Nella Grande Distribuzione le aziende che considerano la contrattazione aziendale come esclusivamente aggiuntiva rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale si contano sulle dita di una mano. Nella stragrande maggioranza delle insegne la cosiddetta contrattazione di secondo livello, non esiste, o è stata superata, o è stata congelata. Dove permane, ha assunto caratteristiche “restitutive” o di scambio. In altre parole il negoziato, quando c’è, prevede un equilibrio tra aumenti salariali e innovazioni normative a favore dei lavoratori, con interventi tesi a superare vincoli organizzativi o situazioni stratificate nelle negoziazioni precedenti o modalità applicative particolari derivate da disposizioni di legge. Oppure a consolidare una situazione oggettiva di fatto mai codificata. Siamo quasi sempre di fronte, in sostanza, a un “do ut des” che tende a sacrificare per entrambe le parti “il meno al più”. Il particolare, al generale.
La vertenza Ikea è interessante perché coinvolge temi che appartengono a tutta la GDO, alimentare e no food: la distintività delle mansioni, l’inquadramento, la flessibilità della prestazione, il part time involontario e l’utilizzo delle deroghe previste dalla legge. Esigenze che il CCNL della distribuzione moderna, non ha saputo affrontare per tempo e che si ripresentano in modalità carsica laddove il confronto in sede aziendale le fa riemergere. È così mentre su altre partite, Federdistribuzione è riuscita a mettere concretamente a fattor comune esigenze e obiettivi, sul lavoro è rimasta ai blocchi di partenza. Ikea è quindi “costretta” a fare da sé ribadendo le proprie esigenze organizzative accompagnandole però dalla disponibilità di individuare nel negoziato un punto di incontro con i sindacati di categoria.
In Ikea l’ultimo rinnovo risale al 2018. Sette anni dove i cambiamenti nel Gruppo svedese sono stati profondi sia sul piano del management a cominciare dal CEO Jesper Brodin, che su quello della ritaratura delle priorità e degli obiettivi di business. Attraverso la strategia globale “People & Planet Positive”, IKEA si impegna a diventare un’azienda con impatto positivo sulle comunità e sul pianeta entro il 2030 senza però sottovalutare il conto economico che è ritornato centrale come altrove. Soprattutto in un contesto internazionale come quello che stiamo attraversando. Cambiamenti profondi ci sono stati anche nell’organizzazione del lavoro dei quasi 40 punti vendita italiani e nella qualità e quantità della prestazione lavorativa richiesta ai circa 8mila co-worker. Cambiamenti consentiti dalla legge e dai contratti in essere già avvenuti che l’azienda, vuole di fatto, semplicemente consolidare e il sindacato, al contrario, tenta di rimettere in discussione.
Da qui lo sciopero nazionale, dopo mesi di trattative, proclamato da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs. Che sia un confronto complesso lo si può comprendere dalle posizioni espresse dalle parti. Per l’azienda credo sia difficilmente comprensibile la richiesta di ritornare indietro. Applica leggi e deroghe che consentono flessibilità e modellano l’organizzazione e l’organico sui flussi e sulle esigenze della clientela. Il suo obiettivo al tavolo negoziale, al di là dell’aumento salariale, è semplicemente di aggiungere interventi sia sul versante del welfare che delle maggiorazioni, ritenute migliorative rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale. Da qui le proposte che prevedono, ad esempio, maggiori investimenti in formazione per sostenere i percorsi di sviluppo dei co-worker attraverso l’accrescimento delle competenze specialistiche, e l’introduzione di un importo annuale per tutti i lavoratori da poter spendere su una piattaforma di welfare in beni o servizi. Benefit innovativi quali un supporto alle persone che accedono a percorsi di procreazione medicalmente assistita o nei confronti di co-worker che intraprendono percorsi di transizione di genere, incremento delle maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo e creazione di un premio uguale e proporzionale a tutti i co-worker. Così come nei nuovi “Plan And Order Point” (PAOP) che sono formati innovativi più vicini ai clienti, dove l’azienda ribadisce che all’interno degli stessi tutti i diritti sindacali previsti dalla normativa vigente sono garantiti.
