Contratto Terziario, DMO e cooperative. Lotta dura, senza premura…

“Lotta dura, senza premura” è stato lo slogan che più di altri ha accompagnato la vicenda contrattuale del commercio. Almeno fino ad ora. I sindacati di categoria, con la fissazione della data dello sciopero, rompono gli indugi e alzano il tiro nella speranza di rimettere in moto il negoziato. La data è fissata: venerdì 22 dicembre. Un venerdì a tre giorni dal Natale. Data non casuale. Per le insegne, meglio quel venerdì che il sabato successivo. Periodo di acquisti e di forte frequentazione  dei punti vendita e quindi anche di maggiore interesse mediatico per l’iniziativa.  La vera ragione della scelta.  Una cosa però va sottolineata. Dal dibattito che è emerso nell’assemblea,  Il lungo percorso di confronto contrattuale sembra essere passato invano. Le differenze, anziché ridursi come sempre avviene, si sono addirittura accentuate, cristallizzando le posizioni.

L’ultima firma risale al 2015. Otto anni nei quali i rispettivi gruppi dirigenti sono cambiati senza essere sostituiti da leadership autorevoli in grado di proporre sintesi e chiudere la partita. La scadenza del 2019 per Confcommercio è stata disattesa e depotenziata da un paio di firme in dumping (Federdistribuzione e Confesercenti)  sul salario, concordato con i tre sindacati. Un vulnus che ha creato un contesto di sospetti reciproci e di competizione   tra le associazioni datoriali le cui conseguenze sono tra le numerose cause del lungo stallo. Un esempio di come una sottovalutazione  grave compiuta essenzialmente dalle leadership delle organizzazioni sindacali di allora, si è trascinata nel tempo presentando il conto al rinnovo successivo. Cosa assolutamente prevedibile. 

La composizione dei partecipanti  all’assemblea unitaria dei tre sindacati di categoria (https://bit.ly/40PtvbO) per la prima volta non ha riguardato solo  l’area del CCNL del Terziario, della DMO e della cooperazione. Ha coinvolto anche il turismo e la ristorazione in tutte le sue declinazioni. È un tentativo, assolutamente legittimo,  del sindacato di categoria di presentarsi  al Paese come rappresentante di un bacino di almeno cinque milioni di lavoratori ancora sprovvisti di rinnovo contrattuale. E questa  è una novità assoluta. Tre sindacati di fronte a una decina di controparti. Ciascuna alla ricerca di una sua distintività.

Che cosa è uscito dall’assemblea?

Ovviamente la dichiarazione di sciopero, essendo  una prova di forza unitaria che prevede una mobilitazione di piazza, annulla le diverse sensibilità sui possibili punti di caduta possibili, pur presenti, tra i tre sindacati. Fabrizio Russo segretario generale della Filcams CGIL punta ad una mobilitazione di lunga durata. Da poco eletto, “convinto sostenitore” di Landini e del nuovo profilo di lotta della CGIL non è alla ricerca di facili mediazioni.  “Il loro tempo è finito. Adesso comincia il nostro. La nostra controparte non ha il senso del limite” ha dichiarato e ha promesso una  campagna di mobilitazione che arrivi addirittura a colpire l’immagine delle aziende del comparto. “Ci aspettano mesi difficili” ha concluso. Paolo Andreani, segretario generale della Uiltucs, anch’egli di recente  nomina, se l’è presa con chi chiede ulteriore flessibilità. Ha definito “una polpetta avvelenata”  lo scambio proposto da Confcommercio teso a ridurre l’impatto dell’aumento attraverso uno scambio con altre parti del CCNL. Ha respinto con sdegno  l’offerta di anticipo sui futuri aumenti contrattuali proposto  dalle cooperative  per la sua esiguità ma non è stato altrettanto insensibile alle  proposte economiche ventilate da  Federdistribuzione. 

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Grande Distribuzione. Ridurre furti, frodi, scarti e inefficienze varie

“Settimo, ruba un po’ meno”. Non è solo una commedia di Dario Fo. È un obiettivo di difficile soluzione per la GDO, conosciuto all’interno di quel mondo, con il termine “differenze inventariali”. Nel 2022 hanno raggiunto in media l’1,38% del fatturato annuo. Parliamo di circa 4,6 miliardi di euro. A questo valore va aggiunta la spesa che le aziende sostengono in misure di sicurezza o contrasto alle perdite con un costo economico totale stimato pari a 6,7 miliardi di euro.

Perdite notevoli derivanti non solo da furti e frodi ma anche da errori amministrativi, scarti, rotture e inefficienze varie. È dal 2017 che Crime&tech spin-off di Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto di Checkpoint Systems Italia e la collaborazione dell’associazione Laboratorio per la Sicurezza propongono questi dati presentati all’interno di  studio e raccolti attraverso un questionario online distribuito a un campione di security manager appartenenti a 40 gruppi aziendali del settore Retail e GDO, per un totale di oltre 10.300 punti vendita e l’analisi di informazioni su più di 103.000 singoli eventi criminali registrati in punti vendita di tutta Italia tra il 2021 e i primi nove mesi del 2023.

