Il terziario e i suoi contratti tra passato e futuro

Tutte le survey promosse presso gli imprenditori e le imprese del terziario di mercato rilevano che il servizio più importante riconosciuto a Confcommercio è la sottoscrizione del contratto nazionale e la sua gestione.

Il perimetro di chi lo applica è talmente ampio che è difficile quantificarlo con precisione assoluta. Comunque ben oltre i tre milioni dichiarati. A differenza degli altri contratti nazionali dove contenuti e norme trovano la loro origine nella contrattazione aziendale delle grandi imprese e quindi tendono a esportare vincoli e normative di difficile gestione, il contratto nazionale del terziario offre chiavi applicative differenti a seconda del comparto, del sotto-settore o dell’azienda stessa.

I tentativi, portati avanti nel tempo, dalle aziende della Grande Distribuzione di modellarlo a proprio uso e consumo sono sempre falliti, vuoi per la presenza di una contrattazione aziendale specifica di difficile esportazione, vuoi per la struttura sostanzialmente fordista (quindi più simile all’industria) dei suoi modelli organizzativi.

La convenienza nell’applicarlo risiedeva semplicemente nel restare nello stesso contratto delle PMI per tenere basso il costo complessivo già gravato dalla contrattazione aziendale delle singole imprese. Operazione riuscita fino alla crisi che ha colpito la Grande Distribuzione costringendola, prima a cercare di ridefinire la propria contrattazione aziendale, poi a cercare, inutilmente, di seguire Federdistribuzione per dotarsi di un contratto nazionale specifico a basso costo rischiando operazioni di dumping dagli esiti imprevedibili.

Intorno a questo contratto ne sono nati altri di modesta entità proposti sia da Confesercenti che da altre piccole associazioni di categoria. Oppure dallo stesso sistema cooperativo che, da anni, cerca però di rinunciarci, aggregandosi al contratto principale, senza successo per responsabilità sindacali.

Il recente accordo tra Confcommercio e CGIL, CISL e UIL mira proprio a costruire un perimetro riconosciuto, evitare dumping applicativi e verificare la rappresentatività reale di entrambe le parti in campo.

Il contratto nazionale del terziario (ex Commercio) è sempre stato ritenuto storicamente debole dalle organizzazioni sindacali (soprattutto di altri settori) perché poco innovativo su molti temi. Al contrario delle imprese che lo hanno ritenuto particolarmente efficace.

I media hanno sempre etichettato il lavoro del terziario come povero, quindi poco interessante sul piano della qualità della contrattazione e, nel tempo, a volte con buone ragioni, preso atto di un livello non particolarmente elevato dei sindacalisti del settore (e non solo..).

E questo ha coinvolto inevitabilmente i contenuti, tutti gli attori e l’intero sistema negoziale del terziario. Non è un caso che viene spesso sottaciuto il più importante impianto di welfare contrattuale, lo stesso sistema formativo e, perché no, la scelta partecipativa (tutta autoctona) insita nel sistema bilaterale.

La crisi del fordismo e della conseguente rappresentanza del mondo industriale sia sul versante sindacale che datoriale ha portato inevitabilmente in primo piano la necessità di riscrivere le loro regole del gioco. La sempre più evidente debolezza organizzativa e la inevitabile terziarizzazione del comparto ha ingolosito i vertici di Confindustria spingendoli a chiedere essi stessi, la sottoscrizione di un ulteriore contratto nel terziario innovativo. Operazione molto rischiosa per i sindacati.

Nel frattempo, Confcommercio con gli stessi Sindacati Confederali ha riscritto le regole del gioco proprio con l’obiettivo di recuperare i rischi di dumping, impedire la proliferazione dei contratti, misurare la rappresentatività reale dei negoziatori.

Fino a qualche anno fa il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha sempre suggerito, citando Caio Giulio Cesare, che è meglio essere “primi in Gallia che secondi a Roma” evitando, con il suo consueto stile,  un confronto organizzativo con Confindustria nonostante i numeri lo consentissero ampiamente.

Oggi, per il lavoro fatto in questi anni, per aver costruito una Confederazione in grado di accogliere, non solo i mondi tradizionali del commercio e del turismo, ma anche i settori più innovativi del terziario, dei trasporti, della logistica, dei servizi alle imprese e alle persone e delle professioni, Confcommercio si può porre l’ambizione di “pesare” a Roma per quello che la sua salute organizzativa potrebbe consentire.

Dario Di Vico, con la solita arguzia, utilizza la metafora di “Cenerentola” (  http://Bit.ly/2fjsshQ   ) per rappresentare un comparto che stenta ad avere il peso che merita.

Forse ha ragione ma è giusto ricordare che la protagonista della bellissima fiaba popolare, sempre considerata la meno appariscente tra le sorelle, al momento giusto viene apprezzata per quello che è veramente e diventa principessa. Io, con l’analogia, preferisco spingermi oltre la mezzanotte della fiaba stessa.

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