Despar. Una realtà GLOCAL della Grande Distribuzione..

Non è da molto che frequento i press day delle insegne della Grande Distribuzione. C’è la concreta possibilità  di trovarsi ad ascoltare l’oste che non può che parlare bene del suo vino.  Soprattutto è difficile comprendere il legame tra quelle presentazioni  e la realtà quotidiana senza frequentare i loro negozi. Il rischio così è che le insegne, a chi ascolta, sembrino un po’ tutte uguali. Poche, nel comparto,  giocano per vincere il campionato. La maggior parte di loro gioca per non retrocedere. Fino a poco tempo fa la crescita era sostanzialmente assicurata dalle nuove aperture e dalle acquisizioni. Dentro il PDV, dalla ricchezza, dalla qualità dell’offerta e dalla convenienza. Oggi la partita sta cambiando. La proliferazione di insegne e formati spesso confinanti spinge il cliente a frequentarne più d’uno. C’è chi dice, almeno sei. Le borse variopinte alle casse spesso segnalano questa “infedeltà”.

I “press day” hanno però un pregio. Consentono di capire il grado di consapevolezza dell’insegna rispetto a questi cambiamenti in corso. Con questo spirito mi sono recato alla presentazione di Despar. Conoscevo poco questa azienda. Il punto vendita di Malé in Val di Sole che frequento per diversi mesi all’anno, il loro direttore risorse umane Angelo Pigatto e Fabrizio Colombo, oggi Despar Sardegna, con cui, in passato,  siamo  stati colleghi in Standa.  Due ottimi professionisti che avevo perso di vista. Non avevo altri riscontri diretti. L’evento era a casa LAGO, un grande appartamento nel centro di Milano in grado di trasformarsi in una location per incontri di business rinominata  per l’occasione in “Casa Despar”. Lì, ho incontrato i due artefici principali della Despar di oggi. Il Presidente, Gianni Cavalieri, un imprenditore siciliano esperto, grande navigatore e profondo conoscitore del comparto e Filippo Fabbri il Direttore Generale che vanta una  carriera  significativa a cavallo tra industria alimentare e GDO.

Despar è un  consorzio di imprese che  riunisce sotto  l’insegna  6 aziende della distribuzione e quasi un migliaio di affiliati con  un fatturato di 4,14 miliardi di euro e circa 1400 punti vendita collocandosi tra le prime dieci insegne italiane. Assente in alcune regioni centrali (Toscana, Marche e Umbria). Cresce al sud (Puglia, Calabria e Sardegna) e in alcune regioni del nord (Piemonte, Liguria e Emilia Romagna). È una multinazionale tipicamente “Glocal”, in grado di pensare globalmente e agire localmente. Spar International, il gruppo mondiale della distribuzione associata è presente in 48 Paesi con un fatturato complessivo di 43,5 miliardi di euro in crescita (https://www.desparitalia.it/spar-international/).

È presente sul territorio nazionale in 17 regioni italiane con le insegne Despar, Eurospar e Interspar. Nel Consiglio di amministrazione di Despar Italia sono entrati due nuovi amministratori, Marco Fuso (Despar Nord Ovest) e Francesco Montalvo (Despar Nord Est), insieme a Pippo Cannillo (Despar Centro Sud), Fabrizio Colombo (Despar Sardegna) e Toni Fiorino (Despar Messina). Paul Klotz di Aspiag Service, che ha ricoperto la carica di presidente dal 2016, assume il ruolo di vicepresidente. Interessante la strategia GLOCAL: attenzione alla sana alimentazione, sostenibilità e promozione di prodotti locali e filiere agroalimentari italiane. Attualmente, oltre il 90% dei fornitori delle linee Despar sono italiani e producono in Italia. Leggi tutto “Despar. Una realtà GLOCAL della Grande Distribuzione..”

Logistica GDO e non solo. Che sta succedendo?

I piazzali della logistica sono in ebollizione. Pochi lo stanno sottolineando. Il sindacalismo di  base nelle sue varie colorazioni ha lanciato la sua parola d’ordine unificante e “pericolosamente” condivisa: “internalizzare ciò che è stato esternalizzato”. Una sorta di “reshoring” aziendale forzato. Come per i rider. Tutti dipendenti diretti. Ma qui si parla di un comparto molto più complesso del home delivery. Tra una parte della magistratura milanese che giustifica il blocco delle merci e i picchetti come fossimo negli anni 70 e l’affanno dei sindacati confederali dal comparto privi di una strategia condivisa, la tensione continua a salire.

