Amazon vuole crescere anche nei “brick and mortar”

Noi li chiamiamo negozi fisici negli USA li chiamano “brick and mortar”(mattoni e malta) termine liberamente tratto dal salmo 127 della Bibbia spesso  contrapposto al negozio digitale. In realtà la vera contrapposizione è tra chi ritiene centrale il cliente (a parole tutti) e considera accessori luoghi e strumenti per raggiungerlo, coinvolgerlo  e soddisfarlo e chi  difende il luogo come centro del mondo perché andare oltre significherebbe doversi mettere in discussione. Amazon ha capito che oggi, il cliente, li apprezza entrambi. E mentre nel commercio digitale gode di un vantaggio costruito nel tempo continua a rimanere indietro rispetto a Walmart e altri retailer in termini di quota di mercato generato dai punti vendita tradizionali: 2,6% contro 18%.

Andy Jassy , CEO di Amazon, nella recente lettera agli azionisti ha ribadito che, per crescere e competere ” abbiamo bisogno di una presenza fisica più marcata, dato che la maggior parte degli acquisti avvengono ancora nei negozi fisici”. C’è una equivalenza necessaria nella competizione. Walmart attacca su tecnologia e digitale, Amazon non può non replicare sul fisico. Whole Food e Amazon Fresh si sono dimostrati una risposta debole. In grado di preoccupare per il  potenziale ma non di contrastare a sufficienza il gigante di  Bentonville. Serve “identificare e costruire il giusto format di massa idoneo per la scala Amazon” ha concluso Jassy. Whole Foods Market sta andando bene. Vendite e redditività sono in crescita. Ma così come è concepito non sembra costituire la base per una risposta sufficiente.

Di fronte due strade percorribili. La prima più tradizionale: acquisire insegne innanzitutto in un mercato, quello USA che cuba circa 800 miliardi di dollari e poi puntare ad altri Paesi chiave. La complessità dell’integrazione della sola  Whole Foods in Amazon è lì a dimostrare che pensare di competere con i best performer del retail concentrando insegne diverse per organizzazione e cultura e mettendosi semplicemente sul loro terreno è un azzardo che rischia di costare molto caro. Andy Jassy accenna la diversità del loro percorso in un passaggio della lettera agli azionisti. “in vent’anni abbiamo costruito una presenza significativa individuando i prodotti presenti sui lineari dei supermercati che non richiedono controllo di temperatura come prodotti di carta, cibo in scatola e in scatola, caramelle e snack, cura degli animali domestici, salute e cura personale e bellezza. Tre milioni di articoli che hanno eclissato le poche decine di migliaia offerti dal retail tradizionale”. Assortimento, consegna a domicilio e scontistica la chiave del successo anche tramite il programma Subscribe & Save molto gettonato negli USA. Una strategia certamente legata al prodotto e alla sua maggiore semplicità di gestione ma costruita anche innovando il processo.

Amazon fresh non sembra essere quindi essere ritenuta una risposta adeguata. Così come pensare che lo possa essere la sola tecnologia. Quella impiegata negli Amazon GO oltre ad essere costosa, facilmente riproducibile e migliorabile  in diverse parti del pianeta è la dimostrazione che la tecnologia non aumenta di per sé il numero di clienti.  Quindi occorre percorrere un’altra strada che affronti l’offerta e il servizio nel punto vendita all’interno di una strategia unichannel. Ed è questa, credo, la ragione principale  per la quale Amazon non ha proceduto con acquisizioni successive a Whole Foods pur avendone prese in considerazione alcune sia negli USA che in Europa.  Leggi tutto “Amazon vuole crescere anche nei “brick and mortar””

Il negozio del futuro non è nato solo a Seattle…

Anche a Rimini fu un ingegnere a mettere a terra un suo grande sogno. Al largo delle coste tra Bellaria e Igea Marina nacque l’Isola delle Rose. Una micronazione  ideata da Giorgio Rosa, un uomo visionario intenzionato a creare un’isola felice in mezzo al mare andando contro corrente rispetto all’epoca. Lì dove è nato, il sogno è tramontato, travolto dalla cultura del tempo e dalla burocrazia. A Terni, pur su scala ridotta, è nata un’idea per certi versi anch’essa  rivoluzionaria ideata dall’ingegnere lecchese Davide Milani, che ha voluto dare vita a una formula commerciale che coniugasse innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale, valorizzazione della comunità locale.