“L’obiettivo dello studio è di provare a quantificare le perdite e fornire alle aziende degli spunti di riflessione sulle soluzioni da poter adottare” commenta Marco Dugato, Amministratore di Crime&tech e Ricercatore di Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore”.  Tra i settori coinvolti, il Comparto del Fai da Te (2,00%), i Supermercati, gli Ipermercati e i Discount (1,98%) sono quelli che registrano i valori più alti. Dallo studio risulta che  circa la metà delle differenze inventariali sono di natura sconosciuta quindi difficile rintracciarne le cause. Il restante 52% è attribuibile a furti (da clienti e dipendenti), scarti e rotture, errori amministrativi e contabili e frodi commesse da fornitori. In netto aumento, secondo la metà circa di chi ha risposto,  i furti di necessità. Già in aumento dal 2019 al 2020 con un valore medio della merce rubata o recuperata nei singoli episodi pari a 40 euro.

Occorre anche considerare che, secondo la Cassazione il furto al supermercato da 50 euro non è punibile data la tenuità del fatto. A questo aggiungo la  vexata quaestio rispetto al reato contestabile: “furto” o “tentato furto”. Sempre la Cassazione ci spiega che, nell’ambito di un supermercato, se la merce viene sottratta dagli scaffali e l’autore riesce a superare le casse senza pagare risponderà soltanto a titolo di “tentato furto” soprattutto qualora la sua azione sia stata costantemente monitorata dalla vigilanza e questa lo abbia fermato all’uscita. Ciò in quanto ancorché la merce sia stata sottratta, non vi è stato effettivo impossessamento della stessa. Inutile commentare. Ricordo la vicenda avvenuta in un ipermercato nel quale un dipendente venne filmato mentre sottraeva un piccolo televisore dal reparto. Fermato nel piazzale nel bagagliaio della sua auto è stato rinvenuto,  come ovvio, il televisore quindi l’azienda lo ha licenziato. In tribunale il giudice ha dato torto all’azienda respingendo così il licenziamento. Il filmato si interrompeva all’uscita del punto vendita e quindi non esisteva la prova certa che il televisore fosse  stato messo sull’auto dal dipendente stesso. Che dire? Leggi tutto “Grande Distribuzione. Ridurre furti, frodi, scarti e inefficienze varie”

Contratto commercio e DMO. Come trovarsi con il salario minimo pur dichiarando di non volerlo….

È chiaro che aziende e lavoratori, del commercio, del terziario e della DMO vorrebbero arrivare ad una conclusione positiva del rinnovo del loro contratto di lavoro. La situazione delle retribuzioni nel comparto è assolutamente prioritaria. L’ultima firma vera è del 2015 per un CCNL che avrebbe dovuto scadere nel 2019 e che invece è tuttora aperto. Tre milioni di persone che si sommano a tutte le altre categorie che nel Paese sono sprovviste di rinnovo.  I segnali sono evidenti.

L’ultima, in ordine di tempo, è la proposta che sta prendendo piede di concedere, da parte delle aziende, un anticipo unilaterale sui futuri aumenti contrattuali (AFAC). Servirebbe a neutralizzare lo sciopero e, posta a vicino al Natale, dove tutti dovrebbero diventare più buoni, assumerebbe pure un significato particolare. Decisione possibile che però costituirebbe  la delegittimazione finale  di un tavolo negoziale che non è mai decollato per manifesta insufficienza di chi ne ha la responsabilità politica e non riesce ad esercitarla.

Con questa mossa il più grande contratto nazionale del Paese imboccherebbe con decisione  la strada che porta, di fatto,  ad una forma “innovativa” di salario minimo seppure unilaterale. Infatti come potrebbe essere definito un contratto nazionale che non viene rinnovato da 4 anni e che viene sostituito da erogazioni salariali extra negoziato? Si arriverebbe così all’ammissione di ciò che molti vanno sostenendo da tempo. I contratti nazionali così come sono stati costruiti nel novecento con il loro carico di norme, diritti, doveri, profili professionali, minimi contrattuali e con tutto ciò che da essi deriva, a cominciare dall’importante welfare previdenziale e sanitario, non vengono messi in discussione dall’adozione dal basso di altre normative auto prodotte localmente più snelle come i cosiddetti “contratti pirata” ma vengono messi in soffitta degli stessi stipulanti per manifesta incapacità di rinnovarne i contenuti.