Il tema centrale,  nei  prossimi mesi  è se CGIL-CISL-UIL  unitariamente o a livello di singole organizzazioni si metteranno ad inseguire i Cobas sul loro terreno o si porranno in una logica di gestione delle conseguenze dell’evoluzione del sistema logistico nazionale. Le spaccature tra CGIL e UIL da una parte e CISL dall’altra sul giudizio di ciò che sta facendo il Governo, così come in alcune vicende aziendali, segnalano uno scenario sindacale in movimento. Capirne la direzione è importante.

Intanto nella logistica si sta giocando una partita decisiva. Le aziende, sia industriali che commerciali stanno cercando di ridisegnare i propri  confini   organizzativi per renderli più vicini alle esigenze dei clienti ma stanno anche correndo ai ripari a seguito delle continue difficoltà incontrate nella gestione  dei loro magazzini pur terziarizzati proprio per l’azione antagonista dei sindacati di base. E questo provoca conseguenze inevitabili. Con l’affermazione del concetto di supply chain  si è passati  nel tempo da una funzione di supporto organizzativo ad una funzione strategica per lo sviluppo delle singole aziende. L’outsourcing logistico è inevitabile perché consente una concentrazione sul core business e costituisce una soluzione decisiva per tutte le aziende che ricercano nuovi metodi e una soluzione per alzare il livello di efficienza aziendale e di produttività, indispensabile per competere oggi. La logistica moderna non comprende semplicemente, come in passato,  il trasporto merci o la gestione dei  magazzini. Si vanno a coinvolgere settori ben più ampi di questi: dalla rete di approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione della merce, passando dal processo di ordine ed eventualmente di gestione del reso.

Ognuno di questi aspetti, inevitabilmente, va a influire su tutti gli altri. Dalla sua attenta pianificazione, in un regime di forte concorrenza come quello attuale, può dipendere il successo o l’insuccesso imprenditoriale di un’azienda. È chiaro che i costi logistici, gli appalti e i relativi sub appalti, la gestione stessa dei magazzini e del personale da parte dei terzisti sono un fattore chiave in termini di efficienza e di produttività del sistema. E questo porta con sé una serie di contraddizioni sugli addetti, gestiti spesso spregiudicatamente, che devono essere affrontato e risolti rapidamente. Senza questo scatto in avanti del comparto situazioni legittime di cambiamenti di strategia vengono strumentalizzate e bloccate con pesanti conseguenze economiche sulle imprese logistiche serie ma anche sulle imprese committenti.  Leggi tutto “Logistica GDO e non solo. Che sta succedendo?”

Rinnovo CCNL Terziario e Distribuzione. Due debolezze che si elidono a vicenda

Alle riflessioni già fatte sullo stallo nel rinnovo del CCNL del terziario e della DMO (https://bit.ly/3tKwkhU) aggiungo altri elementi di approfondimento perché l’impasse attuale è anche figlia della stessa composizione delle delegazioni al tavolo negoziale. C’è un’evidente crisi di autorevolezza di entrambe le leadership nei confronti delle rispettive  controparti. Nessuno riesce a convincere  l’altro delle  proprie  buone ragioni poste da tempo al confronto.

Sul fronte datoriale lo stallo è evidente (il silenzio ad esempio del Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli dopo quattro anni di tira e molla  è assordante). Confcommercio è ferma al palo come mai avvenuto in passato. Affidare la possibile mediazione finale alla Vice Presidente Donatella Prampolini, che ha la stessa flessibilità di una barra di tungsteno, chiarisce più di mille parole lo stato dell’arte.  La stessa Federdistribuzione non sembra essere in grado di  consolidare  una logica di governo del comparto garantita  solo dal CCNL. Cerca una specificità che li possa distinguere dalla fotocopia sostanziale del loro testo con quello di Confcommercio concordato  a suo tempo, ben sapendo che le aziende associate si muovono autonomamente  interpretandone i contenuti ciascuna a casa propria. È c’è pure chi applica tutt’altro. Troppo marcate le differenze e le esigenze tra singole insegne e formati distributivi.

