Grande Distribuzione e industria alimentare tra inflazione, consumi e responsabilità

Il balletto ormai inarrestabile intorno a chi deve farsi carico dei costi che gli aumenti delle materie prime e dell’energia stanno determinando ricorda un po’ un vecchio gioco di carte noto in tutto il mondo. A Milano e dintorni si chiama “Peppa Tencia” (Peppa scura). L’obiettivo dei giocatori è non avere in mano la donna di picche quando il gioco si chiude. In questi giorni la “carta” è stata  rifilata maldestramente ai benzinai dalla politica e da alcuni media. Presto toccherà ad altri.

Temo che, prossimamente, rischia di finire alla Grande Distribuzione se non ci sarà un passo in avanti  dell’associazionismo delle insegne e tra queste ultime e la filiera a monte nel rapporto con il Governo in termini di condivisione e responsabilità. L’industria alimentare ha premuto fino ai “confini” del 2022 con le sue richieste all’intera GDO di  circa 1.200 aumenti di listino per complessivi incrementi nominali superiori al 20% come ha sottolineato recentemente Giorgio Santambrogio VP di Federdistribuzione. Solo dai primi giorni del 2023 ad oggi  siamo a  500 richieste di aumenti, per oltre 16 punti. Tutti necessari?

Per Francesco Mutti, Presidente di Centromarca, gli aumenti dei listini sono giustificati e quindi c’è poco da discutere con la GDO. L’aumento dei costi, secondo lui, rischia di mettere fuori gioco molte imprese industriali. C’è una disponibilità  ad aprire un tavolo ma solo se sarà il Governo a gestirlo.  E se ci saranno delle contropartite credibili per loro. Al di là dei toni utilizzati per difendere il proprio perimetro il problema delle richieste di aumento dei listini da parte dell’industria alimentare rischia di innescare una spirale dagli esiti imprevedibili. Il 2022 si è chiuso con un’inflazione che ha colpito in modo pesante soprattutto le famiglie meno abbienti.

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Grande Distribuzione e lavoro. Il contratto nazionale che non c’è.

Come ho scritto a suo tempo (https://bit.ly/3HE2vV1) la firma del “protocollo straordinario di settore” di dicembre (https://bit.ly/3j0lD5r) è stato un fatto positivo. Rimettere intorno ad un tavolo comune (per i contenuti concordati) le diverse associazioni (Confcommercio, Federdistribuzione, Confesercenti e Coop) per confrontarsi con il sindacato di categoria sull’esigenza di arrivare nel 2023 alla firma dei rispettivi CCNL è stato un buon passo in avanti per una vicenda che rischiava di trascinarsi nel nulla cosmico per responsabilità dell’intera rappresentanza datoriale.

Certo le incertezze del  contesto e delle prospettive economiche non hanno incentivato il confronto ma qui c’è dell’altro. Innanzitutto la paura delle diverse associazioni del dumping salariale altrui utilizzato per difendere/incrementare la base associativa. Essere titolari di un contratto nazionale conferisce uno standing ambito. Definisce il perimetro rappresentato. Riuscire poi ad ottenere dalla stessa controparte sindacale uno “sconto” sul costo complessivo, definito da altri, convince i propri associati di essere meglio tutelati dalla propria associazione che da altre sigle. Salvo sottovalutare che, al rinnovo successivo (e oggi siamo qui) lo sconto ottenuto da alcuni toglie credibilità a chi lo ha concesso e insinua un clima di sfiducia complessiva sulla capacità  di sottoscrivere e mantenere i patti.

Un errore da matita blu che ne ha innescato un altro altrettanto pernicioso. Alcune imprese, visto la facilità con cui le associazioni principali si scavalcavano l’un l’altra con il beneplacito dei sindacati di categoria e sollecitate dai propri consulenti del lavoro, sono andate ben oltre azzerando i vecchi contratti in essere e modellandosene di nuovi a livello locale sulla propria struttura  organizzativa in modo assolutamente legittimo. Superare questa situazione non sarà facile. Il protocollo di dicembre ne ha rappresentato, però, un primo passo.

