La sfida della sostenibilità è un obiettivo di filiera. Il caso Ahold Delhaize USA

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Comunicare iniziative, pomposamente definite   di  “sostenibilità” e impegnarsi a promuoverle e realizzarle a 360° nel tempo sono cose diverse. Soprattutto dove  la GDO ha spesso solo un ruolo di semplice “sollecitatore di sostenibilità” tra le filiere a monte e il consumatore finale. A volte, però,  sceglie di essere  protagonista e di fare la propria parte.  Il caso che condivido oggi è interessante e coinvolge il retailer Ahold Delhaize USA con i suoi marchi locali (Food Lion, Giant Food, The Giant Co., Hannaford e Stop & Shop). Il progetto nasce da una collaborazione con la società di snack Kellanova e Bartlett, uno dei principali esportatori statunitensi di grano e produttore di un’ampia gamma di farine.

L’accordo mira alla conservazione e al miglioramento del suolo, creando un approccio specifico per le colture, il clima e il terreno. Un progetto pilota “dal campo allo scaffale” per ridurre le emissioni lungo la catena del valore.  L’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra (GHG) dalla coltivazione/produzione  del grano lungo la filiera previsto  dal cosiddetto “scope 3” (le emissioni di gas a effetto serra che derivano dalle attività della catena del valore di un’azienda che non vengono svolte direttamente attraverso le sue operazioni. Suddivise in 15 categorie comprendono, ad esempio, le emissioni provenienti dai fornitori dell’azienda o quelle rilasciate attraverso l’uso dei suoi prodotti). 

Questo è il primo programma nel suo genere sia per Ahold Delhaize USA che per Kellanova. Il progetto si concentrerà sugli agricoltori che hanno già implementato pratiche agricole rigenerative. Il grano raccolto e macinato da queste fattorie verrà utilizzato insieme al grano coltivato in modo convenzionale per produrre gli iconici cracker Cheez-It® e Club® di Kellanova. Questi prodotti saranno venduti nei 2000 negozi del marchio locale di Ahold Delhaize USA dal 2025. Il programma unico – il primo del suo genere per Ahold Delhaize USA e Kellanova – prevede la collaborazione di parti interessate di tutta la catena di approvvigionamento – dal campo al mulino, dall’impianto di produzione allo scaffale – per sostenere economicamente gli agricoltori statunitensi riducendo al contempo le emissioni di gas serra.

“Il 95% delle emissioni di Ahold Delhaize USA risiedono nello Scope 3, il che rende questo programma  importante”, ha affermato Marc Stolzman, Chief Sustainability Officer di Ahold Delhaize USA. “Non solo ci aiuterà nella nostra corsa verso Net Zero, ma i dati ci aiuteranno a tracciare il nostro percorso futuro per le collaborazioni Scope 3” con tutti i nostri fornitori. “Le realtà di Ahold Delhaize USA si impegnano così a offrire prodotti alimentari più sostenibili e contemporaneamente  a creare un pianeta più sano”, ha affermato JJ Fleeman, CEO di Ahold Delhaize USA. Leggi tutto “La sfida della sostenibilità è un obiettivo di filiera. Il caso Ahold Delhaize USA”

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Top women crescono. Manager al femminile nel Retail USA.

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Per interesse, cultura e passione mi piace seguire le carriere dei manager. I risultati raggiunti, le battute di arresto, le ripartenze. Se chi li sostituisce li supera o è addirittura più scarso. Alcuni li ho visti crescere, altri mi incuriosiscono per le sfide che hanno accettato o nei loro diversi passaggi di carriera. Settimana scorsa ho pubblicato una chiacchierata con Daniele Cazzani. Visto l’importante riscontro sul blog ne seguiranno altre nelle quali coinvolgerò manager che stimo e che mi fa piacere condividere con la rete.  Portarli sotto i riflettori. Spesso si tratta di risorse nascoste ai più. Giusto farle notare sottolineandone le performance, le aspettative e le idee. A me, più delle aziende, le migliori si assomigliano un po’ tutte,   piacciono le persone. Sempre diverse una dall’altra. L’impegno e la determinazione che mettono nel lavoro. La loro capacità di coinvolgere i collaboratori. Cosa lasciano dietro di sé. E, in caso di battute di arresto  cosa possono dare, con un rinnovato entusiasmo, altrove.