Sul fronte  sindacale, i cambiamenti avvenuti ai vertici dei sindacati di categoria dall’ultimo CCNL, scaduto nel 2019, non hanno ancora prodotto  figure autorevoli  in grado di avanzare sintesi accettabili. Ruolo fondamentale nei delicati passaggi che precedono la conclusione di un contratto nazionale. L’impressione è che ognuno guardi solo in casa  propria, e mantenga una certa diffidenza, sulle possibili proposte di mediazione. Cosa peraltro sempre avvenuta. Aggiungo che, il ricorso alla piazza per imprimere una svolta al negoziato (https://bit.ly/3S9NcJ0), pur legittimo, rischia di inserirsi nelle dinamiche e nella competitività  tra sindacati confederali che stanno montando su altri piani e di rendere ancora più difficile un possibile compromesso.

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Dalla logistica alla GDO. Importare cattive pratiche è un attimo….

Per chi, come il sottoscritto, cerca punti di osservazione meno scontati  con tutto ciò che è collegato alla Grande Distribuzione, la notizia che il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, dott.ssa Daniela Cardamone, ha archiviato il procedimento a carico di 32 lavoratori e attivisti del SI Cobas  per i fatti accaduti durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Vigano di Truccazzano e Vimodrone (MI) segnala una svolta da non sottovalutare.

Come negli anni 70 e 80 del secolo scorso si sta riproponendo un collegamento pericoloso che getta un’ombra sulle traiettorie dello  sviluppo del comparto e del possibile effetto imitativo  che, la degenerazione delle lotte sindacali promosse dai sindacati di base sui piazzali della logistica e la crisi di leadership del sindacalismo confederale, possono determinare.  Al di là dei ricorsi possibili il dispositivo “smonta”  una prassi ormai consolidata che considerava sia il “picchetto duro” che il “blocco delle merci” in entrata e in uscita da un centro logistico un atto di violenza  privata e quindi  un reato.

Non è un fulmine a ciel sereno. Conferma un’analoga pronuncia formulata pochi mesi fa da una altro  PM, il dott. Enrico Pavone. Il principio affermato è semplice: “un picchetto fuori dai cancelli in occasione di uno sciopero, condotto dai lavoratori attraverso l’ostruzione delle vie d’accesso al posto di lavoro operata con la loro presenza fisica e finalizzato ad impedire l’ingresso delle merci, non è punibile poiché tale forma di lotta è parte integrante del diritto di sciopero e della libera iniziativa sindacale, tutelate dagli articoli 39 e 40 della Costituzione”.

Come già argomentato dal PM nella richiesta di archiviazione, il picchettaggio è, a tutti gli effetti un’attività “ancillare e corroborante” dello sciopero; bloccare le merci è il più delle volte una necessità oggettiva per far si che lo sciopero stesso abbia un senso e per impedire che l’azienda ne vanifichi del tutto gli effetti per mezzo del crumiraggio”.  Dichiarando quei comportamenti non punibili, di fatto però li legittima, quali azioni “necessarie” per imporre alle aziende il rispetto dei contratti nazionali o locali, dei diritti dei lavoratori e della loro dignità. Su tutti il diritto a una retribuzione dignitosa, alla libertà sindacale e al rispetto delle normative sulla sicurezza”.

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Secondo NielsenIQ cambiano consumi e luoghi della spesa…

Le previsioni sono fatte per essere smentite. Il 2023 si chiude con un aggravamento della situazione socio-economica e la condizione delle famiglie italiane ne esce peggiorata. Chi la faceva semplice basandosi su tendenze momentanee di calo dell’inflazione  si dovrà ricredere. I consumatori, per contrastare il carovita devono considerare con grande attenzione non solo cosa comprare ma anche dove comprare.

