Grande distribuzione. Mancano gli addetti, il rinnovo del CCNL non c’è ancora e manca una visione comune del futuro.

Un tempo bastava osservare la quantità di CV che i giovani clienti (o i loro genitori)  lasciavano sul banco della regia del supermercato. O il passaparola tra gli specialisti. Poi si è passati all’interinale. Ragazzi che lasciavano presto la scuola, donne interessate a guadagnare qualcosa con un part time, esuberi delle diverse  ristrutturazioni di altre insegne o dell’industria foraggiavano il turn over o le aperture delle diverse aziende. Trovare personale non è mai stato un problema nella GDO. Tant’è che è aumentato sia il part time involontario che i tempi determinato. Quell’epoca si è però chiusa.

Aggiungo che in  Italia c’è sempre stata una certa ritrosia nella GDO nazionale verso lavoratori provenienti da altri Paesi pur essendo la norma altrove. Più per ignoranza, superficialità e scarso interesse delle insegne che per razzismo, da noi, la presenza di lavoratori stranieri nel punto vendita  è sempre stata vista anche da molti clienti con una certa diffidenza. ALDI, al contrario, dichiara con orgoglio la presenza nel gruppo  di 47 nazionalità differenti.  Così vale per LIDL o Carrefour. La forte ripresa economica  post lockdown ha poi dirottato ulteriori risorse in altri comparti facendo emergere le peculiarità e i limiti di quei  settori, ristorazione e commercio innanzitutto, ma anche quello della GDO, che pur avendo retribuzioni in linea con altri comparti, presenta modelli organizzativi non più particolarmente attraenti per  giovani e meno giovani rispetto a qualche anno fa.

C’è chi cerca di gestire comunque il problema. Ad esempio Tosano nel triveneto aggiunge al CCNL vitto e alloggio per chi vive ad oltre 55 chilometri. 19 ipermercati, tutti in  gestione diretta, 4000 dipendenti. Una realtà di punta del Gruppo Vegè. Le difficoltà a trovare personale sono abbastanza diffuse sul territorio. Altri rimodulano l’orario o vengono incontro alle mutate esigenze delle persone. Qualcosa si muove. L’aspetto economico è solo uno dei problemi. Forse nemmeno il principale. C’è un problema di scarsa attrattività del modello di  prestazione richiesta,  un altro legato alla costruzione delle professionalità specifiche. Un altro ancora legato alla gestione delle risorse umane nei punti vendita. Tanto celebrate durante il lockdown per la loro abnegazione.  Su di loro, oggi, è però calato il silenzio.

Occorrerebbe guardare oltre al proprio naso e ragionare in termini di settore. Costruire con le regioni e i ministeri opportunità di lavoro rivolte anche  ad altri Paesi, strutturare, attraverso i fondi interprofessionali percorsi formativi specifici, garantire inserimenti dopo pur adeguati periodi di prova. In altre parole, passare dal lamento contro i giovani e il contesto cinico e baro ad una politica comune che contribuisca a neutralizzare il problema. Leggi tutto “Grande distribuzione. Mancano gli addetti, il rinnovo del CCNL non c’è ancora e manca una visione comune del futuro.”

Esselunga. Continua la diaspora….

In una intervista pubblicata il 29 marzo di quest’anno, il Presidente esecutivo di Esselunga Marina Caprotti di fronte ai risultati positivi dell’azienda aveva messo sul tavolo 500 euro a testa per i dipendenti del Gruppo. Undici milioni di euro per dare un aiuto concreto in difesa dell’inflazione. Un atto di liberalità non dovuto ma significativo in un momento difficile per i 25.000 collaboratori. Eppure qualcosa sembra continui a non funzionare.

Certo in un comparto che deve risalire al 2015 per ritrovare la firma di un CCNL poi scaduto nel 2019 un atto vale più di mille parole. E che una delle principali aziende lo segnali è sicuramente da apprezzare. Sostenere il reddito è importante ma non sufficiente quando è il clima interno ad appesantirsi.

