Grande Distribuzione. Vince chi punta sulle persone

Frequento numerose insegne della Grande Distribuzione.  Ho sotto casa un comodissimo Carrefour Express. Ho l’Esselunga di viale Cassala a qualche centinaia di metri dove vado spesso. Fino a poco tempo fa preferivo  arrivare fino al Viaggiator Goloso di Buccinasco a non più di un quarto d’ora d’auto. Purtroppo il Comune ha deciso di fare cassa con l’autovelox e alla seconda multa per un millimetrico superamento della velocità consentita, ho rinunciato. Non mi andava di finanziare surrettiziamente il comune in questione.

Quando passo per lavoro mi fermo al Gigante di Lonate Pozzolo o  all’Iperal di Bovisio Masciago. Due insegne  molto interessanti. Recentemente Banco Fresco a Varedo, Tigros in via Giambellino e il Bennet di Viale Corsica. Infine il Destriero a Vittuone e Lidl a Corbetta. In Trentino, la mia seconda casa,  Poli a Malè oppure Aldi a Cles. Al mare, la Coop di Follonica. Mi manca il Veneto dove ritornerò presto e dove mi attirano un paio di insegne  e il sud dove ho avuto la fortuna di aprire numerosi punti vendita e quindi mantengo numerosi contatti. Non ho  preferenze particolari. Dopo tanti anni di frequentazione non è l’insegna in sé che mi cattura. Mi piace entrare nel punto vendita e osservare. Ho partecipato a tante aperture, dalla selezione del personale alla costruzione delle squadre,  che mi basta poco per capire il clima e la presenza, o meno, del cosiddetto “quiet quitting” quella condizione, oggi tanto evocata ma presente da sempre nei punti vendita, in cui le persone riversano nel lavoro solo il minimo indispensabile rinunciando a mettersi in gioco.  Oppure dove non sono gestite correttamente.

Oltre ai prodotti e alle offerte nei supermercati, che registro solo se sono particolarmente interessanti, osservo quindi le persone nel lavoro. Come si muovono, come gestiscono la merce sui  lineari. Come affrontano e supportano (o sopportano)  i clienti. E, ovviamente, mi piace osservare la gente, i clienti  che li frequentano. La fretta di alcuni e la calma olimpica di altri. Il sorriso sardonico quando apre improvvisamente una cassa e si infilano lasciando gli altri basiti per lo scatto di quello che sembrava un pensionato dal passo incerto. Le borse di plastica che segnalano la propensione al nomadismo tra insegne. La soddisfazione del direttore di un punto vendita  minore quando il cliente posiziona la “sua” merce nel sacchetto dell’insegna leader.

Leggi tutto “Grande Distribuzione. Vince chi punta sulle persone”

Grande Distribuzione e scarso peso politico. Bisogna guardare avanti…

Fino alla nascita del Governo di centro destra le diverse lobby, sempre molto attive, interagivano con la politica attraverso canali conosciuti e riconosciuti. La difesa dei legittimi interessi di parte era affidata a professionisti, o alla diverse associazioni di categoria, che veicolavano, a ciascun partito rappresentato in Parlamento o in altre situazioni,   le proprie determinazioni sulle differenti iniziative che la politica o le diverse istituzioni coinvolte  si apprestavano a mettere in campo. Era quindi la politica a dover trovare le mediazioni e le conseguenti sintesi necessarie.

L’equilibrio è di fatto saltato con il nuovo esecutivo. Innanzitutto perché alla base del successo elettorale dei partiti che compongono la sua maggioranza c’è l’impegno, più esplicito che in passato, di buona parte dell’associazionismo imprenditoriale dell’agricoltura, dell’industria e del commercio. Non prenderne atto è da ingenui. Affrontati  i due temi fondamentali sotto lo sguardo attento  del Presidente della Repubblica e attraverso un’assunzione di responsabilità diretta del Presidente del Consiglio sulle compatibilità economiche in rapporto con l’Europa e il nostro sostegno all’Ucraina nel quadro delle nostre alleanze militari il resto delle determinazioni, dall’agricoltura all’industria nazionale, dal commercio e dal turismo le scelte o le “non scelte” sono frutto di un lavoro di concerto con le rispettive associazioni di categoria.