Il passaggio, di fatto al salario minimo, non è necessario che avvenga per forza attraverso una legge o come risultato di un confronto tra le parti sociali ma può avvenire per semplice esaurimento di un ciclo storico o per incapacità di rilanciare lo strumento, nei suoi contenuti, condannandolo all’obsolescenza. In fondo molte aziende, soprattutto medio piccole, che sono la maggioranza,  vorrebbero proprio questo. Stabilire alcune regole del gioco universali sui diritti e sui doveri, riferimenti laschi al l’inquadramento professionale, un minimo economico di riferimento della categoria che lasci spazio a forme di corresponsabilizzazione sul reale andamento aziendale, che premi il merito individuale e che metta definitivamente in soffitta i costi del welfare contrattuale. Lasciando spazio e maggiore libertà di azione nelle singole realtà e il decollo, anche sul lavoro, di una competitività tra insegne che, in tempi di difficile reperimento delle risorse umane necessarie, potrebbe dimostrarsi decisivo.

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Contratto terziario, Commercio e Distribuzione moderna. Un passo avanti, due indietro

La situazione legata al rinnovo del Ccnl Tds, Dmo e Coop rischia di ingarbugliarsi sempre di più. Ed è evidente che la responsabilità politica è tutta in capo ai negoziatori. Oggi poi, la dichiarazione di sciopero generale di CGIL e UIL, è destinata a peggiorare il quadro di riferimento nel quale la lunga trattativa finalizzata al rinnovo dei Ccnl si inserisce. Dall’altro lato  pesa la divaricazione evidente sulle ipotesi di chiusura tra le diverse controparti datoriali (Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Ancc-Coop, Confcooperative-Consumo e Utenza e Agci-Agrital). Ma procediamo con ordine.

Sul versante sindacale, sarebbe quanto meno singolare che Landini e Bombardieri, mentre dichiarano che le ragioni dello sciopero al centro della mobilitazione generale  promossa da Cgil e Uil sono finalizzate ad “alzare i salari, estendere i diritti e per contrastare una legge di bilancio che non ferma il drammatico impoverimento di lavoratrici, lavoratori” lascino che i loro due sindacati di categoria si dichiarino disponibili a concessioni in pejus sull’aumento salariale previsto dall’IPCA (previsto il 6,6% per il 2023). Così come sul fronte datoriale dove, Federdistribuzione e Distribuzione Cooperativa, puntavano, per chiudere, ad un semplice sconto sull’IPCA mentre Confcommercio forse per “vendicarsi” di vecchie diatribe associative, ha rilanciato  alla ricerca di uno scambio oggi  impossibile.

Lo sciopero generale proclamato, essendo uno sciopero politico, radicalizzerà ancora di più le posizioni. Non credo proprio che Filcams Cgil e Uiltucs UIL, due tra le categorie con il maggior numero di iscritti alle rispettive confederazioni,  saranno disponibili a particolari concessioni sull’aumento salariale. Ed è  sufficiente leggere i loro comunicati per capirlo. E questo rischia di spingere,  l’intero contesto, in una situazione di tensione sociale che sarebbe assolutamente da evitare  sia per dove è collocato lo sciopero, sia per l’evidente tensione sui temi del lavoro povero che attraversa l’intera categoria.  Lo sciopero è infatti previsto per il 22 dicembre.

 Secondo il sindacato, Federdistribuzione e le associazioni delle cooperative  hanno “dichiarato apertamente di non poter accordare aumenti retributivi in linea con l’indice IPCA al netto dei beni energetici importati (cioè secondo le previsioni degli accordi interconfederali sugli assetti contrattuali vincolanti per la maggior parte delle nostre controparti). Federdistribuzione, come già nel 2019,  puntava ad uno sconto sulle richieste salariali per chiudere la partita.

Donatella Prampolini vicepresidente Confcommercio con delega al lavoro e alla bilateralità ha rilanciato come fossimo all’inizio del percorso negoziale: “Per mantenere il livello di innovazione e di flessibilità che ha sempre caratterizzato il nostro contratto, abbiamo richiesto la revisione di alcune parti normative ormai desuete – dalla classificazione alle modalità di gestione dell’orario di lavoro in un’ ottica di produttività – nonché aggiornamenti in tema di stagionalità”.

Tradotto in soldoni visto che siamo tra commercianti. Federdistribuzione vuole uno sconto sulla richiesta (effettivamente costosa) dell’IPCA integrale chiesta dal sindacato mentre Confcommercio anziché lo sconto propone un “cambio merce” con altri istituti contrattuali.

Ovviamente i margini per trovare un accordo salariale di questi tempi, pur risicati, ci sarebbero. Nel  resto d’Europa i rinnovi sono rimasti sotto l’IPCA italiana come ci ha recentemente spiegato Andrea Garnero su La Voce: “ Un indicatore sperimentale previsionale della crescita dei salari negoziati per Austria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Spagna, elaborato dalla Banca centrale europea in collaborazione con le banche centrali nazionali dell’area dell’euro, mostra che i contratti collettivi stipulati nel corso del 2022 hanno generalmente previsto un aumento del 4,7 per cento per il 2023, rispetto al 4,4 per cento del 2022. Al di fuori dell’area dell’euro, in Danimarca, a febbraio è stato raggiunto un accordo nell’industria che prevede un aumento del 3,5 per cento nel 2023 e del 3,4 per cento nel 2024. In Norvegia, dopo quattro giorni di sciopero, è stato raggiunto un accordo per un aumento del 5,2 per cento per i settori che fissano il riferimento generale (industria esportatrice e manifatturiera). In Svezia, i sindacati dell’industria e i datori di lavoro hanno concordato nuovi contratti collettivi per due anni, che prevedono aumenti salariali del 4,1 per cento nel primo anno e del 3,3 per cento nel secondo”. Percentuali, come si può vedere,  abbastanza lontane dal 6,6 per cento previsto da noi.

