Grande Distribuzione. È ora di fare un passo in avanti su inflazione, spreco alimentare e CCNL

Navigare a vista in tempi di inflazione per una compagnia eterogenea come quella della Grande Distribuzione abituata a rincorrersi a colpi di promozioni e sconti come non ci fosse un domani non è cosa facile. Ciascuno pensa di agire in proprio per contendere ai concorrenti diretti clienti e fatturati. Questi ultimi, gonfiati dall’inflazione, possono trarre in inganno chi non ha vissuto, in passato, le fasi di lacerazione del tessuto sociale in tempi di alta inflazione e la difficoltà delle forze sociali per ricomporlo.

Con il recente accordo con il Governo le associazioni hanno fatto un modesto ma significativo passo in avanti. Non hanno subìto la situazione, non hanno accettato il ruolo dell’”insensibile sociale” in commedia e hanno dimostrato una apprezzabile capacità di iniziativa collettiva. L’inflazione checché ne dicano alcuni è destinata a farci compagnia per lungo tempo. Le cause geopolitiche che la alimentano sono tutt’altro che alle spalle. Ha ragione Massimo  Scolari Presidente di Ascofind “Affermare come qualcuno sostiene in questi giorni che “i prezzi al consumo scendono” denota lo spirito propagandistico-ignorante del messaggio. Si sta riducendo il ritmo di crescita di alcuni prezzi non il livello assoluto”. L’inflazione continuerà ad avere, ovviamente, un andamento altalenante dove speranze e delusioni accompagneranno, deprimendoli, i consumi delle famiglie. Sopratutto quelle meno abbienti. È bastato il mancato accordo sul trasporto del grano  ucraino per far schizzare in su il prezzo di cinque euro al quintale. E parliamo di pane, pasta, pizza, ecc. 

In questa situazione è inutile insistere  con risposte tattiche che non convincono i consumatori  contro gli aumenti dei prezzi come fosse possibile combattere un fenomeno planetario dal cortile di casa ma è ovvio che ogni insegna metterà in campo le risposte tattiche che riterrà più opportune. La realtà però ci presenta, da un lato,  chi riversa sui listini gli inevitabili aumenti e chi ne assorbe in piccola parte gli effetti. Dall’altro lato, la ripresa del fenomeno della shrinkflation (in italiano sgrammatura da inflazione) dove numerose aziende lasciano invariato il prezzo del prodotto ma riducono il contenuto nella confezione. I consumatori così non si sentono  trattati  da adulti consapevoli ma secondo la massima: “se non puoi convincerli, confondili”. Così  non si fidano più di nessuno. La Grande Distribuzione rischia quindi di restare in un angolo e di restarci a lungo. Soprattutto se la situazione geopolitica internazionale resterà instabile e l’inflazione continuerà a pesare sui consumi giornalieri delle famiglie.
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Conad. L’alba del giorno dopo…

Pappagone, celebre personaggio televisivo degli anni ’60 nato dalla fantasia di Peppino de Filippo, si sarebbe chiesto di fronte al bivio che oggi deve affrontare Conad dopo  l’uscita di Francesco Pugliese se è meglio essere “vincoli o sparpagliati”. Tutti insieme, convinti e uniti per continuare a crescere, oppure ognuno per conto suo come in una normale centrale o super centrale di acquisto, seppure di matrice cooperativa,  regolata da  una formale unità di facciata. Se dovessi dare un consiglio (non richiesto) ai leader delle 5 cooperative Conad e al loro Presidente, suggerirei di ripartire da qui.

Nella vicenda che ha coinvolto Conad, seguita all’acquisizione di Auchan, diversi protagonisti diretti o indiretti,  hanno preferito non sentire il fischio dell’arbitro che segnalava la fine di quella  partita e l’inizio di una nuova fase. La complessa operazione era comunque destinata, per protagonisti, dimensione e dinamiche  economiche e sociali, a portare con sé contraddizioni e conseguenze inevitabili. Nel comparto,  abituato ad acquisizioni e riorganizzazioni continue ma, tutto sommato modeste, una vicenda che avrebbe potuto trasformarsi in uno dei tanti disastri economici e sociali per i numeri coinvolti, per visibilità  e per la complessità dell’operazione stessa si è però chiusa positivamente.

