovere la crescita dimensionale delle nostre imprese il consolidamento e il loro sviluppo sviluppo, come nel caso dell’industria, e infine di dotarsi di una strategia a tutela del lavoro e dei siti produttivi nelle operazioni che vedono protagoniste le nostre imprese a livello nazionale e internazionale.

C’è un’idea del lavoro e dell’impresa subalterna, assistita, rassegnata, statica. In filigrana si percepisce che il metronomo utilizzato  è l’inevitabilità dello sfruttamento e della presenza  dello  sfruttatore con la tuba e quindi la necessità di introdurre un indennizzo al torto comunque subìto a favore del soggetto più debole. Un indennizzo economico che sostituisce l’idea di riscatto sociale e territoriale, di possibile crescita personale, di riconoscimento del merito individuale.

L’impresa e il lavoro per i 5s sono così fotografati nella loro essenza peggiore. Per questo l’impresa va punita a prescindere. Per questo l’imprenditore si trasforma in “prenditore”. E di conseguenza chi, nel lavoro, ha successo viene indicato come privilegiato e basta. Il movimento si traveste così in novello Robin Hood a difesa della plebe. Non è interessato al risanamento del Paese, né a sostenerne la crescita o investire nel futuro.

I 5s non hanno alcuna idea  riformatrice e di cambiamento. Né di innovazione vera. Vogliono semplicemente caricare il peso di questa impotenza progettuale sulle spalle di chi ce l’ha fatta. Nell’impresa e nel lavoro. O, in alternativa,  mettergli piombo nelle ali. Per questo faticano ad ascoltare quella parte del mondo delle impresa e del lavoro che chiede solo di essere messa in condizioni di poter fare e, al contrario, danno grande credito a quella parte che non aspira ad alcun cambiamento e che quindi si accontenta di sovvenzioni, mance o tutele di vecchio conio.

La vicenda del lavoro festivo ne fotografa una delle tante evidenze. Il problema non è quello di lasciare alla singola impresa il diritto di decidere se aprire o meno in base alla sua convenienza economica o sostenere legittimamente che il lavoratore abbia il giusto riconoscimento economico ma, al contrario, di intromettersi in una materia complessa composta da libertà di impresa, diritti dei lavoratori ma anche dei consumatori, rapporto tra grande e piccola distribuzione, concorrenza tra on line e off line, fisco diseguale, crisi dei consumi e dei formati, investimenti nazionali e internazionali e conseguenze sull’occupazione prendendo un aspetto assolutamente marginale della questione  e trasformandolo nell’elemento centrale su cui formulare la propria tesi che, essendo un pregiudizio,  non è discutibile.

In fondo il punto di contatto con Salvini c’era eccome ed era proprio sul terreno del rancore sociale.  Per i 5s rivolto a chi occupa il gradino appena sopra per l’ex alleato quello appena sotto. Ancora più se di diverso colore e provenienza. Messo quindi intorno ad un tavolo con PD e ITalia Viva,  DI Maio stona, sembra Gennarino Carunchio interpretato magistralmente da  Giancarlo Giannini in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Wertmüller. Attratto dalla gestione del potere ma estraneo allo stesso.

Spinto quindi a recitare più parti in commedia per evitare l’accusa di subalternità e imborghesimento. Di Maio ha capito che il Premier, Giuseppe Conte, non è disposto a fare la fine del topo e che non può consentire  imboscate. Quindi lo provoca. Lo stesso riposizionamento del movimento, allo studio di Casaleggio Jr rischia di non prevederlo come leader esclusivo. L’idea di Casaleggio è profondamente diversa dal progetto immaginato da suo padre e dal movimentismo anti sistema di Grillo e conta sul fatto che a destra c’è ormai  una parte consistente dell’elettorato che non è ancora conquistato dal Salvinismo soprattutto al sud e che però non è disponibile  ormai da tempo ad andare con il centro sinistra. Piuttosto si rifugia nell’astensione.

Un elettorato che ama le intemerate anti imprese, soprattutto multinazionali, che nutre rancore verso i vincitori della globalizzazione ma anche verso il relativo successo del vicino di casa sia esso pensionato, manager o semplicemente una persona felice. Un elettorato che ha assunto  come proprio il linguaggio che fu di una parte della sinistra anti parlamentare ed extraparlamentare e che si nutre delle trasmissioni televisive che propinano ogni sera un Italia in bolletta per colpa della politica e dei sindacati e che giustifica il suo immobilismo e il rancore.

È l’Italia che non ha nessuna intenzione di “muovere il culo” come direbbe Forchielli, che vuole semplicemente vedere il prossimo affondare insieme a sé piuttosto che provare a riscattarsi insieme. È il peso vero con cui i riformisti nel nostro Paese devono fare i conti.

È l’Italia che applaude il vincitore di turno ma è pronta a lasciarlo alla prima occasione, che tra i furbi e i fessi si mimetizza tra i fessi che si credono furbi. Che non vuole cambiare nulla. Vuole solo stare alla finestra, potersela prendere con qualcuno e continuare ad alimentare quella che Luca Ricolfi ha descritto con maestria nel suo ultimo libro “La società signorile di massa”. È l’Italia che guarda dietro di sé con nostalgia, che sopravvive a sé stessa, che contesta ma si riconosce ancora nelle vecchie lobby del 900, che si chiude nel suo individualismo dove solo lì, fa valere tutto e il suo contrario.

Un Italia che si regge sul reddito e su ciò che hanno accumulato nel tempo padri e nonni e che spera, illudendosi, che questo possa durare all’infinito. Ai riformisti seri, a tutti coloro che pensano che valga la pena contribuire alla costruzione di un Paese diverso spetta una lunga traversata nel deserto però con una compagnia coerente e leale.

Temo che a questa compagine messa in piedi giustamente per fermare una deriva che avrebbe innescato un effetto domino e quindi un’infezione pericolosa non solo nel nostro Paese  sia necessaria una data di scadenza relativamente sensata forse diversa da quella che si era ottimisticamente preventivata.

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