Il termine “innovazione” in questo contesto, assume significati opposti a seconda di chi lo agita. Per i sindacati oltre alla proposta di aumento salariale in linea con l’IPCA avrebbe dovuto significare un rinnovamento del sistema di inquadramento professionale e un rafforzamento del diritto di ogni dipendente alla formazione continua; l’implementazione di tutele per le donne vittime di violenza e per la genitorialità e l’ampliamento della platea dei soggetti beneficiari dell’assistenza sanitaria integrativa e della previdenza complementare di settore. L’introduzione di norme ad hoc sul fenomeno delle affiliazioni commerciali, del franchising e delle attività esternalizzate, la riduzione della flessibilità e al contenimento dei contratti a termine e l’aumento delle ore dei  contratti part-time e ai minimi contrattuali. Alcune di queste richieste sono assolutamente ragionevoli e già presenti in altri contratti e pure in molte realtà della GDO. Altre aggiungono costi o vincoli organizzativi difficili da prendere in considerazione dalle imprese, di questi tempi. Credo lo sappiano bene anche i sindacalisti più ragionevoli.

Restano in campo due intransigenze. Una di parte sindacale, che ho cercato di spiegare, sull’intangibilità dell’IPCA, in questo particolare contesto economico, una altrettanto irragionevole da parte di Confcommercio. Per questo nel mio ultimo intervento al riguardo (https://bit.ly/473xjIu) ho espresso le mie perplessità sul silenzio del Presidente Sangalli. L’ho trovato debole anche nella sua successiva difesa d’ufficio  sulle ragioni dello stallo del negoziato.

Sinceramente pretendere oggi di definire  “innovative” richieste di superamento o modifica  di istituti contrattuali quali la 14° mensilità‌, i permessi retribuiti e gli scatti di anzianità,‌ se poteva avere un senso negoziale qualche mese fa, oggi,  con due sindacati su tre  sul piede di guerra,  suona come una banale provocazione per poter rinviare ancora una possibile conclusione. Il paradosso è che l’associazionismo imprenditoriale sul fronte GDO non può “innovare” il testo contrattuale perché non riesce a tradurre a livello nazionale ciò che di meglio viene già fatto in molte insegne. Unico elemento che consentirebbe uno “scambio” su altri temi “digeribile” dal sindacato. Mentre Confcommercio ormai fatica a presidiare una rappresentatività su settori alla ricerca di una loro identità a cui fornisce, di fatto, “solo” un salario minimo ante litteram e un welfare contrattuale. Sul resto non ha più alcuna leadership né capacità di innovazione riconosciuta sui temi del lavoro. Il risultato  è quindi l’immobilismo più totale sul piano dei contenuti.

Ribadisco che una chiusura prima di Natale sarebbe auspicabile, proprio per evitare che la vicenda di un contratto scaduto da 4 anni e che riguarda circa 3 milioni gli addetti coinvolti nella vertenza, degeneri con ben altre conseguenze. Quindi la domanda da porsi è: “ a chi conviene questa totale deresponsabilizzazione e paralisi del tavolo negoziale”?

COOP. Il futuro non si aspetta, si fa…

   Oggi le insegne della Grande Distribuzione si possono valutare sui fatturati, sui margini,  sulla capacità di anticipare le esigenze dei clienti o sull’innovazione. Questo resta una priorità per il management e per gli esperti del comparto. Altri criteri contribuiscono a determinarne però l’identikit per chi le frequenta e le sceglie. Innanzitutto la convenienza nelle diverse declinazioni possibili, l’impegno sull’ambiente e a favore del contesto territoriale dove operano, la capacità di attrarre e valorizzare il lavoro. Nel caso di Coop, il cliente esterno da valorizzare nel ruolo di socio e il cliente interno da avere a bordo convinto e consapevole della “maglia” che indossa.

Su questa “doppia natura” Coop continua la sua corsa in solitaria. Su alcuni di queste priorità è arrivata prima degli altri. Sul rispetto del lavoro e il rispetto delle regole di ingaggio definite dai contratti nazionali e aziendali è certamente ancora la prima della classe. Soprattutto per i livelli medio bassi. Altre insegne GDO però stanno arrivando ad insidiarne il primato sulla gestione del personale. Era ora. Assistere alle gare di vertice è più invitante che osservare chi lotta per non retrocedere. Oggi propongo due esperienze, tra quelle che compongono l’universo Coop. Unicoop Firenze e Coop Alleanza 3.0.