Comprensibili ovviamente, le delusioni  manifestate da molti ex Auchan. Traditi dalla multinazionale in cui avevano investito passione e professionalità  e in parte snobbati da chi è subentrato  hanno continuato a cercare conferme al loro legittimo giudizio negativo su chi se ne è andato, su chi è arrivato e su tutti coloro che cercano o hanno cercato di chiudere una fase e guardare avanti.

Altra cosa sono i giudizi su aspetti specifici e, tutto sommato marginali per la dimensione dell’operazione. Personalmente  accetto il suggerimento del direttore di Starmag  Michele Arnese quando cita il Socrate del   “so di non sapere”. Le inchieste giudiziarie hanno i loro tempi e il loro svolgimento. Sollevare polveroni, insinuare, esprimere facili opinioni derivate quasi sempre da modesti o antichi rancori personali, non serve a nulla. Far intendere di aver già capito tutto quando non si sa un bel nulla è pratica di un certo “opinionismo” che, come ricorda Giorgio Gaber, “riesce a dire tutto senza dire niente con i suoi “parrebbe”, “si vocifera” e “si dice”.  Leggi tutto “Conad. L’alba del giorno dopo…”

Grande Distribuzione. Bene la prima con il Governo ma sull’inflazione c’è ancora molto da fare

Prima ci hanno provato in ordine sparso le differenti insegne ad arginare l’aumento dei prezzi  indotto dall’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia. Qualcuna, ingenuamente, ha pensato potesse essere sufficiente annunciare ai propri clienti la volontà di resistere, scaricarne, in parte,  costi sui margini e alzare la voce con l’industria. Ovviamente non poteva durare a lungo.

L’inflazione è una brutta bestia se sei costretto a subirne le conseguenze. Però ha la sua utilità  e i suoi vantaggi per chi la sa (o la vuole) strumentalizzare a proprio vantaggio. Sia a livello macro che micro. La Grande Distribuzione si è trovata politicamente impreparata ad affrontare il fenomeno perché i suoi principali interpreti erano  abituati a risolvere tutto nel  rapporto con i propri fornitori, a comprimere i costi  e a ragionare sulle performance in rapporto all’anno precedente. Non ne hanno percepito né il rischio connesso alla durata né le possibili conseguenze sul lungo termine. Alcuni si sono quindi trovati nella spiacevole condizione di “abbaiare alla luna” nel disinteresse generale non riuscendo spesso a convincere del proprio impegno neppure i clienti.

Per chi ha un reddito fisso l’inflazione è però è un problema serio. Per chi ha un reddito basso, un dramma. L’inflazione impone delle scelte sui consumi. Alcune non sono comprimibili. Soprattutto se coinvolgono le diverse aspettative dei componenti (giovani o meno giovani) delle famiglie. Chi governa l’economia familiare deve però fare dei tagli. Ed quindi si taglia o si sostituisce ciò che compone la spesa quotidiana. Non certo il resto. Almeno fino a quando si può. Da qui l’effetto positivo sui fatturati della GDO (per gli aumenti dei listini) e contemporaneamente l’effetto negativo sui volumi di vendita.

Ho letto le critiche all’entità e al contenuto del provvedimento “Dedicato a te”. Occorre però distinguere tra i diversi protagonisti in commedia. Non entro nel merito della qualità e dell’utilità concreta del provvedimento. Non è questo il luogo. Federdistribuzione e le altre associazioni hanno però fatto bene ad accettare l’interlocuzione con il Governo. E hanno fatto bene a sottoscrivere l’intesa. Aggiungo che  hanno fatto ancora di più accettando di aggiungere 75 milioni facendosi carico di un ulteriore sconto del 15% per le famiglie disagiate che si sommano ai 500 milioni stanziati dal Governo a favore di 1,3 milioni di famiglie. 

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Carrefour France. Con l’acquisizione di Cora si avvicina al leader Leclerc..

La prima vera grande notizia è che Carrefour non solo non vende ma ha ripreso a comprare in Francia. La seconda è che si fa sotto al leader di mercato E. Leclerc che l’aveva superata per diversi anni. 23% di E. Leclerc, che mantiene comunque la leadership  seguita da una quota di mercato combinata del 22,5% (20,1 per Carrefour, 2,4% per Cora e Match) nei primi 6 mesi dell’anno secondo la società leader a livello mondiale Kantar.