Quindi le contraddizioni interne ai vari comparti o tra comparti, se non trovano una ricomposizione win win, vengono schiacciate da questi equilibri determinati dalla nuova situazione politica. La Grande Distribuzione, prima della nascita di questo Governo, contava sull’ascolto guadagnato dal mondo cooperativo e dal suo tradizionale rapporto con il centro sinistra che, a vario titolo, ha sempre partecipato direttamente o indirettamente al governo del Paese beneficiandone della sua attività di lobby oppure dei rapporti diretti che, a partire dai territori le diverse insegne si erano costruite con la politica, di destra o di sinistra che fosse, per far arrivare le proprie istanze. Il cambio di Governo e il riacutizzarsi dell’inflazione hanno spazzato via questi elementi di raccordo lasciando qualche  spazio ai rapporti diretti dove la convenienza reciproca ha giocato un ruolo determinante ma ha reso irrilevante   alle lobby principali il peso e le istanze della GDO.

Ovviamente le tradizionali divisioni interne del comparto  rendono difficile prenderne atto collettivamente e spesso si preferisce addebitarlo agli usi e alle consuetudini del settore: “È sempre stato così e non cambierà mai” è la risposta a chi lancia un allarme vero. Difficile quindi rimediare una linea comune tra “acerrimi” concorrenti che preferiscono comportarsi come i polli del Manzoni beccandosi tra di loro mentre vengono portati in polleria. La nuova situazione politica e la gestione del perdurare dell’inflazione potrebbero  però aprire uno scenario nel quale sarebbe necessario inserirsi. Per due ragioni. Innanzitutto perché i comparti a monte hanno interesse a spostare decisamente gli equilibri a loro favore. Per l’industria di marca e per l’agricoltura l’inflazione, se gestita con intelligenza, non è di per sé un male. Dopo lo spavento della pandemia e con una guerra all’orizzonte un po’ di fieno in cascina non guasta. Certo non sarà così per tutti. Ma tant’è. E poi è fondamentale esserci per un problema di potere. Se hai un asse forte con il Governo contribuisci ad individuare le soluzioni necessarie e dove spostare le risorse necessarie.  Sia nel primario che nell’industria. E, infine, un nemico facile da individuare serve a tutti. Lo vediamo già oggi in Spagna con le proposte strampalate di Podemos contro la GDO o nei discorsi sull’avidità  delle insegne in Gran Bretagna (la cosiddetta greedflation).

Leggi tutto “Grande Distribuzione e scarso peso politico. Bisogna guardare avanti…”

Associazioni datoriali e imprese del terziario ad un passo dal possibile rinnovo del contratto nazionale

Ormai ci dovremmo essere. Ai primi di giugno ISTAT darà il dato di conguaglio IPCA 2022 (indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea). L’effetto di quel dato preoccupa le imprese che applicano il CCNL del terziario e della GDO per le conseguenze inevitabili sul costo del lavoro in un momento di forte tensione dovuto alla ripresa inflazionistica e alle conseguenze sui livelli di  consumo. Non traggano in inganno i fatturati gonfiati dall’inflazione. Un rinnovo di CCNL guarda necessariamente al futuro, ai prossimi 4 anni. E la storia è  ancora tutta da scrivere. La liturgia e la prassi delle relazioni sindacali non prevedono cambiamenti né adattamenti  al contesto. Al massimo ritardi applicativi. O come nel caso dei fornitori sconti e promozioni. Eppure la logica suggerirebbe una maggiore cautela sugli impegni economici da concordare in tempi di inflazione. I contratti, sindacali o meno, sono impegni economici le cui modalità di erogazione andrebbero modellati sul contesto. Non viceversa. Ma questo presuppone un salto di qualità che non è nelle corde dei giocatori in campo. Ciascuno cerca di difendere come può il proprio perimetro di riferimento.

L’incontro delle delegazioni al massimo livello prevista per i prossimi giorni ha questo scopo. Valutare la possibilità o meno di un affondo conclusivo. Sarebbe sbagliato non auspicare una conclusione. L‘Accelerazione  dovrebbe portare alla firma del contratto nazionale del terziario trascinando in un destino analogo gli altri tre contratti nazionali che ruotano intorno a quello firmato da Confcommercio applicato ad oltre 2 milioni ed 800 mila addetti. L’ultimo contratto nazionale firmato nel 2015 è scaduto  nel 2019. Il 12 dicembre 2022, le diverse associazioni datoriali (Confcommercio, Federdistribuzione, Confesercenti, Coop) hanno sottoscritto un protocollo di settore con i sindacati di categoria Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs definendo una tantum di 350 euro e un acconto di 30 euro sui futuri aumenti contrattuali a partire da aprile 2023. Un piccolo passo in avanti. Molte aziende oggi spingono per chiudere la partita.