Sull’ambiente, l’impegno di Unicoop Firenze, una delle sette grandi cooperative di consumatori del sistema Coop, viene da lontano (https://bit.ly/3udtrqg). Almeno dagli anni ‘80 quando l’interesse  collettivo sul tema era ancora tutto da costruire. Basti ricordare la sensibilizzazione sull’uso delle buste di plastica, sul buco nell’ozono e sull’abuso di pesticidi. Oggi il riferimento è l’Agenda 2030 sottoscritta nel 2015 da parte di 193 Paesi tra cui l’Italia che si basa su cinque concetti chiave, rappresentati dalle famose cinque “P”: 1) Persone 2) Prosperità 3) Pace 4) Partnership 5) Pianeta e  da cui la cooperativa ha tratto le linee e gli obiettivi della propria azione.

Sull’energia dal 2013, anno di installazione del primo impianto fotovoltaico nel Coop.fi di Ponte a Greve ad oggi, la cooperativa ha realizzato 50 impianti fotovoltaici in grado di produrre 13 milioni di kWh annui da fonti rinnovabili, pari al 10% del fabbisogno energetico della cooperativa. Negli ultimi anni la cooperativa ha installato 130 colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici nei parcheggi di 43 strutture commerciali. Tra i principali progetti a favore delle comunità e coinvolgendo scuole e associazioni sul territorio, quello dei boschi didattici grazie al quale, nel triennio 2021 – 2023, sono stati realizzati 48 boschi didattici in 26 Comuni delle sette province in cui opera la cooperativa. Il progetto ha coinvolto oltre 280 classi delle scuole primarie coinvolte per un totale di circa 6mila bambini coinvolti. Tra le attività di promozione della sensibilità ambientale, il progetto Liberi dai rifiuti organizzato, a partire dal 2019, in collaborazione con Legambiente e con le amministrazioni locali. 

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Esselunga. La mossa a sorpresa dell’azienda milanese…

Non so se Marina Caprotti o qualcuno tra i suoi collaboratori più fidati ha studiato dai Gesuiti. “Entrare dalla porta dell’altro per uscire dalla propria” ha caratterizzato da sempre la loro strategia di penetrazione. Esselunga, alle prese con una concorrenza “tignosa” nei suoi territori di elezione e sul suo terreno tradizionale si appresta ad una mossa decisiva per il suo futuro: provare ad uscire dai suoi confini territoriali e di business.

Il 14 novembre partirà lo scaffale digitale di enoteca.esselunga.it L’obiettivo è di arrivare in  tutte le regioni italiane, non solo quelle del Centro-Nord, dove tradizionalmente è presente Esselunga, ma anche quelle del Sud e le isole. Lascio agli esperti le analisi sul mercato dei vini, dell’online e sulle possibilità o meno di successo di questa operazione.  Esselunga oggi non parte da zero. 350 milioni del suo fatturato vengono dai vini. Ben 100 milioni di etichette vendute da Esselunga nel 2022.

Sulla sua strada oltre al big Tannico, che fa capo a Campari e Moët Hennessy del gruppo Lvmh, ci sono insegne come Callmewine, Bernabei, vino.com, Cortilia, signor vino, etiliKa, Wine shop e molti altri piccoli distributori. C’è però un dato negativo sottolineato dall’esperto Emanuele Scarci su Distribuzione Moderna: “La nuova proposta omnicanale di Esselunga arriva in un momento negativo per l’e-commerce del vino che, dopo la grande illusione del periodo pandemico, sconta, da un biennio, una caduta a due cifre del business. Per esempio, big player puri come Tannico (controllata da Lvmh e Campari), Italian wine brands e Callmewine (gruppo Pesenti) non riescono a mantenere i fatturati e, in un paio di casi, con perdite operative consistenti. Anzi finora il business si è dimostrato strutturalmente in perdita” (https://bit.ly/49wu7XI).

Per Esselunga, però, questo  “è un passo strategico per il gruppo presieduto da Marina Caprotti perché da martedì Esselunga si presenterà sul mercato del vino di pregio come pure play company” come ha sottolineato Daniela Polizzi. Sarà un modo per il gruppo di arrivare in Italia e di ampliare l’ecosistema di Esselunga» ha dichiarato Roberto Selva in Esselunga dal 2010 è oggi Chief Marketing & Customer Officer del Gruppo al Corriere  (https://bit.ly/3skK4ji). Personalmente sono convinto che il 2024 sarà un anno decisivo per l’azienda di Pioltello. Se dovessi sintetizzarlo in uno slogan direi: “lascia o raddoppia”. L’azienda è ad un bivio. Circondata da una concorrenza agguerrita, impossibilitata a migliorarsi sul suo terreno essendo già la prima della classe come redditività ed immagine presso i suoi clienti, ha poche mosse a disposizione se non vuole declinare. Gli  Esse, i suoi piccoli negozi, sono una risposta tattica. Non certo una strategia che migliora i conti dell’azienda. Il dilemma che deve affrontare la proprietà è chiaro. O cede l’azienda per evitare il declino o tenta un rilancio oltre i suoi confini.  Leggi tutto “Esselunga. La mossa a sorpresa dell’azienda milanese…”