La direzione risorse umane in un’azienda di quelle dimensioni è fondamentale. Ha tre compiti che nessun altra direzione aziendale può esercitare. Innanzitutto presidiare il clima interno. L’azienda è il clima che la pervade. I numeri, pur positivi, seguono. In secondo luogo deve gestire le persone. Una comunità di quelle dimensioni è un insieme di speranze e aspettative, di disponibilità e impegno, di conflitti personali e di gioco di squadra che vanno affrontati e manutenuti costantemente. L’azienda non è una macchina è un corpo vivo che va tenuto in salute. Infine deve “scovare” i talenti necessari e portarli a bordo, ingaggiare quelli che ha all’interno, lavorare sul “talento diffuso” che è presente in ognuno è che, se valorizzato e incentivato, contribuisce più di ogni altra cosa al risultato finale.

Deve prestare grande attenzione alla differenza tra l’opportunismo strumentale che a volte si confonde con il talento, il proliferare degli yesman e la necessaria critica costruttiva. Non esiste la solitudine del comando. Nessuna azienda può essere gestita senza una sana comunicazione a due vie. Se è unidirezionale fallisce nel suo intento principale che resta  quello di ingaggiare ogni risorsa, dalla principale alla più umile, facendola sentire importante, decisiva, utile alla causa.

Ce lo ricorda il famoso apologo dei tre scalpellini di Peter Schultz: «Un viandante cammina per una strada assolata, finché giunge nei pressi di un cantiere, ove tre scalpellini lavoravano sotto il sole cocente. Si avvicina al primo di essi e gli chiede: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Sto sudando!”. Il suo sguardo era torvo e il suo volto affaticato. Si avvicina al successivo scalpellino, gli rivolge la stessa domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi? Mi sto guadagnando il pane!”. Il suo sguardo era spento e il suo volto rassegnato. Il viandante prosegue e ripete al terzo scalpellino la domanda: “Cosa stai facendo?” E quello: “Ma come, non lo vedi?” Partecipo alla costruzione di una cattedrale!” e i suoi occhi brillavano di soddisfazione e sul suo volto non vi era traccia di fatica.» Chi si occupa di risorse umane conosce bene la differenza di atteggiamento tra i tre scalpellini. Leggi tutto “Esselunga. Continua la diaspora….”

Grande Distribuzione a Milano. Un laboratorio di novità…

Milano sta accelerando. Dall’Expo alle Olimpiadi invernali che attendono la città, ha sempre saputo interpretare nuove traiettorie. Anche nell’alimentare. L’accordo tra Fiera di Parma e Milano per una gestione armonizzata delle due  manifestazioni dedicate al settore agroalimentare ovvero Cibus e Tuttofood ne testimoniano la vitalità. L’azione combinata delle due fiere leader in Italia metterà in campo un nuovo soggetto in grado di competere a livello europeo, specializzando le due manifestazioni: Cibus Parma vetrina fondamentale del Made in Italy alimentare e dei suoi territori, Tuttofood Milano piattaforma globale e innovativa per il food&beverage di tutto il mondo.

Presto decollerà Foody, il Mercato Agroalimentare di Milano, che rappresenterà un polo di attrazione per aziende e professionisti italiani e internazionali della filiera agroalimentare e punto di riferimento della tradizione e dell’eccellenza del “Made in Italy” nel mondo. Mancano solo due “perle”: la scuola di Alta Cucina di Parma nel cuore di quella che viene definita la Food Valley del nostro Paese intenzionata ad  aprire presto una importante sede secondaria  a Milano e FICO.  Quando Oscar Farinetti si stancherà di “giocare” in quel di Bologna potrà trovare nel capoluogo lombardo un approdo sicuro e redditizio. Le aree non mancano.  Una città in continuo cambiamento  quindi non poteva lasciare indietro la distribuzione commerciale grande e piccola nelle sue differenti proposte. I consumatori fortunatamente non sono tutti uguali.

Da un lato avanzano discount e piccoli negozi di vicinato mentre le grandi superfici sono in una fase di ripensamento, dall’altro la qualità e la consegna a domicilio di realtà come Cortilia e Humamy, per citare due aziende che fanno del mangiare sano la loro caratteristica  principale. In mezzo ogni insegna della GDO si attrezza e gioca le sue carte mentre i “mercati del contadino” che servono o si avvicendano a scadenze fisse nelle diverse zone della città e l’apertura di punti vendita di fascia alta rispondono alle diverse esigenze di reddito, di gusto e di rapporto con il proprio cliente di riferimento.