L’accordo è maturo e non sono utili a nessuno i giochi di ruolo  delle diverse associazioni per segnare i rispettivi campi da gioco. C’è un convitato di pietra al tavolo per ora ancora circoscritto: i cosiddetti “contratti pirata” che vengono spesso evocati dall’associazionismo di impresa e dai sindacati come nelle sedute spiritiche ma che, concretamente, nessuno sembra intenzionato ad affrontare sul serio.

Facciamo chiarezza.

Con il termine “contratti pirata” si intendono contratti collettivi sottoscritti da sindacati minoritari e associazioni imprenditoriali, a volte poco rappresentative, con l’obiettivo di costituire un’alternativa ai contratti collettivi nazionali siglati dalle organizzazioni più rappresentative. L’uso del termine “pirata” deriva dal fatto che tali contratti prevedono condizioni normative ed economiche inferiori rispetto a quelli siglati dai sindacati confederali (ad esempio retribuzioni minime inferiori; un minor numero di ferie o permessi, etc). Se volessimo essere pignoli anche i due contratti nazionali , firmati a suo tempo, da Confesercenti e Federdistribuzione con gli stessi sindacati confederali in dumping a quello di Confcommercio potrebbero essere definiti essi stessi una forma di contrattazione “pirata”  per attrarre associati. Ma tant’è. Arrivare a questo punto della vicenda non conviene a nessuno  sottilizzare. 

Tra gli indubbi svantaggi che l’applicazione di tali contratti in dumping sta portando è che si determina una proliferazione dei contratti collettivi. Pirata o meno. Visti dal versante dell’impresa, soprattutto quella piccola e media, “rappresentano la reazione adattiva di un sistema a basso valore aggiunto all’imposizione di continui oneri” come ha scritto recentemente  Mario Seminerio. Per uscirne non basterebbe certo prendersela con  i reprobi. Occorrerebbe, oltre ad un intervento deciso sul costo del lavoro e sulle normative, una legge che certifichi il peso degli aspiranti firmatari e quindi  chi debba essere titolare della contrattazione di categoria.

Ma se fosse così, i 3 contratti firmati da Confesercenti, Federdistribuzione e Confcommercio, che coprono in parte  lo stesso perimetro, come verrebbero “pesati”?  E, aggiungo, Confcommercio, ad esempio,  sarebbe disponibile ad accettare la richiesta di trasparenza prevista sul numero dei suoi  associati nei singoli sottosettori  e delle sue entrate economiche? Soprattutto da quelle provenienti da sottosettori che non si riconoscono nella confederazione di Piazza Belli. Ad oggi nulla è chiaro. Quindi la cosiddetta contrattazione “ pirata”, senza alcun intervento, rischia di proseguire il suo cammino  come prima. Anzi. Tenderà ad ampliare il suo raggio di azione. Sopratutto quando le insegne  operanti  sullo stesso territorio e alle prese con costi crescenti si trovassero ad applicare contratti di lavoro con differenze di costo anche superiori al 15%….

Aggiungo una nota di colore. Per dimostrare di saper gestire  i “malpancisti”  presenti nelle delegazioni di alcune  associazioni datoriali al tavolo negoziale,  Confcommercio  ha  provato  la classica mossa del cavallo: scavalcare i contratti pirata intervenendo in pejus su diritti e tutele del CCNL in rinnovo, in cambio dell’aumento salariale. Un rilancio inutile che più che accontentare i duri del negoziato rischia di trasformarsi, oltre che in una provocazione nei confronti del sindacato, in  un endorsement formale alla bravura dei consulenti del lavoro che, nei territori, si ingegnano a rielaborare i contenuti del CCNL abbassandone le coperture.

Criticare i contratti pirata e mettersi contemporaneamente la benda all’occhio e l’uncino per fingere di  “spaventare” i sindacati non credo sia particolarmente  saggio a questo punto del negoziato. A meno che non si tratti della classica furbata finale per gestire i riottosi seduti al proprio fianco. Vedremo presto se si è trattato del classico ballon d’essai fine a sé stesso da parte di chi tira le fila del negoziato o di una scelta consapevole foriera di conseguenze negative sull’esito finale.

Pur non essendo questo un rinnovo che verrà ricordato dai posteri per i contenuti innovativi, visto il contesto,  i margini per chiudere ci potrebbero essere.  Innanzitutto il sindacato ha ottenuto un primo risultato: il negoziato procede parallelamente con tutte le associazioni coinvolte come fosse lo stesso tavolo. Non è un risultato da poco. È, di fatto, un  passo importante che certifica l’impossibilità di riproporre  fughe in avanti come è avvenuto in passato. Approfittando del recente decreto lavoro, le parti potrebbero lavorare, ad esempio, sulle causali del lavoro a termine e definendo modalità e tranche dell’aumento salariale da spalmare sulla durata del nuovo CCNL.