La Grande Distribuzione deve migliorare nel punto vendita…

La recente vicenda Unes, indipendentemente da come evolverà, con la messa in discussione del ruolo e dello status del responsabile di negozio e l’inaugurazione del negozio Tuday  Conad senza casse di Verona rimettono al centro l’importanza o meno di chi vive e lavora nel punto vendita nella GDO. Premetto l’enorme differenza tra i due  casi. Il primo è un autogol di chi gestisce pro tempore l’azienda milanese. Il secondo, l’abolizione della casse, consente di aprire, di fatto,  una nuova era sull’evoluzione del lavoro richiesto in un punto vendita e la qualità del servizio al cliente. Per ora in fase poco più che sperimentale in diverse parti del mondo.

Chi non lo capisce provi a ritornare a cosa c’era prima del supermercato, del telepass o del bancomat. Ai mobili che l’Ikea fa montare direttamente  al cliente. Lavori che scompaiono o che modificano la professionalità richiesta. Arriveranno nuove pratiche e nuove tecnologie. Non è solo un problema di casse automatizzate. L’intelligenza artificiale si incaricherà di rilevare rotture a scaffale, automatizzare le prese d’ordine, individuare le date di scadenza dei prodotti, facilitare l’inventario, controllare la freschezza di frutta e verdura, rilevare gli errori di prezzo, cambiare la logistica, ecc. L’arrivo di questi nuovi metodi di lavoro è irreversibile e spingerà a cambiare in profondità i mestieri della GDO così come li abbiamo conosciuti e costruiti nel novecento anche all’interno del punto vendita. E questo a prescindere dall’on line o dalle formule miste di cui si parla soprattutto nei convegni. 

Nei negozi di Amazon Go l’occupazione non diminuisce. Cambia il back office e cambiano i mestieri nel punto vendita. Spariscono le cassiere ma  aumenta il servizio. Quindi deve crescere la professionalità degli addetti per convincere il cliente stesso  a   restare il più a lungo possibile nel punto vendita, visto che non perderà più tempo alle casse. Questa  sarà la prossima sfida. Se ci fosse un minimo di sincerità bisognerebbe ammettere che, la stragrande maggioranza delle insegne ha lavorato negli anni  (chi più, chi meno) per rendere assolutamente invisibili i propri collaboratori agli occhi dei clienti. L’esatto contrario di quello che occorrerebbe fare. Posizione del negozio e offerta commerciale sono sempre stati ritenuti gli unici elementi imprescindibili per il successo. Il resto veniva comunque dopo. Fino a poco tempo fa la cassiera era addirittura valutata per la sua velocità alle casse. Così da smaltire il più rapidamente possibile la coda dei clienti. “Viva le cassiere” è stato lo slogan più citato durante la pandemia. Ovviamente senza alcuna conseguenza positiva per il ruolo. Infatti il contratto di lavoro è fermo dal 2019.

Il responsabile del negozio, al contrario, è sempre stato valutato dalla sua capacità di gestione dei problemi e dell’organizzazione. È bravo, mi si consenta un paradosso,  quando il cliente nono lo conosce. Vuol dire che tutto sta filando liscio. Carriera e promozioni nel PDV fino a poco tempo (e forse, anche ora, in molte realtà della GDO) sono state caratterizzate dal cosiddetto “presentismo”. Lo slogan veicolato ai più giovani è sempre stato: “non devi contare le ore che fai”.  Per crescere occorre mostrare disponibilità, voglia di imparare, impegno. Se assunto a part time, a tempo determinato o aspiri a crescere professionalmente, devi “dare” all’azienda per poi sperare di ottenere qualcosa in cambio. Leggi tutto “La Grande Distribuzione deve migliorare nel punto vendita…”

Grande Distribuzione. Con il carrello tricolore si chiude una fase. Adesso occorre guardare avanti.

La mancata convergenza su possibili candidati imprenditori alla guida di Federdistribuzione dopo il flop della selezione esterna ha prodotto, a marzo di quest’anno, un ottimo Presidente di transizione: Carlo Alberto Buttarelli. A memoria solo Cobolli Gigli aveva superato il soffitto di vetro dell’impalpabilità grazie al suo passato. La Federazione era guidata, di fatto, dal suo storico direttore Generale Massimo Viviani. I presidenti, durante i loro mandati, non se li è mai filati nessuno al di fuori dei convegni o dalle interviste sulle riviste di settore.