Non c’è solo l’ossessione per promozioni e sconti finalizzati a sostenere quella parte dei consumatori, soprattutto a reddito fisso che l’inflazione, colpisce pesantemente. La GDO sta tenendo a fatica il punto e contemporaneamente sostiene tutte quelle iniziative che cercano di aiutare chi resta indietro. Dal Banco Alimentare alla lotta allo spreco, agli sconti sulla merce vicino alla scadenza. Milano è al centro anche in questo. Leggi tutto “Grande Distribuzione a Milano. Un laboratorio di novità…”

L’ultimo miglio. Un business da reinventare.

C’è un dibattito  in corso  in tutta Europa sui cosiddetti unicorni che popolano l’ultimo miglio. Alcuni chiudono, altri vengono acquisiti da concorrenti. Altri ancora si concentrano su alcuni mercati. Le aziende della GDO, oltre che con i loro negozi di vicinato, cercano sempre di più di coprire in proprio quel tratto di strada per garantire un servizio ai loro clienti. Nel frattempo i ministri del Lavoro Ue hanno raggiunto l’accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme. Lo ha annunciato la presidenza di turno svedese del Consiglio Ue. Tra i punti principali della posizione comune dei Ventisette vi è l’inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti, e non più come autonomi.  Una sorta di (difficile) quadratura del cerchio. Ne vedremo gli sviluppi.

Personalmente trovo questa attività  assolutamente utile.  Poter ordinare da casa prodotti o servizi, al di là di ciò che abbiamo dovuto affrontare con il lockdown è un passo in avanti. Va normata meglio, tutelati gli addetti e inserita in un contesto economico che garantisca una redditività.  Ma resta un servizio come qualsiasi altro. È però un lotta contro il tempo. C’è un modello di business da reinventare. Non basta puntare ad incrementare il numero dei clienti come nella fase precedente sperando in un loro consolidamento successivo. I conti devono tornare. E il servizio in sé, per ora, non è  in equilibrio economico.

La fase della pandemia ha illuso che la strada sarebbe stata solo  in discesa. Secondo McKinsey (https://mck.co/43MasAr) il mercato globale della consegna dell’ultimo miglio nel mondo  avrebbe dovuto raggiungere i 66 miliardi di dollari entro il 2026, dai 39.5 miliardi del 2020.  La mancanza di domanda per la consegna di generi alimentari in 30 minuti in Europa occidentale, l’aumento dei costi operativi e l’inflazione stanno rendendo difficile  la redditività costringendo startup come Getir a rivedere la loro strategia nei diversi Paesi per cercare di rilanciarsi. Da noi Gorillas e Sezamo hanno chiuso. I rispettivi Head Quarter hanno deciso di ritirarsi dai mercati ritenuti meno profittevoli o dove la ricerca della redditività sarebbe stata per lungo tempo più un miraggio che un obiettivo. 

La principale startup europea di quick commerce, Getir, sta considerando di chiudere tutti i suoi dark store in Francia oltre a quelli situati a Parigi dopo aver acquisito il rivale Gorillas nel dicembre 2022 per più di 1 miliardo di dollari. Il declino del quick commerce sta iniziando a sembrare veloce quasi quanto il suo successo iniziale. Sembra passato un secolo da quando Getir è stata lanciata, a metà del 2021, in Francia. Anche lì  aveva beneficiato di un contesto favorevole. I vari lockdown avevano reso la consegna rapida una risposta interessante. La startup turca era stata lanciata anche a Londra qualche mese prima.

Leggi tutto “L’ultimo miglio. Un business da reinventare.”

Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…

Il rischio che l’inflazione duri ben più del previsto è reale.  Un recente  studio della Bce, tramite alcune simulazioni, giunge anche a calcolare un possibile aumento dei prezzi al consumo globale compreso tra lo 0,9 e il 4,8 per cento. È l’effetto sulla crescita dei prezzi del cosiddetto processo di “reshoring”, vale a dire il rimpatrio delle produzioni per evitare di dovere dipendere da altri Paesi come la Cina o l’India. Fino ad ora l’inflazione è stata scaricata sostanzialmente sul consumatore. Soprattutto a reddito fisso.  Non sulle imprese di produzione.