Così come per alcuni articoli del contratto stesso che si sono usurati nel tempo e sui quali diversi aggiustamenti sono possibili senza alterarne gli equilibri.  e poi ci sarebbero da introdurre sperimentazioni sulle nuove tendenze e professionalità del lavoro nel terziario. Senza dimenticare  i quadri aziendali che in questi anni hanno visto crescere la professionalità richiesta, l’impegno  e il contributo al risultato aziendale. Per il sindacato non si prospetta comunque una partita facile. La pressione salariale sta salendo dal basso  così come le tensioni tra i sindacati potrebbero introdurre variabili imprevedibili allo stesso negoziato. Lo stesso vale per le aziende della GDO che stanno esaurendo tutti gli strumenti messi in campo per tenere sotto controllo il costo del lavoro e che guardano con preoccupazione gli anni di vigenza del nuovo CCNL.

È una partita molto delicata ma che è interesse comune chiudere presto. Non solo nel commercio e nel terziario. Quasi 7 milioni di persone su un totale di 12,8 milioni nel nostro Paese sono senza contratto nazionale rinnovato. Tre milioni gli addetti e le addette di turismo, commercio e ristorazione. Il contratto della vigilanza, è scaduto da sette anni. 591contratti nazionali scaduti al 31 dicembre del 2022. Mentre il costo della vita è in costante aumento, gli stipendi degli italiani non solo non seguono l’incremento dell’inflazione ma addirittura sono scesi nel tempo complice la stagnazione di PIL e della produttività. E questa situazione, se non governata, non promette nulla di buono. A questo punto del percorso non c’è alternativa all’accordo. Alla GDO verrebbe addebitata la responsabilità, oltre a quella strumentale del “caro carrello” pure quella di “irresponsabilità sociale”. Un disastro sul piano dell’immagine pubblica. C’è un vecchio proverbio ebraico che recita: “l’unico ostacolo al compromesso è un po’ di buona volontà”. Questo è il momento di dimostrarla.

Esselunga. Un passo avanti, due indietro…

Un CEO da solo non va da nessuna parte. E CEO non si nasce. Si diventa. Da una parte attraverso il percorso professionale, le competenze e le capacità affinate negli anni. Indispensabili ma non sufficienti. Dall’altra con la capacità  di circondarsi di collaboratori capaci, esperti nel loro campo e ingaggiati nelle strategie e negli obiettivi. Stimarli, riconoscerne le competenze e la loro esperienza, condividere con loro le traiettorie aziendali, è fondamentale.

Nel mio campo  oltre  ai costi del personale, alla loro evoluzione e il presidio delle problematiche sindacali, non si possono  non cogliere i segnali che accompagnano la vita reale di un’azienda. Il turn over più o meno accentuato dai manager fino agli addetti nei punti vendita, la difficoltà a reperire risorse dal mercato, il grado di soddisfazione presente nelle diverse aree aziendali. 

Ci sono aree aziendali dove obiettivi troppo sfidanti  o valutazioni affrettate  sono pessimi consiglieri.  E rischiano di compromettere il futuro delle risorse migliori e dell’azienda stessa. Occorre poi che il CEO sia in grado di ascoltare, rispettare la professionalità dei manager, capire e proporre sintesi evitando pregiudizi e decisioni sommarie che possano compromettere la gestione futura e quindi i risultati attesi.  Quella che emerge sotto questi punti di vista  è, ovviamente, una realtà ben diversa dai comunicati stampa rivolti all’esterno. Emerge l’azienda per quello che è.

Nel caso dell’azienda di Pioltello i numeri parlano chiaro. C’è poco da discutere. Esselunga chiude il 2022  con segno positivo, come si legge in una recente intervista della Presidente esecutiva Marina Caprotti sul Corriere della Sera. “È stato un anno di impegno verso clienti e dipendenti per proteggere il loro potere di acquisto. Una decisione meditata e contro corrente”, spiega Marina Caprotti. I prezzi dei prodotti a scaffale nell’ultimo anno sono lievitati del 5,5%, a fronte di un’inflazione ricevuta dai fornitori pari a circa il 9%: ciò significa che, in pratica, Esselunga ha assorbito quasi il 4% dei rincari. Questo impegno è però costato caro in termini di margini: nel 2022 l’ebitda è sceso a 501,4 milioni, dai 689,7 del 2021.