Recuperato per quanto possibile un clima di confronto costruttivo nei prossimi appuntamenti sarà necessario entrare nel merito. E qui casca l’asino. Da parte datoriale Confcommercio e Confesercenti, essendo confederazioni,  hanno una competenza tecnica in grado di affrontarne i contenuti per la dimensione politica che li alimenta e ne neutralizza in parte gli effetti concreti più indesiderati presenti in tutti i contratti. Federdistribuzione, no. La “base” delle due confederazioni  sono funzionari associativi esperti e allineati mentre Federdistribuzione ha, come interlocutori diretti, le imprese che notoriamente misurano i risultati rispetto al loro perimetro e alle loro specifiche esigenze. Una differenza non da poco…
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Grande Distribuzione, PMI e l’apologo del calabrone…

Girando per i corridoi affollati della fiera di Bologna dove si è appena chiusa Marca 2023, la più importante manifestazione in Italia tra insegne della distribuzione moderna con  piccole e medie imprese dell’industria alimentare che, insieme, danno vita a quella che viene chiamata “Marca Del Distributore”, ci si rende conto in modo plastico che il nostro Paese è molto più avanti di quello che ci sentiamo raccontare ogni giorno.

“La MDD può contribuire in modo decisivo alla domanda di tutela del potere di acquisto delle famiglie, e, allo stesso tempo rappresentare una soluzione sostenibile per la tenuta delle imprese distributive e dei partner industriali che la realizzano” ha sostenuto con convinzione il Presidente di ADM Marco Pedroni.

Osservando da vicino questo brulicare di insegne semi sconosciute e di persone che non si fermano mai orgogliose del proprio lavoro non si può non ripescare  il famoso apologo del vespide le cui ali non potrebbero sopportare il peso del corpo che a rigor di fisica dovrebbe sbilanciarne il volo; ma il calabrone lo ignora e per questo continua a volare. È questa la dimensione che percepisci in questi corridoi strapieni di umanità varia.

Certo è “solo” una fiera e da domani probabilmente tutto è destinato a tornare come prima ma da qualche parte occorre pur iniziare se si vuole cominciare a pensare più in grande e giocare nella massima divisione. E questo è un ottimo punto di partenza. Innanzitutto da questa iniziativa ci si porta a casa che c’è uno spazio vero per scrivere una storia non subalterna   per una GDO protagonista vera nella filiera agroalimentare. Basterebbe volerlo. Leggi tutto “Grande Distribuzione, PMI e l’apologo del calabrone…”

Grande distribuzione e lotta all’inflazione…

Il Governo francese sta lavorando con la Grande Distribuzione a un “cesto anti-inflazione”. Si punta ad un paniere di beni di prima necessità composto da  una ventina di prodotti, che la GDO si dovrebbe impegnare a vendere quasi a prezzo di costo. Secondo l’entourage del ministro Olivia Grégoire “L’idea è di avere una base di beni di prima necessità i cui prezzi sono i più bassi possibili che comprende prodotti che vanno dall’igiene del bambino all’igiene degli adulti, ai latticini, ai prodotti freschi, alla pasta.un paniere anti-inflazione che dovrebbe far leva su un impegno volontario dei distributori e dei loro partner di filiera piuttosto che definito da disposizioni legislative o regolamentari. È il risultato di un confronto positivo a 360° necessario in fasi come queste.

Da noi è, per il momento,  difficile pensare ad un simile gioco di squadra. L’industria sta provando a scaricare a valle l’aumento di costo  delle materie prime e dell’energia che pur ci sono. Le imprese della  GDO, forse sottovalutando il contesto geopolitico  e a causa della competizione tra le diverse insegne,  hanno cercato di  assorbire  una quota molto significativa dell’aumento dei prezzi per buona parte del 2022 pagandolo in termini di margini e il Governo ha dovuto innanzitutto considerare le sue priorità nella legge di bilancio pur mettendo in campo circa 35 miliardi di euro per i sostegni alle imprese e alle famiglie.

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Il 2023 può essere l’anno di una nuova centralità del lavoro?

Il “rischio” che si perdessero molti posti di lavoro ha accompagnato pandemia e ripartenza. Il peso di un comparto si è sempre calcolato per la sua incidenza sul PIL e dal numero di occupati impiegati. Ci sono sempre in gioco “migliaia di posti di lavoro” come conseguenza di ogni in-decisione politica. La “quantità” coinvolgibile  è stata per lungo tempo il termometro del buon andamento o meno della società. Il lavoro purchessia, innanzitutto.

È un criterio di misurazione che viene da lontano. La stessa querelle sulla “congruità”delle eventuali offerte per superare il reddito di cittadinanza ne rappresenta una conferma. Quando si parla del lavoro degli “altri” la qualità dello stesso, la sua remunerazione, il grado di soddisfazione, per chi ne è coinvolto, rischia di passare in secondo piano. Averlo o non averlo ha sempre rappresentato il discrimine sociale principale.

Ma è ancora così? Oggi sembra esserlo sempre meno.

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La marcia in più dei Discount. Il caso di Netto Marken-Discount..