Se parliamo di consumi alimentari si è scaricata anche sui margini delle imprese della GDO che, almeno in una prima fase, forse sottovalutando il fenomeno o ritenendolo  passeggero, ne hanno in parte assorbito le dinamiche.  Resta purtroppo la realtà. Da un lato c’è chi accusa la GDO di speculare sui prezzi e dall’altro la GDO  che cerca di smarcarsi con diverse strategie. Il Fatto Alimentare (https://bit.ly/3MWdQRx) mette sotto i riflettori un punto vendita di Esselunga.  Non è solo l’azienda di Pioltello che cerca di  proporre, attraverso sconti e promozioni a getto continuo,  una convenienza complessivamente maggiore della propria offerta rispetto alle altre. Il consumatore però percepisce una grande confusione e si muove sempre più con maggiore cautela. 

Detto questo, un dato però emerge nella sua crudezza. È difficile convincere il cliente della propria estraneità agli aumenti, spesso esagerati, dei prezzi quando  i costi, aumentati a causa della lievitazione delle materie prime, vengono dati per rientrati. La Grande Distribuzione, fin che ha potuto, si è difesa. Non ha cercato gli aumenti. Li ha subiti. Sconti e promozioni, concordati o meno con i fornitori, restano una delle poche armi a disposizione visto che di strategie comuni di filiera non se ne parla. Così come di superare l’impostazione dei contratti lunghi con l’industria in regime di alta inflazione che, oltre ad essere un errore che alimenta l’inflazione stessa, rischia di ritornare al mittente, prima o poi, come un boomerang.

Fuori dal nostro sguardo quotidiano  tra i buoni esempi di azioni che rientrano in una  filosofia di contenimento ci sono Tesco, nel Regno Unito, e l’insegna francese E.Leclerc. Per Tesco, un approccio a tre livelli ha dato i suoi frutti. Oltre all’allineamento dei prezzi di alcuni articoli con quelli dei negozi Aldi (l’insegna discount più conveniente nel Regno Unito), l’azienda ha anche introdotto i “Clubcard Prices”, una serie di sconti esclusivi effettuati automaticamente alla cassa per i titolari della carta fedeltà del distributore. Questi sconti sono diventati una parte centrale del marketing di Tesco nell’ultimo anno, contribuendo a migliorare significativamente la percezione del valore e della qualità dell’insegna agli occhi dei suoi clienti. Leggi tutto “Grande Distribuzione. L’inflazione morde e morderà ancora…”

Grande distribuzione francese: il caso HMarket. Il primo vero supermercato halal in Europa…

La notizia è di quelle che fanno discutere. Non è tanto perché sette punti vendita Auchan in Francia chiuderanno per l’insufficiente redditività. Succede anche da noi che i punti vendita non redditizi delle GDO vengano chiusi. A Les Mureaux un comune francese  di 33  mila abitanti situato nella regione dell’Île-de-France ne chiude uno sul quale è scoppiata, sulla stampa nazionale francese, la polemica perché i prezzi bassi del concorrente HMarket hanno contribuito all’emorragia dei clienti di Auchan.

HMarket, è una catena creata nel 2006 specializzata in ‘cibo etnico’ dove si vende solo carne halal (il termine si può tradurre come “lecito” e indica, nello specifico, il cibo preparato rispettando la legge islamica), non si vendono alcolici e conta circa mille collaboratori. Opzione del tutto scontata in questa città dove è presente una numerosa comunità musulmana. La scelta delle parole dell’articolo de “Le Parisien” (https://bit.ly/3OQYjFg) scatenano reazioni a 360° e fanno riflettere. “Spietata concorrenza di Halal”, “competizione frontale”, “minaccia”, “guerra”, ecc. Altro che naturale declino di un punto vendita che fatica a competere! L’articolo, il lessico utilizzato, il titolo,  tutto serve per alimentare l’immaginario islamofobo  agitato dalla destra estrema francese come minaccia alla comunità.