Questo dato ha spinto però S&P Global Ratings ha rivedere l’outlook di Esselunga da “stabile” a “negativo”. L’agenzia di rating ha osservato che nel primo semestre Esselunga ha registrato un Ebitda margin quasi dimezzato, pari al 5,5%, a causa dell’aumento della base dei costi legato all’inflazione, in aggiunta a un’aggressiva strategia di pricing e ha aggiunto che potrebbe tagliare il rating se il margine Ebitda dell’azienda non dovesse tornare sopra il 7% nei prossimi 12 mesi. Aggiungo che Massimo Schiraldi ha giustamente  scritto su GDO news: “Esselunga, un’azienda che, nonostante non sia leader di mercato, è da sempre tra i best performers in Europa e la migliore in assoluto in Italia. Questo aspetto è importante perché la qualità del retailer si esprime proprio nel saper costruire assortimenti adatti alle necessità dei consumatori i quali, di conseguenza, scelgono l’insegna come punto di riferimento per la propria spesa”. Quindi, nonostante le turbolenze del contesto, i numeri danno loro ragione. E, questi indubbi risultati sono però frutto del lavoro quotidiano della squadra a tutti i livelli.  Leggi tutto “Esselunga. Un passo avanti, due indietro…”

Ortofrutta e non solo. Apre Fresh; qualcosa si muove anche a Milano.

Una rondine non fa primavera. Però ne potrebbe segnare l’arrivo. L’8 giugno Banco Fresco lascia il suo modello periferico e sbarca in città. Arriva “FRESH”, il nuovo format cittadino della catena. Sorgerà al posto dell’ex Erbert, i cui piatti pronti andranno ad arricchire le tremila referenze Banco Fresco. Innanzitutto il format. È il classico format ZTL tipo Esse. Per ora con i suoi nove negozi milanesi l’azienda di Pioltello, non aveva concorrenti.

Negozi di vicinato ce ne sono già molti, un po’ tutti i uguali. E abbiamo  in arrivo altre multinazionali ma il format un po’ “fighetto” era una  esclusiva Esselunga. Adesso arriva un binomio interessante in via Moscati in zona Sempione. Dall’ortofrutta, elemento distintivo di Banco Fresco a tutto il resto però puntando ad una filosofia fondata su qualità e sostenibilità. Se sarà così credo potrà dire la sua in una città come Milano. La scelta di mantenere la partnership con Erbert è interessante. È presto per capire se è tattica o strategica. Lo vedremo più avanti.

Erbert è stata è stata definita da Michela Becchi di Gambero Rosso  (forse un po’ pomposamente) la Whole Foods di casa nostra. “Certo, botteghe e negozi di nicchia, aziende e modelli virtuosi di cibo sano, etico e rispettoso dell’ambiente erano già presenti un po’ ovunque, ma quello che mancava era un vero supermercato contemporaneo attento alla salute. Una sorta di Whole Foods italiano prima maniera, l’azienda statunitense fondata da John Mackey nel 1976, ben prima del boom del biologico iniziato negli anni ’90, e acquistata da Amazon nel 2017 per quasi 14 milioni di dollari.

Sorge spontaneo il paragone con il colosso di Farinetti, ma i punti Eataly – così come quelli Naturasì – nascono con intenti e modalità diverse. Erbert a Milano, concept store che ha aperto il suo primo punto vendita nel 2020, poco dopo la fine del lockdown, ha invece come obiettivi principali la sostenibilità ambientale e la salute dei consumatori, caratteristiche che accomunano tutti i prodotti selezionati per la vendita”.

Leggi tutto “Ortofrutta e non solo. Apre Fresh; qualcosa si muove anche a Milano.”

Grande Distribuzione. La lotta si fa dura … se non si punta su frutta e verdura

Croce e delizia della Grande Distribuzione lo spazio dedicato all’ortofrutta in tutte le sue declinazioni è ritenuto, a torto o a ragione da molti, il biglietto da visita di un’insegna. Non a caso è il reparto piazzato all’entrata del punto vendita. Trasmette, anche al cliente distratto e frettoloso, una sensazione di freschezza che lo accoglie e lo accompagna nel suo giro tra i banconi e i lineari carichi di merce.

L’ortofrutta rappresenta il cuore del reparto dei freschi con un’incidenza nelle vendite vicina al 30%, seguita dalla macelleria. dai formaggi e dai salumi, pane, pasta e pasticceria, gastronomia e pescheria. Secondo la recente ricerca di Bain & Company Italia “Net Promoter Store” (https://bit.ly/41NTMGP)  se un supermercato migliorasse il reparto ortofrutta incrementerebbe i ricavi complessivi di oltre il 2%. Quindi il tema è centrale.