Il gruppo Cora e Match ha realizzato un fatturato al netto delle tasse di 5,2 miliardi di euro nel 2022 in Francia, mentre Carrefour da parte sua ha realizzato vendite per 42 miliardi di euro nel Paese nel 2022, cifra pubblicata tasse incluse. L’operazione “valuta gli asset acquisiti sulla base di un enterprise value di 1,05 miliardi di euro”, precisa Carrefour. Cora e Match gestiscono “rispettivamente 60 ipermercati e 115 supermercati” e impiegano 24.000 persone in Francia. L’operazione “comprende l’acquisizione degli immobili di 55 ipermercati e 77 supermercati”. 

Qualche paragone nostrano per comprendere l’importanza e la dimensione dell’operazione:  Esselunga fattura circa 8 miliardi, LIDL in Italia,  6 miliardi, Coop alleanza 5,6 miliardi, Pac 2000 Conad 4,8.  Un grande successo per Alexandre Bompard CEO della multinazionale francese. Dopo l’acquisto di Docks de France da parte di Auchan, lo scorso luglio è arrivata prima Promodés che ha lanciato un’OPA non concordata sulla diretta concorrente Casino. Diversi osservatori si aspettavano le mosse di Carrefour. E così è stato.

Tra l’altro alcuni indizi precisi avevano segnalato la strategia. “Cora ha dei bei negozi, in una bella regione, con una buona quota di mercato”, ha dichiarato  Daniel Bernard, lo scorso 7 dicembre al Journal des Finances. Poco dopo Ludovic Holinier ha lasciato la carica di CEO del gruppo Cora e amministratore delegato di Louis Delhaize il 28 febbraio dopo 3 anni e mezzo  lasciando il campo agli eredi di Philippe Bouriez, fondatore Cora scomparso dopo aver guidato il gruppo per 34 anni. Pierre Bouriez è così diventato  amministratore delegato di Louis Delhaize SA, per Cora Francia, Belgio, Lussemburgo e Romania, Houra e Delitraiteur. Il 27 aprile Carrefour aveva annunciato l’acquisizione delle attività di Cora in Romania, che si completerà entro la fine del 2023.

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Grande Distribuzione. Nasce (forse) ALDI Deutschland…

Nelle prime 10 aziende familiari in Germania ben due appartengono alla grande distribuzione.  Con un fatturato di 250 miliardi di euro, Volkswagen rimane il numero uno indiscusso della classifica, seguita dal gruppo Schwartz ( Lidl, Kaufland) controllato da Dieter Schwarz, considerato uno dei più grandi imprenditori della Germania con 125 miliardi di euro di fatturato, la casa automobilistica BMW (famiglie Quandt/Klatten) con 111 miliardi euro e il discount Aldi Nord e Sud (famiglie Albrecht) con una stima di 103 miliardi di euro. Un altro simpatico paradosso dei discount: non solo la “spesa intelligente”. Anche un “business intelligente”,  visti i risultati.

Due gruppi importanti che a casa loro si contendono il  primato. Due famiglie che non si sono attardate nella gestione diretta e hanno affidato a manager capaci e competenti le loro aziende. In una delle due si ritorna a parlare di riunificazione. È un argomento che è stato spesso citato e oggi ritorna di attualità. Margret Hucko e Ursula Schwarzer su “Manager Magazin” scrivono che questa volta potrebbe essere la volta buona: è forse in arrivo “Aldi Deutschland”.  Resterebbero però da chiarire “numerose questioni legali e fiscali”. E soprattutto sul piano organizzativo va sottolineato che esistono diverse culture manageriali, differenze salariali intorno al 25% tra i dirigenti, sovrapposizioni e duplicazioni di strutture. È ovvio, però, che si configurerebbe come uno dei più grandi accordi  dell’anno, se non del decennio. Almeno  in Germania.

Aldi Süd e Aldi Nord esistono dal 1961 sotto nomi diversi, quando i fratelli Albrecht- Karl (Sud) e Theo (Nord) decisero di dividere tra di loro le 300 filiali in Germania. Oggi ci sono più di 4.000 filiali Aldi solo in Germania. La rete si estende nel Regno Unito (dal 1990) negli Stati Uniti (dal 1976) fino all’Australia (dal 2001) e in Cina (dal 2017). In Italia Aldi è presente da  cinque anni. Per ora Aldi  non commenta. Il risultato sarebbe un impero della vendita al dettaglio  con 11.000 negozi in quattro continenti e oltre 240.000 dipendenti. Attualmente, Aldi Süd possiede circa 6.520 negozi e Aldi Nord gestisce circa 5.110 negozi. Inoltre, ci sono oltre 540 negozi Trader Joe’s negli Stati Uniti, di proprietà di Aldi Nord. Il fatturato futuro possibile può essere solo stimato.