L’esperimento ha funzionato pur poi terremotato  dalla pandemia e da una ripartenza con costi pesanti per tutti che ha travolto start up tecnologiche importanti e azzerato decine di iniziative per mancanza di risorse economiche. Il caro bollette poi ha messo in ginocchio molte piccole imprese compreso  il percorso che ha generato Vivogreen ma non certo l’idea e la sua possibile prospettiva futura. Il supermercato, primo store a Terni e in Italia privo di casse e imballaggi, si caratterizzava  per tecnologia, sostenibilità ambientale e collaborazione con le scuole, nell’arco di pochissimi mesi ha visto aumentare del 300% le bollette elettriche. Difficile per chiunque risalire la china.

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Grande distribuzione. La ripartenza viene dal fresco…

Se dico che la GDO si è un po’ avvitata su sé stessa scopro l’acqua calda. L’innovazione, quella vera,  langue, i discount fanno da metronomi all’intero comparto e le grandi superfici sono alla ricerca di nuove identità nella speranza di ridimensionarne la crisi. Passa di mano qualche punto vendita tra insegne, soprattutto al nord e tra l’insegna e  franchisee che, attraverso una gestione più “rude” e modellata sul territorio e le sue specificità a volte funziona e a volte sposta solo  il problema più in là.

Non essendo riuscite a governare l’inflazione a monte le insegne e i fornitori stanno concordando promozioni a getto continuo che confondono i clienti ma che non rimuovono l’idea che i prezzi sono schizzati alle stelle e gli “scudi” televisivi e gli uomini mascherati che difendono i consumatori rischiano di essere un pannicello caldo inventato markettari che non vanno a fare la spesa. La GDO sta quindi adottando la tecnica del “fingersi morta” sperando che la nottata passi presto. D’altra parte i fatturati seguono l’onda e illudono che domani è un altro giorno. Nessuna nuova buona nuova, quindi? No. Qualcosa si muove a macchia di leopardo. Presto ritornerò a ragionare sul sud perché è dove la GDO, discount a parte,  sta cercando di dare il meglio di sé. E poi nell’ortofrutta e nel fresco in generale dove la GDO soffre e dove il 2023 ci riserverà qualche sorpresa positiva.

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Walmart vs. Amazon. La sfida tra i due giganti continua.

“Siamo in una posizione unica per servire i nostri clienti indipendentemente da  come vogliono fare acquisti, il che alimenterà la nostra crescita”, ha affermato Doug McMillon, presidente e amministratore delegato di Walmart Inc. alla riunione annuale con gli investitori. “Mentre cresciamo, miglioreremo il nostro margine operativo attraverso gli incrementi  della produttività e il nostro business mix migliorando il nostro margine operativo, investendo sulle priorità programmate”.

Crescere è il mantra. L’ossessione di chi vuole essere il numero uno. Ogni settimana, circa 240 milioni di clienti visitano più di 10.500 negozi e i suoi numerosi siti web di e-commerce in 20 paesi. Con un fatturato dell’anno fiscale 2023 di 611 miliardi di dollari, Walmart impiega circa 2,1 milioni di collaboratori in tutto il mondo. L’azienda sta reingegnerizzando la sua supply chain.  Il risultato punta a migliorare la fase di preparazione delle scorte, dell’inventario e il flusso, indipendentemente dal fatto che i clienti acquistino nei negozi, ritirino la merce ai loker  o tramite la consegna a domicilio.