Nel 2022 i consumi di ortofrutta si sono attestati su 5,47 milioni di tonnellate. iper, super, discount e superette hanno veicolato circa  4 milioni di tonnellate, il 9% in meno rispetto al 2021. Più o meno il 75% dei consumi sono passati dalla GDO. Il resto dei consumi lo hanno coperto principalmente  i fruttivendoli (11%), i mercati ambulanti e rionali (circa il 10%). I primi hanno perso il 18% sul 2021 e i secondi circa il 20% sempre sul 2021. La GDO ha perso il 9% dei volumi. (Dati tratti da Rivista di Frutticoltura e Ortofloricoltura). L’aumento dei prezzi ha sostanzialmente coperto il calo dei volumi. Hanno comprato meno gli over 65 che rappresentano un terzo degli acquisti e  di più gli under 34 che però ne rappresentano solo il 17% l’unica fascia d’età che ha registrato una variazione positiva.

Sull’esposizione, sulla qualità, sulla redditività e sulla professionalità necessaria o meno per il reparto ortofrutticolo nella GDO si è aperto un dibattito che attraversa il settore da qualche decennio. Decine di convegni dedicati. Modesti i cambiamenti. Tutti concordano che l’obiettivo dovrebbe essere quello di avere un reparto ortofrutta curato, ben disposto e con un buon rapporto prezzo qualità. I clienti vorrebbero anche che il sapore, il gusto di frutta e verdura ritornasse ad essere una vera e propria riscoperta. Soprattutto nella GDO.
Leggi tutto “Grande Distribuzione. La lotta si fa dura … se non si punta su frutta e verdura”

Inflazione. Tutti si smarcano e il cerino resta in mano al consumatore

La situazione sul fronte dei prezzi è surreale. L’inflazione nei prodotti alimentari resta alta. Secondo Nielsen l’indice d’inflazione teorica nel largo consumo risulta pari al 15,4%. Su alcune tipologie di prodotti è ancora più alta. Così come lo è sulle fasce di consumatori con i redditi più bassi. I fatturati delle insegne e dell’industria però schizzano verso l’alto. Ma non è un buon segno. Il Governo sul tema, tace.

Almeno per ora, fortunatamente, non è partita la dinamica già presente in altri Paesi di richieste salariali generalizzate compensative dell’inflazione. Il rischio che il tessuto sociale che fino ad ora ha tenuto, si laceri, è alto. La reazione per ora  resta individuale. Ciascuno taglia i consumi che ritiene meno importanti per sé o per la propria famiglia. In altre parole ci si rassegna. Una situazione che, se prolungata nel tempo, può produrre effetti depressivi sull’andamento dei consumi e sulla crescita dell’economia.

Il Centro studi di Confindustria confida sulla ripartenza dell’economia italiana evidenziando il Pil nel primo trimestre sopra le attese (+0,5%) e con la variazione acquisita per il 2023 a +0,8%. Scommette sulla riduzione dell’inflazione pur ammettendo che sarà lenta e continuerà a frenare i consumi. L’industria di marca punta sul rientro del dato medio in corso d’anno. Quindi mantiene i prezzi alti e mette “fieno in cascina”. La GDO, va detto,  ha intuito il rischio sul lungo periodo e ha  provato a mettere le mani avanti chiedendo un tavolo di confronto. I contratti standard tra industria e GDO tradizionali in tempi di inflazione sono un errore. Lo capiscono tutti ma nessuno fa nulla. Prezzi e rientro da costi seguono dinamiche differenti. Il cosiddetto “tavolo” sarebbe servito a governare il fenomeno almeno per l’anno in corso.

Con i discount che avevano, almeno all’inizio della risalita, le mani libere e l’industria che premeva, la GDO ha eretto la classica linea Maginot che è stata aggirata facilmente. Divisi tra di loro, con alcune insegne certe che sottobanco qualche antico rimedio (vedi sconti e promozioni) avrebbe funzionato come sempre, si sono presentati ai negoziati convinti di poter reggere il confronto. E mentre tutti parlavano del “caro carrello” addossando alla GDO gli aumenti c’è chi ha preferito giocare per sé trasformandosi per qualche settimana in paladino dei consumatori contro il carovita o altri che hanno indossato tute e scudi stellari mentre i prezzi schizzavano verso l’alto e il solito Einstein invitava a farsi furbi e andare nei suoi negozi. Il solito piccolo cabotaggio del marciare divisi per azzoppare il vicino di corsia e provare a vincere la gara. Leggi tutto “Inflazione. Tutti si smarcano e il cerino resta in mano al consumatore”

Il futuro dei negozi di vicinato è in ciò che Kombinano Canada e Giappone?