Confermo una mia convinzione. Il “carrello italico” ha rappresentato una sorta di safety car che ha contribuito a mettere tutte le insegne e tutti i formati più o meno sullo stesso piano. Almeno nella percezione  del consumatore. Romolo De Camillis, Retailer Directory a NielsenIQ, giustamente sottolinea su LinkedIn  che  “è ancora presto per stabilire relazioni di causa effetto tra i panieri anti-inflazione (a prevalenza mdd) e l’andamento delle vendite, nonostante i dati della seconda settimana di ottobre vadano nella direzione della prima. Non trascurerei invece l’impatto positivo che la comunicazione può avere nel rassicurare i consumatori sull’impegno dell’insegna e dei negozi nel combattere il caro-vita”. Anche attraverso l’adozione della cartellonistica relativa all’operazione stessa.

In un clima di sfiducia generalizzata nei confronti di chi emette lo scontrino una sorta di certificazione comune sottolinea la presenza di un impegno. È quello che alcuni osservatori hanno sottovalutato. Non c’è in loro la percezione che intorno a noi si stanno sgretolando certezze e equilibri geopolitici. C’è chi ha pensato che eravamo di fronte alla classica quanto inutile passerella politica del Governo e non ad un cambio di paradigma che induce confusione e preoccupazione nelle persone anche nell’atto della spesa. E che la passerella era, in fondo, un peccato veniale, rispetto al contesto.

Ci sono all’orizzonte enormi rischi anche per il nostro Paese. L’industria di marca stessa ha dovuto prendere atto che la situazione che si andava creando con il loro rifiuto a partecipare, alla lunga,  non avrebbe giovato nemmeno a loro. È così il cigolante carrello si è messo in moto. Se non ci fosse stato il patto  oggi la GDO sarebbe al centro di polemiche al calor bianco. È chiaro che il patto non è la soluzione. Ma sia chiaro che dovremo coesistere con questa situazione di incertezza anche nel 2024.  E questo era un  passaggio obbligato. Fortunatamente i “benaltristi” sono stati lasciati in panchina. Leggi tutto “Secondo NielsenIQ cambiano consumi e luoghi della spesa…”

LIDL. La convenienza diventa sostenibile per l’ambiente, i consumi e le persone…

Per il grande pubblico un’insegna è rappresentata dai suoi  punti vendita. Quello che c’è dietro non si percepisce. Poche insegne, nel nostro Paese, sono riuscite ad imporsi, come realtà economiche importanti fuori dal comparto. Coop, Conad e Esselunga ce l’hanno fatta grazie alla loro capacità di giocare a tutto campo su alcuni filoni di interesse generale. Acquisizioni, attenzione al contesto sociale, gestione delle risorse umane, leadership del proprietario.

Tutto quello che vediamo, in termini di innovazione, di formati  o di layout  è arrivato per anni principalmente dagli Stati Uniti o dalla Francia. Qui poi è stato declinato adattandolo al profilo dei consumatori locali. Da qualche anno anche dai tedeschi arriva qualcosa di nuovo. Qualcosa che va oltre il discount. La convenienza, la sostenibilità, l’evoluzione dei consumi trovano una nuova declinazione.

Oggi tocca a Lidl rappresentare concretamente una strategia che nel prossimo futuro sarà colta e seguita da molti altri. Il percorso intrapreso è però chiaro. La presentazione della nuova strategia di sostenibilità (https://bit.ly/3QvArY1) rappresenta una volontà precisa che va oltre il classico greenwashing a cui molti, non solo nella GDO, ci hanno abituato. È un riposizionamento strategico che parte dalla casa madre e definisce il nuovo profilo della multinazionale di Neckarsulm presente in  31 Paesi, in Europa, USA e Hong Kong con  oltre 360.000 collaboratori. Questo si abbastanza raro nel panorama della GDO. Un approccio olistico su tre dimensioni: benefici per il Pianeta, benefici per le Persone e, infine, benefici per i Clienti.

Massimiliano Silvestri, Presidente Lidl Italia, lo ha sottolineato rivendicando la conferma delle traiettorie decise nonostante il contesto geopolitico, economico e sociale spingerebbe ad una maggiore cautela. “Per quanto potremo fare abbiamo non solo la facoltà, ma anche il dovere, di esercitare la nostra influenza in ogni ambito del nostro agire quotidiano per dare un contributo concreto all’ambiente e alla società”.