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Grande Distribuzione. Al sud c’è chi ci prova…

A molti potrebbe sembrare strano occuparsi di un avvicendamento di cariche in una realtà della Grande Distribuzione del sud come Multicedi. Ci sono i comunicati ufficiali, il gruppo va decisamente bene con i suoi 30 anni di attività e  un fatturato 2022 di 890 milioni. Una realtà  da tempo affermata del panorama Gdo, presente in 7 regioni nel centro sud con oltre 800 collaboratori diretti. E parte del Gruppo Vegé (32 imprese associate, 3.052 punti vendita e marchi come Bennet, Iper Tosano, Decò, Migross, Isa con una quota di mercato del 7,9%. Quinto gruppo in Italia).

Multicedi ha il suo quartier generale a Pastorano, in provincia di Caserta, dove agli uffici direzionali si aggiungono le piattaforme logistiche di 62.000 metri quadrati complessivi che servono quotidianamente le diverse realtà aziendali. Nel 2022 sono stati attivati 55 nuovi punti vendita  di cui 22 aperti in Campania, ben 16 nel Lazio, 13 in Puglia, 4 in altre regioni del sud Italia. In Campania detiene una quota di mercato del 13,5% (GNLC Nielsen 02/2023). L’Ebitda del consolidato è pari a 27,3 milioni di euro circa ed il risultato ante imposte del consolidato è pari ad euro 18,9 milioni circa, entrambe in linea con quanto rendicontato nell’esercizio 2021. Il risultato di esercizio 2022 si attesa a 13,4 milioni di euro.

L’insegna di punta è  Decò che conta oltre 360 punti vendita, ai quali si affiancano 21 Dodecà e 21 Sebòn. Completano la compagine anche le insegne Flor do Cafè, Quarì e l’insegna pet Ayoka. Nel 2023 le nuove aperture sono già 18, tra queste si annovera anche il quinto AdHoc Cash&Carry, il primo aperto in formula franchising, inaugurato il 5 giugno ad Altamura (Ba). Un risultato estremamente significativo visto il contesto economico e le dinamiche competitive. Non però sufficiente, visti gli avvicendamenti al vertice, a confermare le cariche sociali. Nuove cariche quindi per il Consiglio d’Amministrazione:  Pietro Ragozzino viene confermato presidente e riceve anche la carica di Amministratore delegato.  Alla vicepresidenza, invece, Luigi Irollo. Il Consiglio d’Amministrazione di Multicedi, quindi sarà  composto, oltre che da Irollo, Messina e Ragozzino, anche da Antonello Catania, Augusto Lombardi, Barbaro Messina, Ciro Moccia, Pasquale Montanino, Giancarlo Papallo, Antonio Rea e Antonio Siciliano. Claudio Messina  resta comunque all’interno del CdA.

Non conosco personalmente Claudio Messina. Per lui parlano però i progetti, lo stile imprenditoriale  e i risultati. Direi ottimi. Sto cercando da tempo di capire se, una parte importante del futuro della GDO nazionale, può ripartire proprio dal sud per darsi, in prospettiva, nuovi confini imprenditoriali e manageriali. Il tramonto dei grandi vecchi del lombardo veneto che hanno costruito il comparto che conosciamo è sotto gli occhi di tutti. I passaggi generazionali mostrano che certe qualità e capacità non sempre si ereditano insieme alle aziende. Forse stiamo assistendo ad un inizio di mutazione genetica del comparto nazionale. Da un lato le multinazionali che hanno lasciato il campo o hanno ceduto i loro punti vendita individuando nel franchising un modello più flessibile e dall’altro l’alta penetrazione del discount. Al sud il comparto sta assumendo una sua fisionomia specifica.  Leggi tutto “Grande Distribuzione. Al sud c’è chi ci prova…”

Grande Distribuzione, commercio e terziario. Il negoziato c’è. Mancano i negoziatori (e i soldi..)