Tra  pandemia e guerra ai confini dell’Europa sembra passato un secolo dal gennaio del 2021 quando Couche Tard, la multinazionale canadese di mini market collegati ai  distributori di carburante, aveva messo sul tavolo 16 miliardi di euro per acquisire l’intera Carrefour. Più o meno la stessa cifra che Amazon aveva sborsato per Whole Foods. L’operazione fu poi stoppata dal Governo francese. Oggi l’acquisizione di  2.193 stazioni di servizio TotalEnergies in Europa per l’equivalente di circa 4,5 miliardi di dollari canadesi (3,1 miliardi di euro, otto volte gli utili prima di interessi, tasse e ammortamenti).

L’accordo le consentirà di entrare in nuove realtà in Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. L’azienda del Quebèc ha mosso i primi passi nel vecchio continente  con l’acquisizione del rivenditore norvegese Statoil nel 2012. Specificando che circa il 25% delle vendite in Scandinavia proviene dal cibo.

L’idea è quindi di puntare sui minimarket di Total in Europa  adattandoli  al gusto e alle culture locali. Con questa transazione, l’operatore di minimarket e distributori di benzina espande la propria presenza in Europa, dove conta già quasi 3.100 negozi. Prima dell’annuncio di questa acquisizione multimiliardaria, l’acquisto più recente di Couche-Tard è stato di  45 Big Red Stores (https://bit.ly/3Lf3hJz) in Arkansas il 27 febbraio. Quella mossa ha quadruplicato il numero di negozi in Arkansas. L’obiettivo è però il mercato europeo dei minimarket a cominciare da quelli delle stazioni di servizio ma non solo.

L’acquisizione include (https://bit.ly/3KQuWzm) 1.195 sedi in Germania, 566 in Belgio, 387 nei Paesi Bassi e 45 in Lussemburgo. Aggiungendo le 2193 sedi, la sua impronta europea (https://bit.ly/40uLLW1) aumenta dell’81%. Attualmente ha 2.703 sedi in otto paesi: Norvegia, Svezia, Danimarca, Lituania, Estonia, Lettonia, Irlanda e Polonia. Il CEO Brian Hannasch di Couche-Tard spiega che questa operazione aiuterà l’azienda del Quebec a crescere “all’interno delle economie più forti d’Europa. Inoltre, Couche-Tard ritiene di poter aumentare in modo significativo il servizio di ristorazione e le vendite in negozio nelle sedi acquisite. “Crediamo che il nostro modello europeo, sia dal punto di vista del cibo che del merchandising, farà breccia in questi mercati”, ha affermato Brian Hannasch. Quindi un obiettivo chiaro. Puntare ad un convenience store diverso dove ristorazione, prodotti alimentari limitati e convenenti e no food possano trovare nuove sintesi. Magari attraverso una dimensione tecnologica più accentuata, un servizio più accogliente  e una logistica diversa. Leggi tutto “Il futuro dei negozi di vicinato è in ciò che Kombinano Canada e Giappone?”

Buon 25 aprile!

Ho scoperto, quasi per caso, che il cugino di mia madre, che sapevo essere morto da partigiano, fu un eroe della resistenza romana.

Questa storia è riemersa grazie alla storica Stefania Ficacci e alle donne del Quadraro, delle Fosse Ardeatine, della Garbatella che l’hanno tramandata con i loro racconti. Il Parco dedicato a Giordano Sangalli ha un legame molto forte con gli anni della Resistenza e della lotta di liberazione. Me ne aveva parlato mio nonno di questo giovane coetaneo di mia madre che con gli zii si era trasferito a Roma da piccolo. Anni durissimi. Era un po’ nei suoi racconti, da vecchio socialista, l’eroe di casa. Allora la Resistenza non era, come oggi, un ricordo lontano.

Si sapeva che Giordano aveva fatto il partigiano come tanti altri ragazzi di quell’età ma nessuno sapeva come era morto, né dove, fino a quando l’ANPI sulla fine degli anni 50 del secolo scorso inviò a mio nonno la tessera ad honorem, senza particolari commenti, che finì tra le vecchie foto di famiglia. Racconti familiari a parte e mancati prima mio nonno e poi mia madre, la vicenda del giovane Giordano venne piano piano dimenticata in famiglia.