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Grande Distribuzione tra Rinnovo del CCNL che non c’è, contratti pirata e Cobas nella logistica

È difficile spiegare a chi non vuole o non può capire che il rinnovo del contratto nazionale è interesse comune. Spingere il sindacato confederale di categoria a scendere in piazza per sbloccare il negoziato è un errore che si sarebbe dovuto evitare (https://bit.ly/3S9NcJ0). L’inflazione non colpisce solo i consumatori. Il rimpallo delle responsabilità tra Federdistribuzione, Confcommercio  e i sindacati di categoria sta diventando insostenibile. Occorre una dose maggiore di sensibilità sociale per chiudere una partita aperta ormai da troppo tempo.

È ovvio che non tutte le colpe sono delle associazioni e delle loro contraddizioni. Anche il sindacato ha le sue. Ma qui siamo di fronte ad un deficit di classe dirigente e della loro incapacità di affrontare e chiudere una vicenda ormai grottesca. Lo sforzo che è stato messo in piedi con il patto anti inflazione è lì a dimostrare che ci sono momenti dove è necessario assumersi le proprie responsabilità. Sul CCNL, scaduto nel 2019,  questa assunzione di responsabilità politica non c’è.

Parto da due fatti apparentemente lontani che segnalano la deriva sempre più evidente di un sistema sul quale occorrerebbe riflettere.  Prima che sia troppo tardi. Due facce, purtroppo,  della stessa medaglia. Il primo si è sviluppato  principalmente a sud. Il secondo nel centro nord. La contrattazione sostitutiva del CCNL (la famosa contrattazione “pirata”) sta prendendo piede producendo una degenerazione del sistema. Anche  nella GDO. Un indubbio vantaggio competitivo per chi si smarca dai CCNL. Una incapacità evidente di inquadrare questa scelta  nelle prospettive del comparto e delle conseguenze possibili se l’intero sistema, così facendo, tenderà a  sfaldarsi.

La contrattazione “pirata” crea dumping tra imprese e svuota il contratto nazionale di lavoro. Per ora la sua espansione è ridotta a qualche centinaio di realtà territoriali ma la corda prima o poi, è destinata a spezzarsi. Certo è difficile spiegare ad un piccolo imprenditore impegnato a difendere il proprio fatturato e i propri margini che i rischi di degenerazione del sistema ricadranno, in prospettiva, anche su di lui. Così come è altrettanto arduo convincere sindacati confederali e associazioni di impresa che più che vagheggiare la cancellazione della contrattazione “pirata” per legge occorrerebbe affrontarne le ragioni  che l’alimentano e le possibili strategie per superarla insieme. Leggi tutto “Grande Distribuzione tra Rinnovo del CCNL che non c’è, contratti pirata e Cobas nella logistica”

UNES. Quando una procedura di riduzione del personale non ben valutata fa più danni di ciò che vorrebbe risolvere….

Nell’incontro del 19 ottobre presso il Glam Hotel di Milano si è tenuto il secondo incontro con la direzione di UNES previsto dalla procedura di riduzione di personale presentata il 29 settembre. Secondo fonti sindacali l’azienda ha inizialmente ribadito il suo progetto: un cosiddetto “referente aziendale” inquadrato nel secondo livello del CCNL che avrebbe dovuto sostituire formalmente il “direttore” pur continuando a svolgere le medesime attività di primo livello. Quindi nessuna riduzione  di attività e funzioni. Solo di stipendio. Una richiesta  che, presentata così,  è stata rispedita al mittente.

E,  continuando a leggere  il comunicato sindacale:  “Le figure ritenute idonee a ricoprire tale ruolo sarebbero state individuate da un’agenzia di consulenza esterna attraverso prove scritte ed orali e tramite criteri del tutto discrezionali, mentre quelle non idonee sarebbero state automaticamente ritenute in esubero e dunque destinate all’uscita o ad un mortificante demansionamento, utile esclusivamente alla salvaguardia occupazionale”.

Il sindacato, com’era prevedibile,  non  ha potuto far altro che respingere questa impostazione. Creare figure professionali al di fuori del perimetro del CCNL in presenza in azienda  dei titolari del ruolo cercando di sotto  inquadrarle sarebbe stata una operazione  che non avrebbe retto a lungo in nessun tribunale. Anche da parte di chi, obtorto collo, l’avesse accettata e quindi subita, in alternativa al licenziamento. Il ripensamento dell’azienda, pressata dai sindacalisti presenti, ha però segnalato la persistente confusione del management sulla scelte organizzative in grado di contribuire, attraverso un contenimento dei costi,  ad un possibile rilancio dell’azienda.