Walmart ha presentato l’innovazione della sua  logistica nel suo centro di distribuzione regionale di Brooksville, in Florida. Un sistema che utilizza una combinazione di dati, software e robotica. In questo modo l’azienda ha spiegato come l’aumento dello stoccaggio degli articoli consenta al centro di distribuzione di fornire un servizio di consegna più coerente, prevedibile e di qualità superiore a negozi e clienti e di reagire più rapidamente alla domanda. I negozi si stanno trasformando. Oltre  da luogo tradizionale per acquisti diventano anche centri di evasione ordini e stazioni di consegna. I centri di distribuzione e di evasione ordini contengono un mix di articoli, da fornitori e venditori. Non necessariamente trattati da Walmart. Ciò consente all’azienda di ottimizzare le sue risorse in modo più flessibile ed efficiente.

L’annuncio è stato chiaro: “entro la fine dell’anno fiscale 2026, Walmart ritiene che circa il 65% dei negozi sarà servito dall’automazione, circa il 55% del volume del centro di evasione ordini passerà attraverso strutture automatizzate e le medie dei costi unitari potrebbero migliorare di circa il 20%”. Meno lavoro manuale (con minor costo del lavoro complessivo), più lavoro specializzato e meglio retribuito. Il presidente e CEO di Walmart Inc. McMillion ha dichiarato: “Siamo un grande rivenditore  guidato dalle scelte delle persone e alimentato dalla tecnologia. Le prime costituiscono lo  scopo, i valori, la cultura, le opportunità e la comunità di appartenenza. Serviamo i nostri clienti  creando contemporaneamente opportunità di lavoro. Opportunità che trasformano i semplici posti di lavoro in carriere professionali. Così i nostri collaboratori sono messi in condizione di realizzare il loro potenziale”. Leggi tutto “Walmart vs. Amazon. La sfida tra i due giganti continua.”

Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa

Nel mondo, il valore del falso Made in Italy agroalimentare è salito ad oltre 100 miliardi di euro in costante aumento nell’ultimo decennio. Parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che richiamano all’Italia vengono associati ad alimenti che evocano il nostro Paese ma non vi hanno nulla a che fare. Aggiungo che nel 2019 le importazioni di merci contraffatte e piratate in Italia erano pari a 8,7 miliardi di Euro. Tra il 2008 e il 2021 sono stati quasi 208 mila i sequestri per contraffazione, con un quantitativo di circa 617 milioni di articoli falsificati sequestrati, per un valore economico stimato della merce sequestrata di oltre 5,9 miliardi di euro.

L’Italia è il quarto Paese più colpito al mondo dalla contraffazione dopo Stati Uniti, Francia e Germania. Tutto ciò ha gravi conseguenze sul lavoro: secondo la Camera di Commercio Internazionale, per l’anno in corso, si prevede che a livello mondiale i posti di lavoro messi a rischio dal mercato grigio ammontino a 5,4 milioni. Nel 2022 Amazon ha rimosso dalla rete di distribuzione globale oltre 6 milioni di prodotti contraffatti e ha bloccato, prima che pubblicassero un’offerta, oltre 800 mila tentativi di creare nuovi account di vendita, un numero in calo rispetto ai 2,5 milioni di tentativi nel 2021 e ai 6 milioni del 2020.

Per quanto riguarda i cloni di fragranze non si può parlare di contraffazione semplicemente perché un odore non può essere brevettato. Solo il nome del marchio, il nome del profumo, la descrizione e l’imballaggio possono essere protetti dalla legge. Le aziende produttrici di profumi potrebbero brevettare i prodotti, ma per farlo dovrebbero divulgare le loro formule. Per questo in rete, nei supermercati o nei discount, cosmetici e profumi che assomigliano ai marchi più celebrati si sono trasformati in una moda che attraversa il mondo intero.