Oggi affronto un’iniziativa  del mercato USA. Un po’ per condividerlo con il gruppo  “donne del Retail”(www.donnedelretail.it) che in questi giorni festeggia il suo primo anniversario, un po’ per scoprire nuovi talenti. Parliamo di manager al femminile. Il riconoscimento di Progressive Grocer (Top Women 2024) mi consente di rilanciare alcune riflessioni che condivido sul tema, indicando sia manager USA che seguo da tempo che qualche new entry. L’editoriale di PG insiste sulla necessità che le manager che si fanno notare per le loro capacità facciano da apripista nelle loro organizzazioni e stabiliscano nuovi standard d’accesso per chi viene dopo.

L’analisi è purtroppo ancora amara “le donne continuano a perdere terreno quando si tratta di avanzamento di carriera nel mondo retail. Lì, come in altri Paesi,  più di due terzi della forza lavoro nel settore è composta da donne ma sempre indietro quando si tratta di ruoli apicali. Negli USA, secondo un’analisi di Korn Ferry pubblicata su Forbes, dei 47 amministratori delegati retail appena nominati l’anno scorso, solo cinque erano donne e 12 donne amministratori delegati in uscita sono state sostituite da uomini. Nel complesso, circa il 90% dei nuovi amministratori delegati del retail sono uomini e solo il 10% donne. Nell’ultimo decennio, molti retailer USA si sono impegnati per colmare il divario di promozione (e retribuzione) di genere, ma i risultati non sono sufficienti. Il rapporto “Women @Work” di Deloitte, pubblicato ad aprile, esamina alcuni dei fattori critici sul posto di lavoro e nella società che stanno influenzando profondamente le possibilità di avanzamento delle donne nella loro carriera.

La domanda da farsi resta la solita. Non serve domandarsi cosa le donne hanno in più rispetto ai candidati uomini per orientarsi alla scelta. Semmai la domanda da porsi è se hanno qualcosa di meno per occupare una determinata posizione. Perché ad una donna manager è sempre richiesto di dimostrare qualcosa di più rispetto a  candidati uomini? La conclusione è amara. Anche se alla base della piramide, nei negozi,  ci sono “tonnellate” di Top Women di talento, non abbastanza stanno arrivando in cima alle loro organizzazioni. Le aziende che vogliono passare dagli impegni all’azione per far progredire le donne sul posto di lavoro dovrebbero concentrarsi sulla formazione, sulla programmazione di una maggiore flessibilità sul lavoro e sulla creazione di una cultura aziendale inclusiva in cui l’equilibrio tra lavoro e vita privata sia apprezzato e rispettato e in cui le donne si sentano supportate nella loro progressione di carriera. Leggi tutto “Top women crescono. Manager al femminile nel Retail USA.”

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Amazon e Unes in autunno si lasceranno. Una fase si chiude. Se ne aprirà un’altra per entrambe?

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Le strade di Amazon Fresh e di Unes si separeranno dal 30 settembre 2024. Amazon nel food continua con PAM Panorama. Mariangela Marseglia Country  manager italia e Spagna nell’intervista al Corriere ha delineato cos’è oggi  Amazon nel nostro Paese. «In dieci anni abbiamo investito quasi 17 miliardi, abbiamo 18 mila dipendenti e oggi contiamo una sessantina di sedi nel Paese, con 37 siti logistici e due nuovi in arrivo, a Jesi (Marche) e Alessandria, dove creeremo rispettivamente nei primi tre anni, fino a mille e fino a 400 nuovi posti di lavoro. Ma continueremo a investire anche sul cloud e questo, come il progetto Made in Italy, avrà ricadute positive sul sistema Paese nel suo insieme».

Sulle  vendite estere delle aziende italiane «l’obiettivo è 4 miliardi di export sulla piattaforma Amazon entro il 2025, oggi siamo a 3 miliardi. L’obiettivo è aiutare le aziende a esportare, specie le Pmi che strutturalmente hanno più difficoltà a muoversi all’estero da sole». Oggi la vetrina Made in Italy è disponibile nei negozi online di Amazon in ben undici Paesi del mondo, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Emirati Arabi Uniti, Svezia, Polonia e Paesi Bassi, per un totale di oltre due milioni di prodotti, di cui 1,2 nel solo negozio Amazon.it, frutto del lavoro di eccellenza di oltre 5.500 aziende italiane.