Rilancio che non sembra essere, a detta dei sindacalisti,  presente nelle parole dei responsabili aziendali al tavolo. La causa della procedura stessa  sarebbe da ricercare  nell’espansione dei discount, nei concorrenti, nell’inflazione, nel destino cinico e baro, ecc. Insomma la colpa è da ricercare altrove. Non bisogna essere degli esperti per comprendere che tagli pesanti del personale non accompagnati da un’idea di futuro o almeno, da una parvenza  di rilancio non portano da nessuna parte. Scartata quindi la prima proposta, assolutamente impraticabile, la nuova prevederebbe il mantenimento dell’attuale figura del “Responsabile del punto vendita”, inquadrato come previsto dal CCNL. Gli esuberi (101 unità) il cui numero  resta invariato, verrebbero gestiti, sollecitando possibili scelte individuali, attraverso  3 opzioni: 

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L’Esselunga di Caprotti è una sola….

“Le ossa dei Caprotti” (Una storia italiana di Giuseppe Caprotti) è un libro sicuramente da leggere. È la storia di una grande impresa familiare e dei suoi protagonisti raccontata per quello che è stata. Leggendola tutta di un fiato mi è venuto in mente Fabrizio De André. “Cominciò con la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro è una storia un poco scontata, una storia sbagliata”… Probabilmente non serviva un libro per sapere che Bernardo Caprotti non fu uno stinco di santo  e che Giuseppe Caprotti era una persona per bene. Se ci si potesse fermare qui si prenderebbe atto della verità di un protagonista di quella famiglia che per oltre vent’anni ha cercato di emergere in una situazione oggettivamente difficile. Sottolineando, ovviamente,  la mancanza di  un diritto di replica del bersaglio principale del libro, Bernardo Caprotti, che  non può esserci per ovvie ragioni.  Fatti  raccontati e  spiegati meticolosamente che hanno sconvolto la vita e il percorso professionale del primogenito dei Caprotti e che meritano, rispetto da parte di chi legge.

L’Espresso già il 13 dicembre  2012 aveva descritto “una saga familiare, tra risse, tradimenti e drammi attraverso tre generazioni per il controllo di un gruppo da sei miliardi di euro” (oggi 8,5 miliardi ndr). Il libro riprende quel racconto proponendo ulteriori dettagli, particolari inediti, istantanee familiari che coinvolgono soprattutto una parte degli eredi e il loro complesso rapporto con il padre Bernardo.  I confini tra interessi familiari, profili caratteriali e vicende personali, quando colpiscono gli interessi economici dei singoli familiari e si catapultano nelle aziende, ne minacciano quasi sempre stabilità e prospettive. Almeno fino a quando non si individua un percorso chiaro.

Non è un tema che coinvolge solo l’azienda di Pioltello. Va sottolineato, per evitare equivoci. Io penso che nessun imprenditore della GDO (e non solo) sia arrivato a costruire una sua realtà economica importante rispettando semplicemente le regole del gioco. Nella migliore delle ipotesi le ha interpretate, forzate, piegate a proprio favore. Su questo Caprotti senior è solo uno dei tanti. La spregiudicatezza ben descritta dal libro è un tratto caratteristico rintracciabile  in molte situazioni. La differenza è che, la sua, è testimoniata e raccontata  dal figlio. Un fatto senza precedenti. E questo agire fotografato quasi ossessivamente nel libro  consegna alla solitudine il titolare di questi comportamenti circondato spesso da yes men interessati e adulatori. Ma anche da ottimi professionisti ad ogni livello dell’organizzazione aziendale. Esselunga li ha sempre avuti. Non è diventata quello che è, immeritatamente.