Nel frattempo a Roma negli anni del dopoguerra intorno ad un piccolo campo da calcio di periferia si tenevano dei derby molto accesi, come quello tra la squadra del Tor Pignattara e il Chinotto Neri, grandi sfide, del resto anche lo sport partecipava al senso di libertà di allora. Questo campo veniva chiamato dai ragazzi del quartiere il “campetto Sangalli”. Quando è stato poi restaurato il parco, nel 2009, il giardino, situato nei pressi di Largo Raffaele Pettazzoni e attraversato dall’Acquedotto Alessandrino, è stato deciso di intitolarlo proprio al giovane Sangalli. Nel frattempo la storia di Giordano qui a Milano è stata completamente dimenticata. Mi successe però un fatto strano.

Mettendo a posto le fotografie di famiglia ho ritrovato in un cassetto la sua tessera dell’ANPI e vagamente mi sono ritornati in mente i racconti di mio nonno e mia madre di quando ero ragazzo. Una storia ormai lontana. Digito quasi per caso “Giordano Sangalli” in rete e entrò in contatto con un altro mondo. Scopro che Nikolay Pavlyuchkov un figlio di immigrati russi sotto la supervisione del fumettista Alessio Spataro per la Scuola Popolare di Tor Pignattara, ha disegnato un racconto con la storia di un giovanissimo partigiano di Tor Pignattara morto a 17 anni sul monte Tancia. È lì che è nato il fumetto su Sangalli. Leggi tutto “Buon 25 aprile!”

È arrivato il momento di accendere i riflettori sull’ultimo miglio.

Un recente studio dell’’INAPP (https://bit.ly/3UNLo88) ci permette di circoscrivere le dimensioni del fenomeno dei platform worker in Italia sul versante degli addetti. Nel 2020/21 rientravano in questa categoria 570.000 lavoratori, così suddivisi: 36,2 % consegna pasti a domicilio (i rider), 14% consegna prodotti o pacchi, 4,7% autisti (tipo Uber), 9,2 % lavori domestici, 34,9% attività on line, 1% altre attività). Se restiamo nel cosiddetto ultimo miglio (quell’ultimo tassello della consegna delle merci che le porta da un centro di stoccaggio al cliente finale) stiamo parlando di circa trecentomila persone che a vario titolo si muovono per trasportare cose nel nostro Paese.

Un mercato in espansione, che ha generato in Italia oltre 2 miliardi di euro di business solo per il settore ristorazione nel 2022 destinato a crescere. Secondo McKinsey (https://mck.co/43MasAr) il mercato globale della consegna dell’ultimo miglio nel mondo  dovrebbe raggiungere i 66 miliardi di dollari entro il 2026, dai 39.5 miliardi del 2020. A Milano e provincia la ristorazione è il settore più attivo indicato dal 62%, seguito dal grocery al 36% e dal retail per il 20%. Oltre 6.000 rider che lavorano per l’online food delivery solo in città. (Secondo una recente indagine Confcommercio/Glovo). Consegne ecologiche quindi? Le loro certamente si.

Il discorso si fa più complesso se alziamo lo sguardo all’insieme del comparto.  I veicoli a motore che fanno consegne rappresentano quasi un terzo del traffico totale delle città. Mezzi che viaggiano spesso semivuoti e che in media rientrano al magazzino con parte delle merci non consegnate. Un contributo  tra il 20 e il 30% all’inquinamento dell’aria nelle aree urbane da non sottovalutare. Altri studi che comparano l’inquinamento prodotto dagli acquisti tramite l’e-commerce con i negozi negozi fisici non alimentari riducono fortemente la percentuale (https://owy.mn/41JSLj0) così come il traffico generato. In generale, quindi, l’ultimo miglio, indipendentemente dalla tipologia della modalità di acquisto è il tratto che impatta maggiormente sull’ambiente rispetto all’intero processo logistico. È quindi un problema serio.

La prima soluzione è legata all’avvento delle consegne con veicoli elettrici, per ridurre l’inquinamento e per decongestionare le strade. Ma la vera rivoluzione arriverà più avanti con i veicoli automatizzati. Ma mentre aspettiamo i droni occorre lavorare per  ottimizzare questo processo. L’ultimo miglio è l’elemento meno efficiente della maggior parte delle catene di approvvigionamento, e comporta una spesa, come parte finale del trasporto, che incide pesantemente (https://bit.ly/3Abnr0K) sul costo totale di trasporto del prodotto. Oltre a questo costo di natura economica, il traffico nelle aree urbane, la distanza tra zone lontane, gli indirizzi non validi o errati, le destinazioni difficili da localizzare e la mancanza di persone che firmino le consegne fanno sì che il processo sia tutt’altro che ottimale. Leggi tutto “È arrivato il momento di accendere i riflettori sull’ultimo miglio.”