“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”  Seneca  

Netto Marken-Discount è un discount tedesco un po’ diverso dagli altri. Innanzitutto non opera nel nostro Paese e questo può aiutare la riflessione evitando endorsement più o meno intenzionali. Mi ha incuriosito, dopo una lunga  chiacchierata con alcuni suoi manager, soprattutto per la  strategia scelta e per la volontà/capacità di innovare,  sperimentando a 360° e anticipando tendenze interessanti per l’intera GDO tedesca e non solo. I discount continuano imperterriti e ovunque la loro marcia trionfale. Giocano a tutto campo mentre la GDO tradizionale sembra arrancare. L’alternativa, per chi vuole stare in partita,  non può però limitarsi a tenere botta tra i discount e i giganti della rete sui temi della convenienza o sulla rapidità della consegna.

Certo è più semplice per chi aggiunge servizi e innovazioni, che prima non proponevano ai loro clienti,  partendo da un modello più leggero, come fanno i discount, rispetto a chi deve declinare, da un modello ridondante e affermato, dovendo ripensare la sua ragion d’essere. Per questo i discount, pur nelle diverse configurazioni, vanno osservati immaginando le loro possibili traiettorie più che limitarsi a fotografarne i risultati e le performance attuali. Oggi partecipano ad un campionato facendo sostanzialmente gara a sé. Ma il futuro riguarda tutti coloro che comprendono, prima e più degli altri,  che non va atteso ma è già cominciato.

Netto Marken-Discount appartiene al Gruppo Edeka (63 miliardi di fatturato, oltre 400.000 collaboratori, 11.000 PDV): in Germania ha fatto spesso parlare di sé, in passato, per le polemiche sullo stile di gestione dei lavoratori ritenuto piuttosto spregiudicato. Credo che l’ossessione sui costi abbia spinto, nelle fasi di crescita,  un po’ tutto il comparto ad insistere su quell’aspetto, rispetto ad altri, con risultati tutto sommato modesti, nel lungo periodo. È un po’ il cane che si morde la coda.

Il costo e la flessibilità  del lavoro come leva centrale (a volte esclusiva) della gestione ha condizionato tutto il comparto.   Da noi questo si è trasformato in un parziale autogol nell’immaginario collettivo e per i media che, più degli ottimi  risultati sul piano occupazionale, hanno insistito  sulla qualità dello stesso. Dal cosiddetto lavoro povero al part-time involontario fino al lavoro festivo o al mancato rinnovo del CCNL che continuano a pesare in termini di credibilità complessiva  del comparto e quindi di ascolto a livello politico unito alle persistenti quanti inutili divisioni associative. Oggi,  non solo in Germania,  questa fase è sostanzialmente alle spalle. Leggi tutto “La marcia in più dei Discount. Il caso di Netto Marken-Discount..”

Quando la formazione professionale dà spazio ai pensieri, alle idee e ai sogni degli studenti

Se c’è un’area dove la Confcommercio e i suoi partner sociali hanno lavorato più di altri negli anni  è certamente quella del welfare contrattuale e soprattutto della formazione. Se ci concentriamo sulla seconda, enti formativi come il CFMT (centro di formazione manager del terziario) discendenti dal contratto nazionale dei dirigenti e Quadrifor per i quadri del terziario inserito nel CCNL di categoria rappresentano certamente una risposta nata in tempi dove la formazione, l’aggiornamento delle competenze professionali e personali non erano certo priorità per la negoziazione sindacale.

Una visione che è sempre stata nelle corde della confederazione di Piazza Belli che ha sempre messo al centro della propria iniziativa, la necessità di formare non solo manager e dipendenti delle imprese più grandi ma gli stessi piccoli imprenditori e i loro potenziali collaboratori che, finita la scuola dell’obbligo, per i motivi più vari non proseguono gli studi e si affacciano al mondo del lavoro. I numeri parlano chiaro e presentano Confcommercio come il principale erogatore privato di formazione professionale in Italia. E questo quasi in ogni realtà territoriale dove la Confederazione è presente.

Da qui la notizia positiva con la quale chiudere l’anno. La Fondazione Capac (Politecnico del commercio e del turismo di Milano) ha ottenuto un finanziamento di 1,3 milioni con cui la scuola potrà attuare importanti interventi strutturali di ristrutturazione e riqualificazione dei laboratori didattici – cucina, meccanica, meccatronica, digital, pet care – per migliorare ed accrescere la formazione al lavoro svolta in un’area della periferia milanese che presenta condizioni di fragilità economico-sociale.