L’accordo con UNES è durato ben otto anni. Adesso si gira pagina. Amazon Fresh ha aperto i battenti per la prima volta a Milano nel 2015, poi a Roma e Torino. Poi sono seguiti gli accordi. Inizialmente con UNES e Natura Sì poi con PAM Panorama. Dal 9 aprile 2024 Amazon Fresh ha accelerato la sua strategia mettendo a disposizione un servizio di consegna della spesa in giornata a tutti i clienti, compresi quelli non iscritti ad Amazon Prime, residenti a Milano, Roma, Torino e Bologna. Secondo Camille Bur, responsabile di Amazon Fresh per Germania, Italia e Spagna, l’azienda è costantemente alla ricerca di soluzioni per semplificare e migliorare l’esperienza di acquisto dei propri clienti. “Tutti i clienti Amazon di quelle città possono effettuare la spesa online e riceverla comodamente a casa,” ha dichiarato Bur.

Il funzionamento del servizio è semplice: i clienti delle città indicate, residenti in aree coperte dalla consegna, possono ordinare la loro spesa su Amazon Fresh e/o Pam Panorama, scegliendo tra migliaia di prodotti in diverse categorie, come carne, frutta e verdura, latticini, articoli per la cura della casa e della persona. Le consegne avverranno in finestre di due ore, mentre i clienti Prime potranno beneficiare di finestre di un’ora nelle aree coperte dal servizio. “L’obiettivo è anche quello di cercare di valorizzare i diversi territori in cui siamo presenti con prodotti specifici – spiega Manuela Chiara Rosso, responsabile di Amazon Fresh in Italia – quindi abbiamo attivato collaborazioni con fornitori locali: a Bologna per esempio con Forno Brisa, a Roma, Milano e Torino con le rispettive Centrali del Latte. Non solo, cerchiamo sempre di allargare l’offerta in relazione alle richieste dei clienti del territorio, così nel capoluogo emiliano quando siamo arrivati abbiamo subito cercato di potenziare la pasta fresca e i tortellini in particolare”.

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Famiglia cooperativa trentina. Come fermare il declino

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Succede in Trentino per l’importanza della storia e della specificità del modello ma riguarda un tema più generale: la ricerca del contenimento del costo del lavoro nella GDO come leva (tra le altre) per fermare il declino di un punto vendita o di un’azienda. Stiamo parlando di Famiglia cooperativa trentina. Le Famiglie Cooperative, fin dalla logica che ha ispirato il fondatore don Guetti hanno posto al centro la comunità, il cliente e il servizio. Hanno una loro ragion d’essere se perseguono questo obiettivo. Altrimenti esistono altre forme societarie meno vincolanti.

Mantenere il modello ha un costo economico che pesa sui costi dell’impresa (in parte sulla collettività e, altro tema, sulle dinamiche concorrenziali). Fatto salvo il rispetto  di ciò che prevede il CCNL di categoria ogni elemento economico aggiunto che pesa sui costi dovrebbe, a mio parere,  avere un bilanciamento con la produttività dal singolo punto vendita e dall’intero sistema. Altrimenti non regge né il modello né il sistema già gravato da altri handicap.

Le Famiglie Cooperative (dal  1993 hanno un accordo di collaborazione con Coop Italia che definisce l’esclusiva di commercializzazione dei prodotti a marchio Coop per il Trentino) gestiscono 364 punti vendita di cui 229 rappresentano l’unico esercizio commerciale del paese. Di queste 109 sono definiti SIEG (Servizi di Interesse Economico Generale) (saranno circa 120 nel 2024). Per essere definiti in questo modo è necessario essere l’unico esercizio commerciale della propria località ed essere situati in un paese al massimo di 100 abitanti, posto ad un’altitudine di almeno 800 metri e distante non meno di 3 km da un altro punto vendita. I SIEG possono diventare  sempre più uno strumento per l’erogazione di servizi decentrati sul territorio in zone trascurate dal mercato. Di fatto,  multiservizi evoluti. Ad esempio, la prenotazione di visite specialistiche, la stampa di referti medici, l’accesso alla propria cartella clinica, il ritiro di farmaci, il pagamento di bollettini o del bollo auto, il prelievo di contanti e il ritiro documenti anagrafici o autorizzazioni comunali.