Auchan ha chiuso diversi negozi in diverse città della Francia. Il “declino” della loro “redditività” in alcune regioni non è dovuto a “THE HARDLESS HALAL COMPETITOR” ma a variazioni di consumi e prezzi ritenuti troppo cari rispetto ad altri. Con questo linguaggio da crociata   tutti i principi di sostenibilità, convenienza, o di natura concorrenziale generalmente difesi dai media mainstream svaniscono quando si tratta di concorrenti e/o consumatori musulmani. Senza queste polemiche però, non avremmo mai sentito parlare di questo piccolo nuovo soggetto arrivato nella grande distribuzione francese. Sarebbe stato un peccato.

Il caso di Les Mureaux è interessante, perché lì scopriamo la specificità e la capacità concorrenziale di questa catena. La nicchia di mercato che occupano questi supermercati musulmani è particolare: le cassiere sono velate, tutti i prodotti sono halal e non servono alcolici. Gli stessi “francesi nativi” sono piuttosto contenti: l’inflazione ha permesso a HMarket, i cui prezzi sono molto vantaggiosi, di posizionarsi con grande facilità come il marchio più economico della zona.  Ed è così che i supermercati halal si stanno gradualmente affermando nel panorama della GDO francese. Dovrebbe aprire un altro HMarket, sempre a Yvelines, a Buchelay, non lontano da Mantes-la-Jolie. E ce ne saranno altri, ovunque, sempre di più. 

Leggi tutto “Grande distribuzione francese: il caso HMarket. Il primo vero supermercato halal in Europa…”

ALDI. Buona Spesa (in) Italia?

Come ho già scritto parlando di LIDL, una multinazionale della GDO la si può osservare da diversi punti di vista. Dal basso, entrando in un punto vendita osservando specificità, prodotti e servizi. O dall’alto: valutandone la forza economica che è in grado di mettere in campo per crescere o meno in un Paese. Oppure osservando come si muove il consumatore. È la vecchia storia sufi dell’elefante e dei ciechi chiamati a descriverlo.  La realtà è come l’elefante. Ognuno di noi ne tocca o ne predilige un punto di osservazione piuttosto che un altro.

LIDL come ALDI sono due realtà che sono allenate a guardare il mondo cercando di interpretare i diversi scenari di riferimento. Le nostre aziende, grandi o piccole, osservano il territorio nazionale. Un vantaggio in termini di presidio, uno svantaggio in termini di potenziale di crescita. Non è una differenza da poco. LIDL è arrivata in Italia nel 1992. ALDI in quegli anni ha preferito non investire da noi. Quest’anno festeggia cinque anni di permanenza. Ci ha riprovato solo quando ha intuito che il discount stava ormai iniziando a costruirsi una reputazione diversa presso i consumatori. I discount sono partiti tutti più o meno, “sgarrupati” allo stesso modo. Per questo gli analisti del comparto non ne hanno compreso subito  il potenziale evolutivo in rapporto alle risorse disponibili e alla contemporanea modificazione dei consumi né il possibile approdo finale. Per alcuni sono ed restano discount. Un banale “sottoprodotto”. 

In fondo nella seconda metà del novecento la filosofia di fondo del comparto era racchiusa in una traiettoria ben sintetizzata da Carlin Petrini: “il cibo era prodotto per essere venduto. Non per essere mangiato”.  L’aspetto quantitativo era prevalente. Da qui i grandi formati distributivi, le marche, gli sconti e le promozioni. Così come le modalità di espansione sul territorio e i modelli organizzativi conseguenti. Sostanzialmente tutti uguali. L’avversario allora era la piccola distribuzione commerciale e se troppo vicino,  il concorrente diretto. I vantaggi competitivi della GDO erano sostanzialmente basati su differenziali di efficienza e dunque di costo.  Si trattava nella maggior parte dei casi di un confronto impari: di qui la lenta ma progressiva espansione della quota della grande distribuzione sul totale delle vendite.