In effetti, la  GDO non ha mai avuto bisogno, in passato, di avere una leadership vera né una rappresentanza forte. Le insegne leader non le hanno mai volute. Tolto qualche lite in famiglia con Confcommercio sulle liberalizzazioni, per anni, alla GDO, è convenuto stare sottovento nella pancia della Balena di piazza Belli. Quando il sindacato era una controparte ruvida, poter contare su un contratto di lavoro tra i meno onerosi in circolazione era un plus indiscutibile. Semmai da rimodulare, ciascuno a casa propria, con la contrattazione aziendale.

Confcommercio, in cambio dell’adesione dell’intera GDO, assorbiva a livello nazionale i contraccolpi delle liti locali tra le sue associazioni territoriali e le singole insegne che, nel frattempo continuavano a crescere. Tolta Coop, nell’epoca dei governi più o meno di centro sinistra,  praticamente nessuna insegna faceva politica a livello nazionale mentre a livello locale, gli imprenditori più svelti e lungimiranti, in cambio delle posizioni migliori, ingolosivano i politici e gli amministratori locali con gli oneri  di urbanizzazione, con le assunzioni e magari con qualcosa d’altro. Quella fase si è chiusa quando le posizioni migliori ricercate per i formati tradizionali, si sono di fatto ridotte, altri formati sono stati premiati dai clienti   e le diverse insegne hanno intuito le difficoltà del sindacato ormai indebolito dal deciso apporto delle nuove formule di  flessibilità in entrata del lavoro e la conseguente ripresa del governo dell’organizzazione del lavoro da parte delle direzioni del personale o direttamente dall’imprenditore stesso. Le rigidità del lavoro imposte dai Contratti nazionali e aziendali potevano così essere affrontate e, nel tempo, superate.

Federdistribuzione  in tema di lavoro non ha mai avuto una sua identità negoziale riconosciuta perché resta una semplice sommatoria di aziende con un portavoce. Nonostante sia ormai passato molto tempo dall’ultimo rinnovo del CCNL la federazione e la sua  “commissione lavoro” non sono ancora riuscite a impostare una traiettoria originale di riferimento per le imprese e metterla a terra. Il contratto resta una sostanziale ricopiatura di quello di Confcommercio.  La federazione non riesce ad individuare su cosa potrebbe essere possibile costruire uno scambio credibile che guardi al futuro del comparto e condividerlo con il sindacato di categoria. I contratti nazionali, però, si fanno così. E soprattutto si fanno in due. Altrimenti resta solo il negoziato sul salario. Ma il contratto nazionale ha un’altra funzione. L’assunzione oggi di un ruolo di interlocutore politico e sociale vero,  rende però indispensabile costruire una leadership anche sul versante sindacale. Le aziende principali devono esporsi. L’autorevolezza delle federazioni di Confindustria passa anche dalla loro capacità di innovare i contratti e di convincere l’interlocutore sociale a condividerne le traiettorie.

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Patrizio Podini e la “sua” MD alla conquista dello spazio (a Milano)…

Ogni volta che visito un nuovo punto vendita che apre a Milano o nell’hinterland penso sempre  al gioco della moneta da un centesimo che viene fatta cadere  in un bicchiere colmo d’acqua. Ci starà anche questo, mi domando? Come con le monete che scendono nel fondo del bicchiere, lo spazio sembra esserci  sempre. Magari a scapito di altri. La città metropolitana di Milano ha perso dal 2019 circa 32.000 abitanti. Milano città però è ritornata ai livelli pre-covid sopra il milione e quattrocentomila residenti inclusi i milanesi non italiani (comunitari ed extracomunitari con regolare permesso di soggiorno). Almeno 200.000  milanesi però vivono sotto la soglia di povertà. Persone che l’inflazione ha reso ancora più povere e Milano, non serve sottolinearlo, resta una città cara da viverci.

Polarizzata sul piano della disponibilità economica. Differenziata sia tra quartieri che all’interno dei quartieri stessi. I punti vendita vecchi e nuovi funzionano come vasi comunicanti. Quando ne apre uno nuovo si sa che toglierà clienti agli altri. La diffusione sul territorio favorisce una sorta di nomadismo negli acquisti, lo scontrino tende a ridursi e quindi l’attrattività, ovvero l’offerta costruita su misura del cliente, diventa decisiva. Per questo lo stesso franchising, che rappresenta  l’esaltazione  del micro, anche se un po’ sgarrupato, funziona bene in questo contesto territoriale. Più lo scontrino si abbassa più i  negozi si assomigliano un po’ tutti. Ovviamente la gestione dei costi è fondamentale perché il cliente va dove gli conviene.

