ILVA! Il futuro, gli esuberi e le soluzioni da condividere

È vero che negli ultimi vent’anni le ristrutturazioni aziendali hanno sempre comportato tagli ed esuberi. È sempre stato così e verrebbe da concludere che aziende come Alitalia o ILVA non possano sfuggire, più di tanto, a queste logiche.

Peraltro i media, oggi, insistono sulla ineluttabilità delle conseguenze occupazionali. L’alto numero degli esuberi viene presentato come inevitabile da entrambe le cordate interessate all’acquisto dell’ILVA e questo non può non provocare la reazione preoccupata delle comunità locali coinvolte e quindi dei sindacati.

Certo il negoziato con i rappresentanti dei lavoratori potrà ridurne il numero e gli ammortizzatori individuati potranno distribuirne gli effetti sociali nel tempo. Un punto però resta ineludibile.

Migliaia di persone dovranno rimettersi in gioco indipendentemente dalla loro età, dalla loro professionalità e dalla possibilità o meno di reimpiegarsi sul territorio. Un negoziato tradizionale, in genere, dopo aver trovato una sintesi sul numero degli esuberi si occupa quasi esclusivamente di chi resta. Spesso tralasciando la gestione di quanto concordato.

Credo che, questa volta, per la situazione occupazionale dei luoghi coinvolti, per la storia di quelle realtà produttive, per la particolare tipologia di lavoratori lo sforzo per individuare soluzioni praticabili dovrebbe essere molto più complesso.

Partiamo dai fatti. Il Ministro Calenda oggi avverte: “Non ci saranno rilanci”, quindi il perimetro delle possibili soluzioni è quello individuato con l’asta. Entrambe le cordate non sono posticce. Comprendono un giusto mix che dimostra un interesse reale al mercato potenziale. Quindi al prodotto.

L’obiettivo, almeno per il sindacato e le comunità coinvolte, non è l’accordo. Questo è solo il mezzo. L’obiettivo è dare un futuro al lavoro e all’impresa. Ai sindacati e all’azienda stabilire se questa intesa deve essere nel solco delle ristrutturazioni gestite fino ad ieri o la prima di segno nuovo.

In questo caso occorrerebbero tre caratteristiche (irrinunciabili). Innanzitutto il livello di coinvolgimento e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori dalla fase dei sacrifici occupazionali (certi) al rilancio da costruire, insieme.

Nessun via libera senza condizioni. Il percorso deve essere condiviso. Sia nella strumentazione che nel governo delle fasi. Come e fino a che punto sarà compito delle parti stabilirlo. In secondo luogo le garanzie sul futuro dei siti dovrebbero essere almeno pari a quelle concordate dal Governo francese con Fincantieri.

E su questo punto il coinvolgimento e l’impegno del nostro Esecutivo sarà fondamentale. In terzo luogo la gestione degli esuberi. Non è solo un problema di numeri. Occorre che la cordata vincente, il Governo, i territori coinvolti costruiscano un percorso condiviso che ha come obiettivo non la CIGS in sé ma il ricollocamento di tutti gli esuberi.

Come? Innanzitutto coinvolgendo tutto l’indotto. In tutti gli accordi di fornitura o subfornitura dovrebbe essere introdotta l’attenzione necessaria al tema. L’azienda si deve impegnare ad incentivare chi, nel territorio, assume i propri esuberi o direttamente o indirettamente.

Occorre uno sforzo formativo eccezionale la cui regia andrebbe assegnata all’ANPAL ma che dovrebbe coinvolgere tutti coloro che sono in grado di portare soluzioni concrete. Così come le associazioni imprenditoriali locali dovrebbero favorire questi percorsi di ricollocamento, condividendoli e proponendoli ai loro associati.

Lo stesso Governo dovrebbe “pretendere” una maggiore assunzione di responsabilità della cordata vincente sulla scorta, ad esempio, delle proposte che Tommaso Nannicini ha recentemente esposto. Per queste ragioni la vicenda ILVA, ma non solo, non andrebbe vista solo da un punto di osservazione tradizionale. Occorre interrompere un circolo vizioso e individuarne uno virtuoso. Pur nelle difficoltà di una svolta dolorosa e necessaria.

Credo che su questo temi come la “corresponsabilità” o, rubando l’idea al Presidente di Confindustria Boccia, di un “Patto di scopo” centrale e territoriale potrebbe costituire un nuovo inizio di un percorso che cerca di cambiare le tradizionali regole del gioco, innovandole e sperimentandole.

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