La Dupe Culture è un fenomeno culturale nato negli Stati Uniti che poi si è diffuso in ogni parte del mondo, grazie anche alle piattaforme social. Le generazioni più coinvolte sono la Z (nati dal 1995 al 2012) è i millenial (dal 1981 al 1994).  Generazioni che amano ostentare oggetti di lusso pur non potendoseli permettere. Lo scopo è quindi comprare abiti, accessori e cosmetici che sono simili a quelli firmati, ma a un prezzo accessibile. I dupes sono in pratica delle riproduzioni abbastanza fedeli di un prodotto di un brand di abbigliamento o di cosmetica. Leggi tutto “Italian sounding, contraffazione e dupe culture. Quando l’imitazione diventa una moda e la trovi nel supermercato sotto casa”

Grande Distribuzione e inflazione. Analogie e differenze con il caso del Belgio

La reazione dura della Grande Distribuzione italiana contraria alle richieste di aumento arrivate già verso la fine del 2021 da parte dell’industria è andata ben oltre le normali dinamiche tra fornitori e buyer. Ha coinvolto i diversi leader delle insegne e dell’industria di marca. La preoccupazione vera in GDO non era solo quella di essere additati come la causa principale del “caro carrello”. I più attenti avevano compreso che una volta accettata la spirale degli aumenti le dinamiche che ne sarebbero seguite sarebbero state difficilmente controllabili. Soprattutto impossibili da recuperare in corso d’anno. Purtroppo sta andando così.

Il rientro dei costi delle materie prime non ha effetti immediati sul carrello della spesa e i fornitori si dimostrano poco disponibili a rinegoziare i contratti firmati in corso d’anno in un contesto economico così fluido. Questo provoca effetti collaterali tra le insegne e tra i diversi formati e accentua le situazioni di crisi in atto in molti punti vendita. Resta la necessità di governare una fase che rischia di protrarsi nel tempo erodendo la fiducia dei consumatori e sul tavolo un CCNL da rinnovare.

I fatturati spinti dall’inflazione propongono ad una lettura superficiale un settore in salute, i margini e i volumi del venduto suggerirebbero maggiore cautela nelle analisi. Si rischia la media del pollo di Trilussa. Alcuni segnali andrebbero colti con maggiore attenzione. Penso alla chiusura di punti vendita, alla deregulation sul costo del lavoro con l’adozione di contratti di lavoro locali, ai continui passaggi di mano di punti vendita di medio grandi dimensioni, la loro terziarizzazione e l’attenzione al contenuto del carrello della spesa da parte dei consumatori. La situazione economica presenta incertezze di contesto e forse sarebbe utile cercare di comprendere cosa sta avvenendo altrove dove la GDO è entrata in una situazione di affanno e difficoltà complessiva come in Belgio.

Le principali insegne del Paese vanno dai 500 milioni di euro circa di Intermarché agli 8 miliardi di Colruyt passando dagli oltre i 5 miliardi di Delhaize, i 4,5 di Carrefour, i 3 di Aldi e i 2 miliardi di LIDL, più, ovviamente, molti piccoli e medi operatori locali). Secondo un recente studio condotto dalla rivista commerciale Gondola e dalla società  Graydon Creditsafe (esperti di analisi del mercato belga) un supermercato su sei in Belgio sta affrontando problemi strutturali. Ciò equivale a circa il  16,2% del mercato, o circa 576 negozi in totale. Le cause sarebbero da ricercare nella crisi energetica, i costi di gestione,  l’alta inflazione e la forte concorrenza tra insegne. I margini sono scesi ai minimi storici. Leggi tutto “Grande Distribuzione e inflazione. Analogie e differenze con il caso del Belgio”

Amazon sta girando a vuoto nel retail…

Ho sempre pensato che il vero obiettivo di Amazon resti quello di scavalcare il mondo tradizionale del retail puntando a ridisegnarlo completamente.  Soddisfare il cliente interpretandone gusti e tendenze bypassando però la necessità di portarsi appresso la spesa attraverso una logistica rivoluzionata dalla tecnologia e negozi che, oltre a esporre la merce in modo più o meno tradizionale dovrebbero essere in grado di proporre un’esperienza di consumo più coinvolgente.