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In GDO (nel Sud) crescono giovani interessanti e nuovi progetti imprenditoriali. Il caso Rossotono.

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Non si può non guardare con una certa curiosità al riposizionamento in corso da parte di  Apulia distribuzione. Gli ingredienti per una ricetta diversa dal solito ci sono tutti. Innanzitutto la decisione di mettersi in proprio. Dopo il lungo apprendistato come franchisee di Auchan e poi di Carrefour  i proprietari hanno deciso che è arrivato il momento di metterci la faccia e provare a giocare in un altro campionato. Non ci sono più quindi alle spalle i vecchi  franchisor responsabili di politiche commerciali rigide da aggirare con cautela, non c’è appesa fuori dall’entrata un insegna famosa ma  che al sud è percepita lontana e, di fatto,  mai radicata nel territorio.

Apulia Distribuzione è una realtà importante seppure con una dimensione multiregionale. Presenti  nel commercio all’ingrosso sin dai primi anni ’80, i fratelli Sgaramella nel 2001 fondano Apulia Distribuzione, che nel 2004 sigla un accordo di master franchising con Auchan. Nel 2020 i PDV diventano  Carrefour. L’insegna oggi opera in cinque regioni del sud: Puglia, Calabria, Basilicata, Campania e Sicilia con 378 store, ai quali si aggiunge il format cash & carry all’ingrosso Tuttorisparmio con 4 punti di vendita localizzati in Puglia.  Nel 2023 Apulia Distribuzione ha registrato un fatturato pari a 930 milioni di euro.

Che fosse questo l’obiettivo mai dichiarato lo si era intuito, quando, all’arrivo di Conad, Apulia si era defilata, rivolgendosi poi a Carrefour. Il loro DNA, non si sarebbe integrato alla cultura del Consorzio di oggi. Carrefour era l’ideale. Troppo concentrata su sé stessa e i suoi problemi per comprendere che la relazione con il nuovo franchisee, sarebbe durata comunque poco. Non credo si siano lasciati bene. Il dubbio che Apulia facesse buon viso a cattivo gioco, in Carrefour lo avevano percepito ma non potevano fare altrimenti. A Carrefour ha fatto male l’addio dopo quattro anni di partnership commerciale. Inutile negarlo. Una multinazionale in riorganizzazione che viene mutilata della presenza in alcune regioni non è un bel biglietto da visita per gli osservatori più pessimisti che quotano l’abbandono dal nostro Paese come estrema ratio presente nella testa dei manager chiamati a rimetterla in carreggiata. In fondo le multinazionali, oltre ai vincoli, offrono un ombrello che funziona quando piove ma può  essere d’impaccio quando tira vento alle spalle. VeGè era l’interlocutore ideale proprio per la sua flessibilità. E gli Sgaramella hanno visto, a mio parere, un compagno di strada ideale in Giovanni Arena presidente di VeGè. È un sud che pensa in grande. Verificheremo presto se il ritmo e gli obiettivi delle due realtà sono gli stessi.

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LIDL guarda al futuro e sceglie il WWF..

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Se vogliamo dirla tutta una delle poche aziende italiane della GDO che ci ha sempre creduto è stata Coop italia. A memoria sono passati almeno quarant’anni dalle prime sensibilizzazioni sull’uso delle buste di plastica, i discorsi sul buco nell’ozono tra gli spot  “la Coop sei tu” e il “tenente Colombo”. Nessuna insegna allora aveva  capito per tempo le traiettorie necessarie sul clima, sui consumi consapevoli e sull’importanza delle  catene di fornitura per combattere il lavoro illegale come Coop. Le stesse multinazionali, comprese quelle oggi più attente, non dimostravano  quella sensibilità.

Tante cose sono cambiate da allora. Oggi il rischio, da noi,  è addirittura l’opposto. Predicare bene e razzolare male. C’è tanto green washing in GDO.  Anche perché il tema della  sostenibilità ambientale, di come sono fatti i punti vendita  e dell’alimentazione consapevole sono, per le insegne,  scoperte, tutto sommato  abbastanza recenti. Ovviamente tutti fanno qualcosa. C’è però chi di queste scelte ne fa una strategia di lungo termine perché ha compreso che la sensibilità è notevolmente cresciuta. In diverse realtà, soprattutto multinazionali, si è affermata  una cultura che ha portato alla costruzione di partnership importanti.