Non è una sede qualsiasi quella di via Amoretti a Quarto Oggiaro, un quartiere periferico di Milano dove rafforzare il collegamento tra formazione e lavoro, e proseguire nell’azione di integrazione, inclusione e contrasto alla dispersione scolastica resta una priorità assoluta. Il progetto “Quarto Viva” promosso dalla Fondazione Capac punta a creare un polo di riferimento, rivolto alle imprese, per collegare la formazione scolastica al lavoro nel commercio, nel turismo, nei servizi e nell’artigianato. Leggi tutto “Quando la formazione professionale dà spazio ai pensieri, alle idee e ai sogni degli studenti”

Ortofrutta: il tallone di Achille della Grande Distribuzione

Non è compito del tuo cliente ricordarti.
È tuo obbligo e responsabilità accertarti
che egli non abbia  la possibilità di dimenticarti.
Patricia Fripp

Netto Marken-Discount è un discount tedesco. È finito sotto i riflettori nostrani per il super sconto su alcuni prodotti ortofrutticoli prima di Natale: Eurospin quindi non è più sola con il panettone a Natale e l’anguria a ferragosto con i suoi “prezzacci”. La promozione di Netto è meno semplice   quanto altrettanto efficace. Direi molto tedesca. Per un acquisto minimo di 30 euro, vengono offerti cinque prodotti ortofrutticoli sostanzialmente  per un centesimo. Promozione ovviamente limitata ad una sola confezione per ciascuno dei cinque prodotti in vendita.

Ortofrutta  di provenienza spagnola, tedesca, marocchina, belga e Paesi Bassi (melanzane, pompelmo, pere, cavolo di Bruxelles, pomodori). Nessun prodotto italiano. Più che prendermela con la promozione come fanno alcuni  detrattori nostrani mi domanderei se è un bene o è un male la nostra assenza in quel paniere visto che, in Germania, le nostre esportazioni restano sempre dietro Olanda e Spagna.

La prima riflessione riguarda la raccolta dei prodotti oggetto della promozione in quei Paesi e il conseguente sfruttamento degli addetti. In Italia è fonte di continue accuse nei confronti della GDO. Da qui le polemiche che hanno portato alla legge sulle aste al ribasso che ha individuato un colpevole di comodo senza rimuovere alcun  sfruttamento degli immigrati che, al contrario,   è continuato nei nostri campi come e più di prima. Nel caso tedesco, olandese, belga o spagnolo c’è meno provincialismo nelle accuse  visto che la narrazione prevalente propone che leggi e contratti di lavoro sono assolutamente rispettati.

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“Sovente constatiamo che il mondo non cambia ma tuttavia continuiamo a credere e sperare che val la pena di tentare e ritentare di cambiarlo”. Enzo Bianchi

Buon Natale e buon 2023 a tutti!

Grande Distribuzione e Industria. Il rischio di un conflitto di interessi destinato a provocare danni reciproci

Per ora il Natale sul piano dei fatturati non decolla. E stiamo parlando grossomodo dei 23 miliardi circa che consentono alle vendite al dettaglio di realizzare il 25% in più del resto dell’anno non solo nella GDO.  Già a novembre  Carlo Buttarelli dell’ufficio studi di  Federdistribuzione lo aveva anticipato: “ La tenuta dei consumi nelle prossime settimane, le ultime dell’anno, sono fondamentali per i bilanci delle imprese della Distribuzione Moderna”. Solo in prodotti alimentari e bevande parliamo di circa 15 miliardi di euro. Quante di queste vendite mancheranno all’appello lo sapremo tra poco. La preoccupazione però è forte nella GDO e non solo.

L’elevata inflazione causata dalla crisi energetica, scoppiata lo scorso anno e amplificata dopo l’invasione dell’Ucraina, condiziona le scelte dei consumatori rallentandone gli acquisti. Si profila un quadro preoccupante, che potrebbe avere il suo epicentro nel 2023. In questo contesto  sale di tono la polemica tra Grande Distribuzione e Industria sulle richieste di quest’ultima di adeguamento dei listini. Le dichiarazioni alla stampa di settore e ai quotidiani non lasciano spazio a dubbi. Maniele Tasca, direttore generale di Selex, ha lanciato il primo allarme: “I risultati del 2022 ci soddisfano ma siamo molto preoccupati dall’effetto che l’incremento dei prezzi sta determinando sui consumi in queste ultime settimane. Abbiamo esaurito la capacità del settore di assorbire gli aumenti dei costi di gestione e per limitare il rischio di ulteriore inflazione abbiamo chiesto ai fornitori di sospendere gli aumenti di listino per i prossimi mesi, in attesa si definisca meglio il contesto di riferimento del 2023“.

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