L’altro giorno stavo chiacchierando con un bravo responsabile di punto vendita di un’insegna milanese. L’argomento erano le difficoltà a motivare la squadra di questi tempi, i giovani che faticano ad accettare questo tipo di lavoro come mai in passato e la presenza di dimissioni più marcate rispetto a qualche tempo fa. Lamentava che il cosiddetto “cliente interno” non fosse affatto una priorità da gestire per nessuno. Al di là dei proclami delle singole insegne. Una sua battuta mi ha fatto però riflettere.  In tempi di inflazione, di rinnovi di contratto nazionale rinviati, di congruità o meno dei salari non c’è molta sobrietà nelle dichiarazioni  delle insegne stesse. Capisco l’esigenza di molti manager o piccoli imprenditori  di veder confermato il loro ottimo lavoro  sottolineando  i  risultati 2022 e le premesse 2023 come titolo di merito personale o delle loro squadre. In tempi di inflazione occorrerebbe non dimenticare mai  il contesto economico sociale nel quale quei risultati vengono raggiunti. “Clienti interni” e dinamiche  economiche e politiche del Paese compresi.

C’è  in atto un braccio di ferro con la filiera a monte sulle responsabilità degli aumenti dei prezzi, c’è un’interlocuzione con il Governo per ottenere qualche utile sostegno in tema di riduzione del cuneo fiscale, i consumatori sono perplessi e indecisi con chi prendersela  per gli  aumenti e  il comparto è sotto attacco per la sua evidente insensibilità sociale. In questo  contesto sottovalutare il proprio ruolo e le conseguenti responsabilità nei confronti  dei propri collaboratori non segnala lungimiranza.  Difficile tenere su due piani distinti i propri risultati e la tutela dei propri clienti da una parte con le conseguenze economiche che coinvolgono l’insieme dei propri collaboratori. 

Seppure nelle stime preliminari, nel mese di giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4% su base annua, da +7,6% del mese precedente, la situazione è ben evidenziata dal recente lavoro del Centro Studi di Confindustria. Il costo dei generi  alimentari è salito dell’11,4% medio (26% nel quintile più basso) mentre quello dei ristoranti del 6,5% (dato Centro Studi Confindustria https://bit.ly/3NrI4fp). Si segnala una forte riduzione della spesa delle famiglie: -3,7% nel 2022 e -8,7% nel quarto trimestre del 2022 rispetto al primo del 2021. Una “zavorra” per i consumi totali, considerando che la spesa alimentare vale il 14% di quella complessiva, seconda solamente a quelle per l’abitazione (comprensiva di bollette).  Si può ipotizzare anche un effetto reddito, con le famiglie meno abbienti che hanno accumulato meno risparmi e ora subiscono una maggiore erosione del reddito reale, con un impatto soprattutto sui consumi alimentari.

La corda potrebbe spezzarsi presto e la percezione generale gioca tutta a sfavore del comparto.   Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, lo ha appena dichiarato. “la manifattura ha visto il MOL diminuire del 5% dal 2019 ma i salari sono cresciuti del 5%. Il disequilibrio viene dal Commercio e dal comparto delle costruzioni.” Ovviamente quando si parla di Commercio in generale, la Grande Distribuzione è la prima a finire sul banco degli accusati visto che il piccolo commercio, la ristorazione e il turismo durante la pandemia hanno preso una serie di  “sberle” che, comunque andranno le cose, cambieranno i connotati di quei settori.

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Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…

Sui piazzali della logistica è sempre più difficile trovare i sindacati confederali come interlocutori. Le varie formazioni legate al sindacalismo di base hanno via via preso il sopravvento. Così come nei magazzini di molte realtà che lavorano anche per la grande distribuzione. Picchetti e denunce sono all’ordine del giorno. Per queste formazioni sindacali,  con un seguito di associati ancora complessivamente modesto, eterogeneo e in cerca di visibilità, il ricorso alla  magistratura rappresenta una parte decisiva della loro strategia. L’obiettivo è tenere aperto un clima di tensione continua per ottenere un risalto mediatico. In alcuni casi si assiste ad un gioco di sponda tra loro, i media che non amano il sindacalismo confederale e alcuni magistrati anch’essi in cerca di visibilità. 