Vittorio Merloni, che per un lungo periodo non aveva voluto i figli in azienda, diceva che un padre non deve mai trovarsi nella condizione tragica di dover licenziare un figlio. Caprotti senior lo ha fatto ma non lo ha mai voluto ammettere. L’incompatibilità e la competizione tra padre e figlio  però erano assolute. E non  era solo un problema caratteriale. Era anche di visione dell’azienda e del suo futuro. Problema che travalica il caso in sé. Superata una certa età del fondatore i figli rischiano di essere plagiati o schiacciati dalla personalità e dalla credibilità conquistata del genitore. Sembra cinico affermarlo ma solo quando il passaggio generazionale avviene per tempo o per eventi traumatici che coinvolgono il fondatore in età meno avanzata, i passaggi generazionali sembrano funzionare. Oppure, come in questo caso, dove la seconda moglie di Caprotti, Giuliana, ha tenuto con lungimiranza la figlia lontana dall’epicentro dello scontro familiare proteggendola e agevolandola così nel perseguire i suoi obiettivi. Difficile non giudicare, questa,  una strategia molto più efficace rispetto a quella adottata dall’altro ramo della famiglia. 
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UNES. Quando tra sede e punti vendita il dialogo si complica…

Una crisi aziendale non nasce improvvisamente. Diversi segnali l’annunciano e la precedono. I numeri non sono l’unico punto di osservazione. Innanzitutto i top manager che vanno e vengono. Poi il turn over. Chi ha una professionalità rivendibile sul mercato lascia l’azienda  appena se ne presenta l’occasione. A questo si aggiunge la difficoltà a reperire personale ad ogni livello. Infine le continue operazioni sull’organico  che si susseguono nel tentativo di comprimere i costi della struttura in attesa, si spera, di altre soluzioni. Ricordo l’ultima fase di Standa quando Mediocredito Lombardo (l’investment bank di Banca Intesa), che ne possedeva due terzi, non l’aveva ancora ceduta a  Rewe. In sede e nei 120 PDV, in quei  mesi di interregno sembrava di essere asserragliati ciascuno in una sorta Fort Alamo dove ci si difendeva  rimbalzando le rispettive responsabilità.

Nel  “caos calmo” che regna in azienda  in quelle condizioni, il responsabile del punto vendita è una delle figure più delicate. È determinante il suo spirito di servizio e la sua capacità di tenere la motivazione ad un livello accettabile, della  squadra di regia e dell’insieme dei collaboratori. “Prendersela” con i responsabili di punto vendita  è come spararsi ad un piede. Qui non si parla di qualche personaggio inadatto al ruolo che deve e può essere sostituito. Si propone di chiudere o trasformare radicalmente  il rapporto con l’intera categoria aziendale in servizio perché non ritenuta in linea con la nuova organizzazione ipotizzata che resta tutta da verificare.

So benissimo che in molte insegne della GDO quelle figure professionali sono state di fatto sostituite,  in termini di livello di inquadramento  e quindi di retribuzione, ormai da tempo. Ma un conto è ridiscutere una ipotetica nuova job description del ruolo in una fase di stabilità, per nuovi assunti o, come hanno fatto altre insegne ,  che mettono in posizione giovani inseriti in processi di crescita, un altro è “azzerare” i ruoli occupati  da persone fisiche e presenti  in azienda. Anche lasciando perdere leggi e contratti e future cause individuali a mio parere resta un autogol sul piano della motivazione, del clima interno  e della qualità del lavoro nei punti vendita.

Ovviamente la mia riflessione va oltre il caso UNES.

Questa figura professionale si trova spesso  tra l’incudine e il martello schiacciata da una gerarchia commerciale di sede che non ha quasi mai il coraggio di assumersi le proprie responsabilità sui risultati soprattutto quando gli errori di strategia si fanno sentire. Le  attività quotidiane del “direttore” in un’ insegna che attraversa una evidente crisi di risultati non sono facilmente descrivibili in una job description tradizionale. Se normalmente la funzione principale  è rappresentata dalla gestione economica di un negozio e la responsabilità della gestione dei lavoratori in situazione di forte tensione si trova a dover rispondere ai clienti che percepiscono immediatamente i segnali di peggioramento, spegnere gli incendi quotidiani, ammortizzare gli errori  della logistica, supervisionare e spesso sostituire il personale indipendentemente dal ruolo  con orari si lavoro che coinvolgono i responsabili molto di più di ciò che si pensa quando se ne discute a tavolino.  Per questo servono competenze sia di tipo organizzativo che di tipo relazionale. E soprattutto tanta disponibilità personale.  Leggi tutto “UNES. Quando tra sede e punti vendita il dialogo si complica…”