I sindacati replicano denunciando un progressivo smantellamento delle tutele, con la volontà di introdurre un trattamento differenziato tra vecchi e nuovi assunti che genera profonde disparità all’interno dell’azienda con un sistema che, invece di premiare le competenze acquisite, ridurrebbe le prospettive di carriera. Inoltre segnalano anche l’alto tasso di contratti part-time, spesso senza possibilità di trasformazione in full-time. Infine, per alimentare mediaticamente la polemica non poteva mancare la stoccata sul piano valoriale: «Mentre l’azienda si presenta come un modello di sostenibilità sociale, nei fatti sta comprimendo i diritti dei lavoratori», sottolineano i rappresentanti di Filcams, Fisascat e Uiltucs. La mobilitazione sindacale è destinata così ad inasprirsi. È già stata proclamata un’altra giornata di protesta, che coinvolgerà i lavoratori delle sedi Rcmp (i centri per la progettazione da remoto) e So (Service Office). I sindacati promettono ulteriori iniziative se l’azienda continuerà a mantenere posizioni rigide al tavolo delle trattative. Le richieste dei lavoratori sono articolate ma chiare: rinnovo del contratto integrativo con aumenti salariali equi, parità di trattamento tra tutti i dipendenti, maggiore tutela in caso di malattia, mantenimento della volontarietà del lavoro festivo e riconoscimento delle professionalità con reali opportunità di crescita interna. Per ora, il dialogo si è interrotto.
Il fatturato complessivo di IKEA nel 2024, ha superato i 45 miliardi di euro. Nel nostro Paese l’azienda è presente da 34 anni con oltre 2 miliardi di fatturato. Ikea italia è il 5° mercato per il colosso svedese. “A dimostrazione di quanto crediamo in questo mercato, nel 2025 torneremo a investire sul formato di grandi dimensioni, a Elmas, in provincia di Cagliari, ma non mancheranno aperture di nuovi Plan&Order Point (15 aperti nell’ultimo anno in Italia)”, ha affermato in un’intervista Jesper Brodin, Chief Executive Officer di Ingka Group, la holding cui appartiene Ikea. L’anno scorso, Ikea è riuscita ad aumentare il volume delle vendite e il numero di visitatori. Il fatturato è calato perché la catena di mobili ha tagliato i prezzi. Tuttavia, Ikea si è dichiarata soddisfatta dell’aumento delle quote di mercato pur in un mercato in contrazione. “In Italia per esempio, il 15% dei prodotti – circa 1.500 selezionati tra i top seller – hanno visto una riduzione del prezzo del 15-20%. Non è una promozione temporanea, ma una promessa a lungo termine: l’obiettivo è ripristinare i livelli di prezzo del periodo pre-pandemici entro il prossimo anno”, ha aggiunto il Ceo.
“Abbiamo fatto bene i nostri calcoli: l’inflazione persiste sui beni finali, ma lungo la catena del valore i costi si sono abbassati, perciò abbiamo deciso di utilizzare tutto ciò che risparmiamo in questo momento a sostegno dei nostri clienti. Abbiamo iniziato lo scorso autunno e la risposta è molto positiva”. Le prospettive sono incerte. “Vediamo una lenta ripresa e siamo ottimisti sul fatto che vedremo tempi migliori”, ha sottolineato Brodin. “Tuttavia, anche se ci attendiamo una riduzione dell’inflazione e dei tassi di interesse nei prossimi mesi, ci vorrà tempo perché questo abbia effetto sui consumi: qualcuno dice la fine dell’anno, ma se guardiamo al passato, possono servire un paio di anni perché il mercato ritrovi il suo equilibrio. Quello che invece registriamo ora è l’impatto dei nostri investimenti per abbassare i prezzi dei prodotti. Questo non è il momento per fare profitti, ma di investire nel futuro”. Lo stallo del negoziato corre su questa evidente contraddizione: soddisfare il cliente cercando di non trascurare le esigenze del “cliente interno”. Vale per entrambe le parti. Per questo, a mio parere, superata la fase della contrapposizione, il confronto deve riprendere proprio da qui.