Qualcosa che riesca  ad  andare oltre il tanto teorizzato omnichannel dove i modelli del negozio fisico e digitale coesistono ma restano separati. L’obiettivo è arrivare  a fondere in un’unico canale l’offerta perché al centro riesce finalmente a mettere (non a parole)  il cliente, le sue esigenze ma anche, attraverso la tecnologia,  le sue potenziali aspettative. Una rivoluzione non solo negli USA dove lo scontro è tra antagonisti con strategie e risorse economiche impegnate di pari livello ma destinata inevitabilmente a propagarsi ovunque attraverso concentrazioni e acquisizioni di realtà avanzate nel campo della tecnologia, della logistica al servizio dell’intera filiera e delle eccellenze del retail funzionali a questo disegno.

In questo senso l’acquisizione da parte di Amazon di Whole Foods (16 giugno 2017) sembrava un primo passo compiuto più per comprendere un mestiere (il “fresco” e la sua gestione) estraneo alla cultura della multinazionale di Seattle. Non dimentichiamo che quando Amazon ha sborsato 13,7 miliardi di dollari per Whole Foods il mondo del retail ha tremato. Hanno tutti pensato che l’azienda di Jeff Besoz  avesse già le idee chiare su come creare un nuovo formato in grado di operare una sintesi tra innovazione tecnologica, iper-convenienza e proposta illimitata (anche) di generi alimentari. Non era così.

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Esselunga non allunga e gli inseguitori si avvicinano…

Una degli accadimenti   che mi avevano lasciato abbastanza perplesso ai tempi dell’operazione Auchan da parte di Conad è stata la scarsa determinazione messa in campo sulla possibile espansione del Consorzio nella  città di Milano. Pensavo fosse uno delle premesse della strategia alla base dell’acquisizione: entrare finalmente nella città dove la lotta per la leadership avrebbe avuto ben altri connotati. Conad ha però preferito girare al largo.

Ha ceduto  ad altri l’onere di fronteggiare in casa Esselunga. Una ritirata, come si è scritto,  imposta dagli equilibri interni o conseguente alle determinazioni dell’ antitrust  oppure una difficoltà intrinseca del Consorzio in una città così diversa dalle altre. Certo, Auchan era ormai in caduta e pretendeva ben altre priorità, ma tant’è. L’impressione esterna è stata questa.

Come ho già scritto il solco che separa la prima della classe a Milano e non solo dal resto delle insegne è ancora evidente. Ovviamente Esselunga non è solo Milano. I risultati 2022 lo confermano. L’azienda ha chiuso il 2022 con ricavi in aumento del 3,2% a 8,83 miliardi, con una accelerazione nel secondo semestre che indica un +6,7%. Completato il riassetto societario tutte le società del gruppo Esselunga sono interamente di proprietà di Marina Caprotti e della madre Giuliana Albera. In tempi di inflazione è fuorviante osservare fatturati e l’anno ormai alle spalle. I volumi di vendita hanno comunque sofferto. Esselunga dichiara un calo dell’1% contro una media del 3,4% della GDO. È però la media del pollo di Trilussa. Non tutti lamentano questo calo. L’ebitda è sceso a 501,4 milioni dai 689,7 del 2021. Ha pesato anche il costo dell’energia, quasi raddoppiato rispetto all’anno prima.

Per un milanese andare a Esselunga è comunque altra cosa che andare al supermercato. E il “supermercato” sono le altre insegne accumunate dal destino di assomigliarsi un po’ tutte. Credo come per altri nei rispettivi territori di insediamento. Qualcuno ha provato nel tempo ad insidiare Esselunga  con proposte commerciali tarate su fasce particolari di consumatori  ma la distanza da colmare è sempre stata troppo ampia e le risorse messe in campo dalla concorrenza tutto sommato abbastanza  modeste.
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Grande Distribuzione e sponsorizzazioni.