Questa fase è però alle spalle. La fine del secolo ha sostanzialmente cambiato il paradigma di riferimento. Presidio del territorio, servizio al cliente, qualità e convenienza hanno richiesto nuove interpretazioni. C’è chi lo ha capito (discount, negozi di vicinato, specializzati e MDD di diverse declinazioni), chi resiste puntando su abitudini dei clienti e posizioni del punto vendita è chi cede ad altri il compito di far quadrare i conti. Aldi ha preferito capire bene come muoversi sul nostro mercato. Leggi tutto “ALDI. Buona Spesa (in) Italia?”

Grande Distribuzione. L’altitudine può far male a Conad?

Chi va in montagna sa che fino a 1500-2000 metri si sale senza problemi. Sa anche che una parte di coloro  che raggiungono i 3000 sviluppano una forma di malattia da altitudine. Determinante è la velocità di salita e la capacità di adattamento a certi livelli. Temo che una parte di quel complesso sistema imprenditoriale che è Conad rischia di sviluppare una sindrome di questo tipo.

Essere i primi comporta innanzitutto averne la consapevolezza. Nient’altro che la realizzazione di una ricetta apparentemente  semplice fatta di autorevolezza, visione del futuro, gioco di squadra, responsabilità verso i propri collaboratori e impegno nei confronti delle comunità dove si è insediati e quindi verso il Paese. In un sistema policentrico, dal punto di vista delle decisioni imprenditoriali, qual’è il Consorzio, più che la posizione in classifica dell’intera squadra il rischio è che ad alcuni imprenditori del consorzio interessava e interessi tuttora il proprio perimetro di business e il peso che questo consente nel determinare traiettorie e strategie dell’insieme del sistema. In altri termini, un problema di equilibri e di gestione del potere. Teorie complottiste, ricorsi alla magistratura, veline, fibrillazioni interne nascono tutte da qui.

Come nella fattoria degli animali di Orwell dove gli animali sono tutti uguali ma qualcuno si sente più uguale degli altri. E questo malessere come una talpa scava, tronca le radici  rischiando di indebolire il tessuto connettivo che lega l’intero consorzio. Cosa assolutamente da evitare. L’accelerazione imposta dall’acquisizione di Auchan ha costretto gli imprenditori di Conad ad affrontare una salita forzata per la quale probabilmente non tutti si erano preparati. Alcuni hanno intuito le potenziali opportunità di crescita complessiva o almeno per il proprio perimetro, altri, lo si è capito quasi subito hanno temuto il percorso imposto dall’operazione stessa e quindi sono emersi, fin da subito, diversi problemi di tenuta. Sia imprenditoriali che manageriali.

Ho vissuto personalmente la crisi finale che ha preceduto il passaggio di Standa al gruppo Rewe e ho visto fior di manager schiantarsi nel tentativo di recuperare clienti e fatturato persi negli anni. Operazione molto difficile da realizzare e altrettanto facile da sottovalutare. Il cambio di insegna non è mai sufficiente. Occorre tempo. Molto di più di quello che era stato probabilmente preventivato a tavolino. Alle prime difficoltà nel rapporto tra singole cooperative e Margherita Distribuzione, la società che dal 1 agosto 2019 ha preso in carico tutte le attività che in Italia facevano capo ad Auchan, tutto questo è cominciato ad emergere. O di fronte alle richieste sindacali. Oppure in seguito alle decisioni dell’ antitrust. O, infine, di fronte all’impossibilità di scegliere di “fiore in fiore” solo i punti vendita più graditi. Ma, come ci ricordava sempre Vujadin Boskov l’eccentrico allenatore della grande Sampdoria: “Partita finisce quando arbitro fischia”. Leggi tutto “Grande Distribuzione. L’altitudine può far male a Conad?”

Grande Distribuzione (e non solo). Il part time involontario è un problema serio..

Ha ragione Marco Leonardi in una recente intervista al Foglio: “In Italia l’allargamento delle diseguaglianze è dovuto alle ore lavorate e non ai salari orari. In altre parole, la diseguaglianza nei redditi da lavoro dipendente non aumenta tra i lavoratori che hanno carriere continuative e lavori full time ma è aumentata perché nel corso degli ultimi 30 anni sono entrati nella forza lavoro molti dipendenti con contratti precari e soprattutto molti contratti part time“.

