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L’intuizione è stata e resta eccezionale. Eataly non nasce a caso. Il Made in Italy nell’agroalimentare è sempre stato sinonimo di gusto e qualità. Troppo piccolo e perso in mille rivoli per presentarsi con un volto unico, troppo grande nel suo impatto per interpretazioni di basso profilo. Serviva una visione, un’insegna, la capacità di rappresentare una cultura. E questo è tutto merito di Oscar Farinetti. Nessuno, né nell’Industria di Marca italiana più conosciuta nel mondo, né  nella Grande Distribuzione sarebbe stato in grado di farlo.

A suo tempo, ricordo, solo Pietro Barilla ci aveva pensato, così come la SME, la finanziaria delle partecipazioni statali. Intuizioni di imprenditori e di manager visionari rimaste nel cassetto. Tutto quello che è avvenuto dall’idea di Farinetti all’arrivo di Investindustrial di Andrea Bonomi è lì a dimostrare come è stato accidentato il percorso. E perché molti si sono tenuti a debita distanza. Serviva si, un progetto ambizioso, un marchio unificante e riconoscibile.  Ma serviva anche un mangement esperto in grado di riposizionare l’azienda con una dose maggiore di realismo per farla ripartire.  

Nel 2022 i 45 negozi perdevano circa 25 milioni. Non era andata meglio nell’esercizio precedente Con circa 22 milioni di perdite. Pochi ci credevano che in un tempo relativamente breve si sarebbe potuta invertire la marcia. Investindustrial, la società di investimenti di Andrea Bonomi che oggi controlla il 52% di  Eataly ci ha visto bene. A capo Andrea Cipolloni come AD e Nicola Farinetti Presidente del Gruppo. Oggi Eataly è formata da 55 punti vendita in 15 paesi nel mondo ed è, di fatto, il principale ambasciatore nazionale dell’enogastronomia italiana. Il nord America conta una quindicina di negozi, l’Europa 25 e Medio Oriente e Asia altri 15. Il 60% dei ricavi è negli USA (in Europa circa 38%).

È stato approvato il bilancio 2024 con ricavi consolidati di 684 milioni di euro (+4,3%) e un Ebitda di 53,3 milioni (+29,7%), con un’incidenza sul fatturato passata dal 6,2% al 7,8%. L’utile operativo è stato di 14,6 milioni.  “Siamo soddisfatti dei risultati conseguiti”, ha sottolineato il ceo Andrea Cipolloni, “dopo aver aumentato gli investimenti e aver ridotto i costi del personale. Inoltre mi piace ricordare che l’Italia ha aumentato i ricavi del 2,7% a 220 milioni, con un Ebitda quadruplicato di 8,5 milioni e un utile di 1,7 milioni”. L’esercizio si è però concluso ancora con una perdita netta di 13,4 milioni di euro, più che dimezzata dai 28 milioni dell’anno prima, e dai 28,7 milioni del 2022. In Italia soltanto, invece, Eataly ha aumentato nel 2024 i ricavi del 2,7% a 220 milioni, con un ebitda quadruplicato di 8,5 milioni e un utile di 1,7 milioni. Eataly ha in programma l’apertura di quattro nuovi negozi fra Usa e Canada, oltre allo sbarco negli aeroporti Jfk di New York, ma anche a Linate e nello scalo olandese di Schipol. Previsto anche il lancio a New York (dal prossimo 16 maggio saranno aperti i primi 4 a Manhattan) del nuovo format Eataly Café, un concept di 150/200 mq. Un format a cui anche diverse insegne della GDO stanno pensando in scia dell’esperienza degli Atlantic Bar di Esselunga. 

Il tutto, da quanto letto su Italia Oggi, avverrà anche grazie al maxi-finanziamento bancario a lungo termine di 225 milioni di euro (che corrispondono agli investimenti potenziali in 6 anni, a cui vanno aggiunti i flussi di cassa), inclusi 65 milioni senza obblighi di rimborsi intermedi. Da sottolineare l’Interessante interpretazione originale del ruolo sociale di un’impresa commerciale già presente in Finiper con San Patrignano o di Coal con il Frollamarket di Osimo: offrire spazi di vendita a terzi dotati di una specifica personalità sociale . All’interno dello store di Torino sono state invitate diverse onlus a vendere i loro prodotti: Cooperativa Sociale Alice, Fattoria Sociale Paideiar, Frolla Microbiscottificio, Ex Eat, Insuperabili, Luna Blu, Piazza dei Mestieri e Tortellante. Ma anche gli chef stellati da Cracco a Rezdora. Resta la caratteristica di ambasciatore del Made in Italy e di importante  contenitore per altri partner come Costadoro per il caffè, Domori per le tavolette di cioccolato, Golosi di Salute per le creme spalmabili, Hordeum birrificio artigianale per le birre. Afeltra, storico pastificio di Gragnanoparte del Gruppo Eataly.

Più cresce Eataly  e più aumenta l’export di queste imprese. Ed è importante che una realtà italiana come questa contribuisca al lavoro che multinazionali GDO come  Lidl e Carrefour fanno già a favore delle imprese italiane nei loro circuiti distributivi. Dopo la riuscita ristrutturazione del Teatro Smeraldo, il punto vendita milanese che ho visitato prima di Natale, tocca a Torino. Il primo negozio sorto all’interno della ex fabbrica di liquori della Carpano. Dove tutto è partito. Non verrà stravolto il modello. Milano ha fatto scuola con un layout azzeccato. 

L’altra scommessa, per ora vinta, era guardata con una certa diffidenza da alcuni osservatori della GDO tradizionale. Eataly ha scelto di rappresentare con l’insegna stessa, parte del suo top di gamma. Il marchio del prodotto lascia quindi il passo a “Eataly” che, come private label, si mette in gioco proprio per rappresentare la fascia alta dell’offerta. E l’obiettivo è di incrementarne la quota di mercato che in alcune categorie stanno diventando best seller. “Solo nel periodo natalizio abbiamo venduto 55 mila panettoni a marchio Eataly. Nel complesso sono stati 255 mila i prodotti venduti sotto le feste” ha confermato Cipolloni. Una sfida nella sfida.

E così mentre tutti continuiamo a ripeterci che Eataly non c’entra nulla con la GDO, l’intuizione di Farinetti viene rilanciata nella sua originalità in giro per il mondo. L’essenza della scommessa è confermata da Andrea Cipolloni in una recente intervista a Markup: “non siamo un supermercato, non siamo un ristorante e non siamo un bar. Siamo un’esperienza unica e questo è il valore su cui continueremo ad investire”. Forse, aggiungo io, facendo fare un passo in avanti, in chiave più contemporanea, ad  un’idea tradizionale di supermercato, di ristorante e di bar.
Le innovazioni, quelle vere, vengono sempre da fuori.

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