Ultima ma non di poco conto, quella tra Lidl, leader europeo della GDO, e il WWF, una delle più grandi organizzazioni indipendenti di tutela ambientale.  Durerà per i prossimi cinque anni e coinvolgerà 31 Paesi dove la multinazionale tedesca è presente. Lidl e WWF hanno già collaborato in alcuni Paesi negli ultimi anni, ad esempio in Svizzera e Austria. In Svizzera l’accordo risale al 2017. La partnership rappresenta un nuovo importante tassello dell’impegno che Lidl porta avanti da anni in ambito di sostenibilità, come parte della sua più ampia strategia internazionale di responsabilità sociale di impresa.

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Selex ha messo la freccia. Sorpasserà o no, Conad nel 2024?

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Selex sul podio c’è già. Nel 2023 non ce l’ha fatta a superare Conad ma c’è andata vicino. Nel 2024 i “magheggi” contabili dovranno essere più sofisticati per mantenere o, al contrario, coprire le distanze.  Nata nel 1964 come Unione Volontaria A&O, Selex chiude il 2023  a 20,2 mdi. 18 imprese, 3.328 punti vendita, oltre 41 mila collaboratori. Nel 2024 punta a superare i 21 mdi.  Un anno dove vuole festeggiare i suoi 60 anni di storia puntando a scavalcare Conad.  La coincidenza sarebbe pari alla soddisfazione  dell’Inter che è riuscita a vincere il campionato  proprio nel derby contro il Milan. Anche se, visto le cifre in gioco,  si dovrebbe parlare più di co-leadership. Però  la competizione ci sta.

È uno stimolo alla crescita e un punto di riferimento  per chi segue le dinamiche del comparto. Soprattutto perché ad averla innescata è stata proprio Conad quando ha sbandierato in ogni dove  il suo sorpasso, nel 2020, su Coop. Mauro Lusetti, presidente Conad però  rilancia sul Corriere intervistato da Rita Querzé: «Al di là degli aspetti muscolari, dello 0,1 o 0,2 in più o in meno, Conad può dire di essere oggi leader incontrastato per due motivi. Prima di tutto perché noi raggiungiamo questo risultato con un’unica insegna che compare su tutti i punti vendita. Per di più un’insegna che, secondo una società di consulenza internazionale come Brand Finance, è all’ottavo posto nella classifica dei 100 marchi italiani con la maggiore forza. Unico distributore nella top ten. E poi perché i nostri punti vendita sono presenti in tutte le Regioni italiane».

Selex però tira dritto. È oggi,  uno dei gruppo più coesi della GDO anche grazie al profilo del suo Direttore Generale Maniele Tasca, “oggetto del desiderio” di altri gruppi della GDO. Presidente riconfermato per il prossimo triennio Alessandro Revello (Dimar). il nuovo consiglio di amministrazione che sarà composto dai due Vice Presidenti: Marcello Cestaro  (Gruppo Unicomm) e Marco Odolini (Italbrix). I sei consiglieri di amministrazione sono: Dario Brendolan (MaxiDì), William Camilletti (L’Abbondanza), Laura Gabrielli (Magazzini Gabrielli), Francesco Murgia (Superemme), Giancarlo Panizza (Rialto- il Gigante) e Francesco Pomarico (Megamark).

Il Gruppo Selex nel 2024 ha, tra le altre iniziative, previsto quattro grandi campagne di comunicazione, supportate da investimenti che da tre anni continuano costantemente a crescere (‘Spesa Difesa’, ‘We Are Famila’, la piattaforma di ecommerce di Selex, CosìComodo, e “Tutti in campo”. Sottolineo volentieri quest’ultima condotta in partnership con la Gazzetta dello Sport con testimonial Roberto Baggio.  Mira a raccogliere fondi per finanziare lo sport dilettantistico e lo scorso anno ha permesso di finanziare con 2,5 milioni di euro l’acquisto di attrezzature sportive. Nel corso del 2023, ottima la performance della Mdd Selex che, grazie alle sue 7.900 referenze, ha messo a segno un balzo del 19,8%. Significativo anche il ruolo del segmento cash&carry, che ha fatto registrare una crescita del 14,2%. In base alle previsioni, il 2024 dovrebbe chiudersi con una crescita del 4,5% a 21,1 miliardi di euro. Selex ha previsto un piano di investimenti da 540 milioni di euro, che porterà all’apertura di 65 nuovi negozi e alla ristrutturazione di 94 punti vendita esistenti. Leggi tutto “Selex ha messo la freccia. Sorpasserà o no, Conad nel 2024?”