La verifica della consistenza e della veridicità delle accuse formulate dalla Procura di Milano sarà oggetto dei tre gradi di giudizio. E questo vale per Esselunga come per qualsiasi altra azienda. Sull’azienda di Pioltello conservo qualche dubbio aggiuntivo sulla consistenza delle accuse stesse. Per lunghi anni oggetto di verifiche e controlli di tutti i tipi per le esternazioni “spigolose” dell’anziano leader hanno portato  quella realtà  ad essere estremamente attenta e sensibile al contesto legale e contrattuale. Molto più di altre. Per questo preferisco attendere gli sviluppi prima di esprimere qualsiasi giudizio. Spesso alle iniziative della Procura milanese accompagnate da un forte eco mediatico non è seguito nulla di risolutivo.

In termini generali, il “sottostante” non nasce oggi e non è sconosciuto. Dura da almeno vent’anni. Ogni tanto se ne parla ma, purtroppo, nessuno affronta alla radice il problema. Il tema delle finte cooperative (cosiddette spurie) che nascono e muoiono con l’obiettivo di sfruttare i lavoratori immigrati ed evitare tasse e contributi  inserendosi nei sub sub appalti, spesso bypassando qualsiasi  controllo, esiste. Bisogna però stare attenti a non generalizzare perché si rischia di colpevolizzare un sistema che non c’entra nulla. In Italia ci sono circa 60 mila cooperative, che da sole danno lavoro a circa il 7% dei dipendenti privati. Non si tratta quindi di una nicchia, ma di una parte importante della nostra economia. E le continue denunce di Lega Coop e Alleanza cooperative sulle anomalie riscontrate dimostrano che lo stesso sistema cooperativo, per la grandissima parte sano e autentico, cerca di isolare il fenomeno: “Chiediamo il pugno duro contro le false cooperative” hanno spesso dichiarato i loro dirigenti. 

I settori maggiormente interessati da questi fenomeni sono quelli della lavorazione delle carni, dell’agroalimentare, delle costruzioni edili ed infrastrutture, dell’autotrasporto, della logistica e del facchinaggio, dei noleggi, dell’attività di assistenza sociale dove le modalità di esecuzione dell’appalto non si discostano molto dalla mera fornitura di manodopera. Ricordo le difficoltà che ho incontrato  in Rewe italia per riportare tutto il sistema logistico di supporto ad un livello di trasparenza accettabile. Le lunghe notti passate dentro e intorno ai magazzini di Lacchiarella per intercettare lavoratori senza permesso di soggiorno spinti a  scavalcare le recinzioni dai caporali per pochi euro e sostituire i lavoratori regolari delle cooperative abbassandone così i costi e questo nonostante gli accordi blindati sottoscritti e gli impegni formali. Le vie di fuga sono infinite. Fortunatamente, grazie ad interlocutori seri (nel nostro caso la CLO – cooperativa lavoratori ortomercato aderente alla Lega della Cooperative) ne siamo venuti a capo. Leggi tutto “Grande distribuzione e logistica. Attenzione al “retrobottega”…”

La diffusione del Franchising. Da limite a opportunità per la Grande Distribuzione..

Personalmente credo che interrogarsi sull’espansione del franchising nel settore della GDO pur con le differenti formule adottate in tutta Europa significa cercare di  comprendere una parte delle traiettorie possibili. C’è troppa superficialità di giudizi per un comparto che cuba nel nostro Paese e nei differenti settori circa 1000 franchisor che a loro volta producono un totale di 54mila punti vendita in franchising tenendo conto che alcuni di questi possono essere pluri-franchising. Stiamo parlando di circa 25 mld di euro con  più di 200mila  addetti tra titolari di punti vendita e collaboratori.

Riflettere sul negozio del futuro, fisico o virtuale che sia, non risolve di per sé il tema della proprietà. Né della sua gestione. Che ci sia dietro un fondo di investimento, un singolo imprenditore visionario, una multinazionale, una cooperativa di imprenditori o un franchisor che gestisce uno o più punti vendita il discorso sostanzialmente non cambia. I modelli che si sono via via affermati dalla seconda metà del 900 in avanti in Europa sono tutt’altro che univoci.