Se parliamo di lavoro nel commercio e nella Grande Distribuzione in particolare, le critiche esterne si concentrano essenzialmente sui salari ritenuti troppo bassi. Tutto l’ottimo lavoro fatto per le comunità dove i punti vendita sono insediati, le scelte in materia di sostenibilità, le assunzioni anche in aree non facili, la formazione e le opportunità di crescita interna che le insegne mettono a disposizione dei loro collaboratori rischiano di passare in secondo piano.  Fuori dal comparto sale il tono della polemica.

Al tema delle  retribuzioni, ovviamente proporzionali alle ore lavorate, si aggiunge quello del lavoro festivo e degli orari legati alle fasce di apertura, del ricorso al tempo determinato e infine al mancato rinnovo dei contratti nazionali. E allontana i giovani dal comparto. Abbastanza recente è il siluro sul tema che il Presidente di Confindustria ha tirato al settore del  Commercio per smarcarsi dall’accusa di non voler rinnovare i suoi CCNL.  C’è così il rischio che si faccia di tutta l’erba un fascio.

In realtà il vero problema si cui occorre sviluppare una riflessione è quello legato al cosiddetto part time involontario e alla sua possibile evoluzione. L’Istat considera con questa voce il numero di occupati con orario ridotto che dichiarano di avere accettato un lavoro part-time in assenza di opportunità di lavoro a tempo pieno. Orario ridotto, ma non per scelta, nel 65,2% dei casi. E su questo, secondo le statistiche,  siamo primi in Europa. Leggi tutto “Grande Distribuzione (e non solo). Il part time involontario è un problema serio..”

LIDL. La metamorfosi di un discount moderno

Pochi nella GDO tradizionale in Italia hanno compreso le potenziali traiettorie dei discount tedeschi (e non solo) nel nostro Paese. Molti pensavano che si sarebbero accontentati di presidiare una nicchia. Oggi si sarebbe detto che: “non li hanno visti arrivare”. Eppure, prima di trasformarsi nei colossi che sono oggi in Europa e non solo, sono partiti ovunque proprio facendo leva sulla loro ragion d’essere: la pura convenienza.

Come il primo discount della storia che nasce ad Essen, dove Karl Albrecht aprì il proprio negozio di alimentari nel 1913 ben prima di trasformarsi in ALDI. L’altra grande  insegna sbarcata in Italia alla fine del 2017.  Penny Market nasce compartecipata con Esselunga nel 1994 e prosegue in solitaria dal 1999. Anch’essa di proprietà di un importante gruppo della GDO tedesca: REWE. Lidl è una realtà della grande distribuzione organizzata leader in Europa appartenente al Gruppo Schwarz. Quarto gruppo  in assoluto a livello mondiale dietro Walmart e Costco e alle spalle dell’americana Kroger, con un fatturato di 99,2 miliardi. 

L’Insegna attualmente gestisce una rete di oltre 12.000 punti vendita, più di 200 centri logistici in 31 Paesi e conta più di 360.000 dipendenti. Presente in Italia dal 1992, Lidl Italia può contare su 730 punti vendita che impiegano più di 21.000 collaboratori, articolati in 11 Direzioni Regionali che hanno la responsabilità operativa dei punti vendita e delle relative piattaforme logistiche. La Direzione Generale si trova ad Arcole, in provincia di Verona, e conta più di 800 dipendenti.

Quando si parla di multinazionali presenti in Italia c’è sempre il rischio di dover fare i conti con una retorica un po’ datata che ne riduce l’importanza e la portata economica per il nostro Paese. Oppure, nel comparto GDO, spesso le multinazionali vengono relegate, a soggetti che faticano a comprendere la specificità del nostro mercato. La business community  GDO, nel frattempo, continua ad interrogarsi sul considerare o meno i discount supermercati come gli altri, sul loro destino, sulle performance al metro quadro o sull’affollamento territoriale ritenuto foriero di possibili crisi di crescita all’orizzonte in grado di metterne in discussione la marcia trionfale di questi anni. Leggi tutto “LIDL. La metamorfosi di un discount moderno”