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VeGè vuole salire sul podio della GDO.

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I rumors (prontamente smentiti dai protagonisti) annunciavano possibile maretta sullo sfondo dell’assemblea di bilancio del Gruppo VeGè. Da una parte la volontà di accelerare la crescita e l’entusiasmo  interpretati dal Presidente Giovanni Arena, dall’altra la ricerca di un maggiore equilibrio tra esigenze diverse interpretato dall’AD Giorgio Santambrogio. In mezzo i buoni risultati e (soprattutto) i “veneti” attratti contemporaneamente dall’ottimismo della volontà  rappresentato dal Presidente ma anche dal passo lungo e ben disteso dell’AD. Come sempre quando le previsioni del tempo annunciano prematuramente “allerta arancione” tutto tende a rientrare nella normalità. C’è un tempo per ogni cosa. E questo è il tempo nel quale le insegne che fanno capo a VeGè realizzano  ancora ottimi risultati. Altre sfide e ambizioni da soddisfare attendono entrambi i protagonisti in un futuro non lontano.

l’AD Giorgio Santambrogio è nel gruppo dal maggio del 2013 e quello del 2023 è il decimo bilancio consecutivo in crescita per Gruppo VéGé. 3.370 punti di vendita dislocati in modo capillare su tutto il territorio nazionale, il fatturato al consumo, che si attesta a quota 13,78 miliardi, pari al +9,4% su base annua; ciò avvalora le proiezioni per il 2024, con il recente ingresso di Apulia distribuzione ex franchisee Carrefour, che stimano una ulteriore progressione a 15,70 miliardi di € (+14%). Gruppo VéGé si conferma inoltre, sulla scorta delle rilevazioni GNLC-NielsenIQ, l’organizzazione della GDO italiana con il maggior tasso di crescita a livello nazionale nonostante che, alla fine del 2023, Gruppo VéGé e Carrefour Italia non avevano rinnovato l’accordo di collaborazione nell’ambito di Aicube 4.0 e si era conclusa la partnership anche con Metro. Nel 2024, Apulia Distribuzione (326 PDV, 2000 collaboratori, presenza in 4 regioni) è entrato a pieno titolo in Vegè è ha in corso  il rebranding dell’insegna  che si trasforma in “Rossotono”.

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La filiera agroalimentare nazionale. Cosa vale e chi sgomita per rappresentarla

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Sinceramente non so se alla fine si imporrà Prandini o Barilla. Se Mediterranea la spunterà su Filiera Italia, se troveranno un percorso comune   e se la Grande Distribuzione continuerà a non schierarsi. Lo scontro che si è aperto, però, è al calor bianco. C’è in gioco la leadership dell’intera filiera alimentare nazionale e il rapporto con il Governo. L’industria alimentare di marca si sente assediata da tempo. Da una parte l’inflazione ha spinto i consumatori in parte verso  i discount e la marca del distributore, dall’altra Coldiretti con Filiera Italia punta alle singole imprese rinvigorita nel suo protagonismo dal rapporto privilegiato con il Governo.

L’intervista  di Paolo Barilla al Corriere serve proprio a provare a far uscire dall’angolo Unionfood. L’associazione mostra i muscoli mettendo in campo le sue  530 aziende. «I nostri associati sono grandi aziende centenarie che portano il nostro made in Italy nel mondo, imprese globali che operano in Italia e tante pmi familiari.» ha affermato Paolo Barilla, che oltre a essere vicepresidente, insieme al fratello Luca, del gruppo Barilla è presidente di Unionfood. E ha concluso; “L’attività dell’associazione, inoltre, riassume tutte le esigenze delle industrie associate, player con prospettive differenti, ma con una unica strada comune: la cultura del cibo e del modello italiano. Il 70% dei prodotti agricoli nazionali viene acquistato e trasformato da Unionfood”. In poche parole: “siamo noi i leader del Made in italy” nella filiera. 