Le sponsorizzazioni sono una cosa seria. Se usciamo dalla logica dei comunicati ufficiali e dalle tifoserie pro o contro l’assegnazione ad un’azienda tedesca sia della qualifica di Premium Partner che della fornitura dell’ortofrutta italiana alla nazionale di calcio che hanno accompagnato l’assegnazione del 2019, dobbiamo prendere atto che queste sono  scelte sempre molto ponderate. Tra tutti coloro che si sono lamentati e che avrebbero potuto “scendere in campo” al posto di LIDL nessuno  si è mai fatto avanti a quelle cifre.

E credo che anche nel recente passaggio di consegne tra LIDL e Esselunga abbia pesato la volontà dell’azienda tedesca di spostare il suo investimento  ad un livello più alto e diventare sponsor UEFA. Dal 14 giugno al 14 luglio 2024 le nazionali di calcio europee si sfideranno in Germania, in dieci differenti città. In palio il titolo di Campione d’Europa. Dal marzo 2023 al marzo 2024 si svolgerà la fase di qualificazione che designerà le finaliste che, a loro volta, scenderanno in campo per disputare le 51 partite del torneo finale. In qualità di Partner Ufficiale, LIDL, sarà sponsor sia delle Qualificazioni Europee sia del torneo finale UEFA EURO 2024. Una collaborazione di altissimo livello: Lidl, infatti, conta oggi più di 12.000 punti vendita in 31 paesi, 30 dei quali proprio in Europa.

Il direttore marketing UEFA, Guy-Laurent Epstein, ha dichiarato: “UEFA è orgogliosa di dare il benvenuto a Lidl come partner ufficiale delle Qualificazioni Europee e di UEFA EURO 2024. La presenza di Lidl in tutto il continente darà un forte contributo alla promozione di quella che sarà un’altra competizione indimenticabile. Siamo lieti di sostenere insieme i valori della salute e del benessere condivisi da Lidl e UEFA”. Eduardo Tursi, amministratore delegato acquisti e marketing di LIDL Italia ha sottolineato: “Siamo entusiasti di essere parte di un evento che appassionerà milioni di persone in tutto il nostro continente e, in primis, i nostri 21 mila collaboratori in Italia e gli oltre 360 mila a livello mondiale. Così come i nostri prodotti sono accessibili a tutti, vogliamo contribuire a rendere UEFA EURO 2024 un’esperienza collettiva unendoci nel tifo calcistico sempre all’insegna della sana alimentazione“.

Nessuno ha scalzato nessuno quindi. Queste cose non accadono all’improvviso. È bastato un giro di telefonate ad alto livello politico con alcuni tra  i principali CEO del comparto per chiudere la partita. In questo momento Esselunga era l’unica realtà in grado di rispondere “Presente!” al desiderio, manifestato dal Governo, che avrebbe voluto contare su una sponsorizzazione “nazionale”. Leggi tutto “Grande Distribuzione e sponsorizzazioni.”

FICO. Con un’idea non si mangia…

“Un’idea un concetto un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione” cantava Giorgio Gaber. Eppure FICO sembrava promettere uno sviluppo interessante. Il luogo dove è stato realizzato, è apparso però subito un azzardo. Eppure per Oscar Farinetti si può parafrasare quello che Voltaire aveva coniato per i banchieri svizzeri. “se vi capita di vederlo saltare da una finestra, seguitelo. Di sicuro c’è qualcosa da guadagnare”.

In fondo è sempre stato così. Ed è quello che avranno certamente pensato i vertici di Coop Alleanza quando  hanno scommesso sulla riuscita certa dell’operazione FICO in quel di Bologna. La Disneyland del cibo purtroppo sì è presto dimostrata un flop. Non era però difficile prevederlo. Avevo già scritto qualche mese fa il mio pensiero sull’intera operazione (https://bit.ly/3BH6jQL). Solo la visione e la capacità di tessere alleanze del suo fondatore poteva far nascere  un progetto che personalmente continuo a pensare intelligente per il nostro Paese realizzandolo in un luogo che non  poteva funzionare.

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