Esselunga, la leader cittadina è circondata da una pluralità di proposte che la costringono a risposte tattiche che rischiano di snaturarne il profilo. È come se i concorrenti ne percepissero le difficoltà. Gli Esse sono sicuramente più completi  di altri paesi formato ma rischiano di andare in sofferenza. L’azienda di Pioltello ha uno standing che non può venire meno e che deve mettere in campo anche nei punti vendita più piccoli. E questo costa. Sulla fascia alta, Iperal e Tigros, stanno penetrando in città e “martellano” dall’hinterland  le posizioni più esposte. Carrefour e PAM, pur anch’esse con qualche affanno  (attutito  però  dai franchisee), incidono comunque sulla piazza,  mentre i discount, veri o presunti tali, lavorano ai fianchi il leader cittadino che così soffre. Difficile non andare con la memoria alla rinuncia di Conad sulla città dopo l’acquisizione dei PDV di Auchan. Un’occasione perduta dalla prima della classe forse proprio per paura di doversi misurare con Esselunga. Un segnale evidente delle difficoltà interne al consorzio, nel saper gestire il primato, che sarebbero emerse  di lì a poco..

MD è un’insegna tosta. Sa come e dove colpire. Aveva pianificato sulle tv digitali (Rai Play, Mediaset Play, canali di Ciaopeople e su YouTube) 5 brevi racconti per affrontare con ironia gli stereotipi e i preconcetti che circondano i prodotti del discount. Il nome era tutto un programma: “È tale  e quale!”. Centromarca ha immediatamente invitato e diffidato MD a provvedere alla sospensione della campagna. La campagna è stata sospesa. Un peccato. In questo mondo un po’ curiale dove tutte le insegne (non solo i discount) pensano sul serio che la loro MDD “è tale e quale” al prodotto di marca, quegli spot rompevano gli schemi. Colpivano nel segno come quello  della “spesa intelligente” di Eurospin. Il leader tra i discounter. L’esatto opposto della campagna nazional popolare con la rassicurante Antonella Clerici che, insieme al cavaliere, gigioneggiano, augurando  Buona Spesa all’Italia intera. Leggi tutto “Patrizio Podini e la “sua” MD alla conquista dello spazio (a Milano)…”

Il Carrello tricolore ha tolto la GDO dal banco degli accusati. Adesso occorre andare oltre..

Continuo a pensare che siano due facce della stessa medaglia. Da una parte le dichiarazioni del Ministro Urso. La politica che cerca di sfruttare il fatto di essere nel posto giusto al momento giusto. Dall’altra gli opinionisti che spaccano il capello in quattro per ribadire una cosa ovvia: l’inflazione segue traiettorie molto complesse  impossibili da mettere sotto controllo soprattutto in un contesto geopolitico come quello che stiamo vivendo. Non sarà certo per un accordo di buon senso come quello  del “carrello tricolore” che ha coinvolto la quasi totalità della Grande Distribuzione e solo una parte dell’industria alimentare di marca.

Anziché cercare di capire, se e quanto, il “carrello tricolore” ha favorito, e in che modo, la ripresa di fiducia dei consumatori  nei confronti della GDO pur nei diversi formati si insiste  in esercizi inutili.  Italia Fruit news ha pubblicato (https://bit.ly/49oNCle) un’analisi proposta da Quick Service (il servizio “espresso” del Monitor Ortofrutta di Agroter) sull’analisi settimanale delle vendite di ortofrutta. Dopo tre settimane dall’applicazione del provvedimento, il non coinvolgimento dell’ortofrutta nell’iniziativa l’ha penalizzata. E sono solo tre settimane. Io aspetterei dicembre per tirare conclusioni.

Ci sono addirittura giornalisti che si sono  presentati nei punti vendita a poche ore dell’avvio del “carrello” per sostenere  che l’iniziativa  era fallita prima ancora di cominciare. O poco sentita dalla stessa GDO solo per aver rilanciato le dichiarazioni di  qualche manager che parlava a titolo personale. Cattiva comunicazione da entrambe le parti. Ovviamente la polemica  è solo contro la strumentalizzazione  interessata  del ministro.  Ma cosa ha detto, in concreto?  Che il calo dell’inflazione in Italia è merito del Governo. Cosa ovviamente non vera.  Quando ho letto le dichiarazioni del ministro, ho dato al tweet il peso che meritava e sono passato oltre.  Ma tant’è.

Anche perché ci sono top  manager che non si ricordano le enormità che vengono “sparate” nelle convention aziendali per motivare la truppa. Lo stesso fa la politica. Per i detrattori, nell’industria  alimentare e in parte della GDO,  il Patto, come il matrimonio tra Renzo e Lucia, non era da fare. Anche dopo la firma, non sentono ragioni. Inutile spiegare loro che con questo accordo la GDO ha evitato di finire sul banco degli imputati. Inutile ricordare che le promozioni e gli impegni messi in campo  fino all’accordo, e che avevano inciso pesantemente sui margini, non erano state nemmeno colte dai consumatori. Inutile spiegare che il patto, come ho già scritto, ha messo tutte le insegne e i formati distributivi sullo stesso piano agli occhi dei clienti. Ancora più inutile spiegare loro che essere interlocutori della politica  con un Governo che,  durerà e legifererà su materie cruciali anche per la GDO fino alla fine della legislatura, se non ancora più a lungo, è fondamentale. E non lo si sarebbe mai diventati alzandosi da quel tavolo..

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