L’elezione di  Emanuele Orsini in Confindustria  li rinfranca e chiude una fase iniziata con le incomprensioni del 2020  quando la confederazione di via dell’Astronomia guidata da Carlo Bonomi aveva tirato le orecchie proprio alle industrie alimentari aderenti a Unionfood allora guidata da Marco Lavazza, sulla loro disponibilità a chiudere il precedente rinnovo del CCNL in contrasto con il “patto di fabbrica”. Era  quindi inevitabile che aspettassero il momento più propizio per lasciare la panchina dove erano stati confinati e provare a farsi sentire, alzando la voce. Toccherà al Governo gestire la querelle. Il rapporto tra l’esecutivo e Coldiretti è solido ma il Governo non ha interesse ad aprire un nuovo fronte con Confindustria. Lo stesso Presidente, Orsini,  non può, però, tirare troppo la corda. Ha bisogno di ricostruire rapidamente un’interlocuzione con il Governo. Oggi nessuna confederazione (salvo proprio Coldiretti sulle sue materie) può dettare l’agenda al Governo. Quindi la sortita di Unionfood, con Confagricoltura al seguito in evidente contrapposizione a Coldiretti, in  questo contesto politico rischia di trasformarsi in un autogol. Per questo  sarebbe auspicabile ricomporla.

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A Metà strada. Un libro da leggere di Silvio Moretti

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Quando l’amico Silvio Moretti, mi ha detto di aver scritto “A metà strada”, il suo primo libro, invitandomi a leggerlo confesso che mi ha un po’ spiazzato. Il pregiudizio mi ha portato a pensare alla “solita” autobiografia.  Sindacalisti e uomini d’azienda o di associazione arrivati ad una certa età sentono quasi il dovere di raccontarsi. Silvio poi l’ho conosciuto come esperto di relazioni sindacali. Lui in FIPE io, per un certo periodo, in Confcommercio. Anche l’ultimo rinnovo del CCNL, fresco di firma, lo ha visto protagonista.

L’ambiente associativo, per chi lo conosce,  è poi un po’ ministeriale. Non ti aspetti persone e iniziative fuori dagli schemi. Il titolo del libro (A metà strada), poi, mi portava a pensare a quella terra di mezzo dove, nei negoziati sindacali, ciascuno lascia le proprie certezze per comprendere quelle di chi gli sta di fronte. Dove si cerca nell’altro, nell’interlocutore, qualcosa che si sa che ci deve essere. E alla fine lo si trova. In fondo la soddisfazione di chi fa quel mestiere è tutta lì. Lontani, a volte troppo, ma quando ci si riesce, così vicini.  E non è affatto poco.  Quando ho capito che il libro trattava tutt’altre vicinanze, forse per cortesia nei suoi confronti o forse per curiosità gli ho garantito la lettura.

La quarta di copertina non lasciava dubbi sull’argomento. È la storia di un figlio e di un padre che non c’è più ma che, pur a suo modo, continua ad esserci. La storia di un legame che riesce a superare la morte. L’argomento non poteva lasciarmi indifferente. Ho spesso pensato come sarebbe stata la mia vita se non avessi perso, giovanissimo, mio padre. Tra l’altro anche lui molto giovane. Se l’avessi avuto con me quando ne avevo più bisogno. Se, nonostante la sua assenza, mi sarebbe piaciuto incontrarlo, almeno  una volta, per raccontargli cosa ho combinato della mia vita. E se lui, che la morte gli ha impedito di vedermi crescere, avesse voluto sentirselo raccontare.

Silvio nel suo libro racconta che, per i personaggi da lui creati con la delicatezza di cui è stato capace, tutto questo, in qualche modo, è stato possibile. Un incontro caratterizzato da sensazioni, vibrazioni, interlocuzioni che, pur evidentemente a senso unico, riescono a raggiungere il cuore dell’altro. Un padre assente nel rapporto con suo figlio, perché troppo concentrato su di sé da vivo, che si gode finalmente il figlio e la sua vita, anche se morto. E un figlio che ha la sensazione che i suoi monologhi con il padre quando è in affanno, per le vicissitudini della vita, in qualche modo raggiungano  il loro scopo.

Bastano poche pagine per entrare nella storia. Devo ammettere che ho letto il libro tutto di un fiato. E devo ringraziare Silvio per come è riuscito a raccontare una vita, quella del protagonista, riuscendo a restituire a ciascuno ciò che la morte in parte aveva loro tolto e al lettore un approccio delicato che tocca corde sensibili, dense di significato.

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