In genere,  i commentatori  più tradizionali del comparto, quando parlano del franchising più che sul possibile potenziale futuro si fermano al problema dei vantaggi sui costi e sulla loro gestione. Una sorta di ripiego. La gestione di un punto vendita è però fondamentale per la tenuta del conto economico complessivo di un’insegna.  Recentemente in Belgio Delhaize  ha annunciato di voler  cedere tutti i suoi ultimi supermercati ancora di proprietà (128 pdv)  a imprenditori indipendenti. La maggior parte dei negozi  sono già in franchising. Operano con i marchi AD Delhaize, Proxy Delhaize e Shop & Go. Un totale di 636 negozi che utilizzano il nome Delhaize ma sono gestiti in franchising. L’azienda ha deciso di  continuare a investire a livello centrale in aree come la logistica, l’approvvigionamento e il marketing per fornire servizi ottimali alla sua rete di negozi.  Auchan a sua volta, ha deciso di fare un test in Francia cedendo agli affiliati 7 punti vendita in regioni diverse. Auchan, oggi ha solo 39 punti vendita gestiti da imprenditori indipendenti. Carrefour prosegue nel suo piano. Il franchising è il suo modello di sviluppo prevalente per i prossimi anni. Anche in Francia.

Sindacalisti e commentatori  spesso semplificano troppo concordando che solo il modello tradizionale, tipico della grande impresa del comparto del novecento, garantisca una unicità di gestione e un’immagine aziendale coesa. Gestione del personale compreso. È ovvio che sindacalisti e commentatori non frequentano da tempo i punti vendita delle insegne note e meno note per comprendere che non ci sono differenze significative  di gestione tra queste e i franchisee delle insegne più conosciute. Sopratutto laddove si utilizzano strutture terze (purtroppo anche cooperative spurie) per le attività legate alla logistica di supporto, ai servizi, alle emergenze e alla guardiania. Pratica diffusa quanto foriera, se non presidiata correttamente,  di possibili gravi conseguenze che si riflettono pesantemente sull’immagine aziendale. Leggi tutto “La diffusione del Franchising. Da limite a opportunità per la Grande Distribuzione..”

Grande Distribuzione. Coop Italia cambia passo

Impossibile non cogliere un nesso tra due avvenimenti apparentemente lontani. Da una parte la chiusura del rapporto ventennale tra Francesco Pugliese e il Conad e dall’altra il riassetto strategico di Coop Italia. La prima e la seconda insegna della GDO hanno sempre vissuto con grande e leale competitività la loro natura cooperativa seppur di segno diverso. La prima di imprenditori e la seconda di soci.

Conad sembra voler rallentare, tirare il fiato e consolidare il perimetro acquisito. La corsa seguita all’acquisizione di Auchan e la leadership nel mercato nazionale hanno impegnato a fondo le cinque  cooperative. Francesco Pugliese ne ha probabilmente “stressato”  le rispettive leadership per consentire al Consorzio di posizionarsi ai vertici  del comparto. Lascia nel momento più alto della sua gestione. Adesso tocca a Mauro Lusetti (ex Coop) riportare a sintesi il confronto interno. Conad deve  confermare il suo primato che non è fatto solo di numeri, rilanciarsi nella leadership politica della categoria, essere protagonista e non follower nel rinnovo del Contratto Nazionale scaduto, decidere il proprio ruolo in Confcommercio e accelerare sui progetti innovativi completando la complessa digestione dell’affaire Auchan.

Coop Italia in questi anni è rimasta un po’ in ombra. Non certo ferma. Pur cedendo il primato in classifica già prima dell’operazione Auchan da parte dei “cugini” di Bologna ha scelto di  guardarsi dentro, rimettere in ordine strategia e obiettivi pur confermando però la propria natura. Con le ultime decisioni sembra pronta ad accelerare. La scelta di “consacrare” definitivamente la carriera di Maura Latini ai vertici di Coop Italia è un primo segnale. Innanzitutto  la soddisfazione personale che comprendo benissimo.

Più o meno negli anni in cui Maura Latini entrava in Coop durante le sue vacanze scolastiche io entravo in Galbani. Più o meno allo stesso livello: l’ultimo. La soddisfazione di arrivare dopo molti anni nel comitato di direzione della più grande azienda allora del Gruppo Danone nel ruolo di direttore risorse umane è stato il coronamento di una prima fase del mio percorso professionale. In quella esperienza ho imparato ad osservare la realtà da diversi punti di vista. Soprattutto per capire le persone, il clima che le circonda l’impegno che le caratterizza  e consente all’azienda di raggiungere i suoi obiettivi. Allora, è vero,  l’ascensore sociale funzionava.

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