Nei prossimi giorni si parlerà molto dell’intesa sul contratto raggiunta tra la IG Metall e la Confindustria tedesca. Gli aumenti erogati sono senza dubbio significativi. Aumenti del 2,8% da luglio 2016, seguiti da un + 2% nel 2017, non passeranno inosservati. Tra i sindacalisti meno attenti prevarrà indubbiamente la voglia di “strumentalizzare” questo dato in chiave nostrana sorvolando sulle specificità delle relazioni industriali tedesche, sul ruolo e sul peso dei sindacati aziendali e, infine, sulla cultura collaborativa complessiva e quindi disposta a condividere i rischi, ma anche i vantaggi, dell’economia di mercato e dei suoi andamenti. Non è solo un problema di PIL, anche se un + 0,7% nel primo trimestre, qualcosa vorrà pur dire. È un problema complessivo che è però presente anche sul tavolo contrattuale di categoria. In parte (purtroppo solo in parte) affrontato da categorie come i chimici, gli alimentaristi e nel terziario che, guarda caso, il loro contratto lo hanno firmato da tempo. Così come, sarebbe ingiusto non sottolinearlo, è stato da tempo affrontato in Fiat prima e in FCA poi è, molto probabilmente, anche in decine di imprese metalmeccaniche (vedi Maserati) dove la cultura collaborativa non è affatto diversa dalle aziende di altri Paesi nostri concorrenti. Sostanzialmente il rinnovamento contrattuale proposto da Federmeccanica ha tre capisaldi: la ricchezza si può distribuire solo dopo averla creata, capitale e lavoro nella singola azienda sono in grado di confrontarsi su esigenze e opportunità molto meglio di quanto lo siano oggi imbrigliati in vincoli contrattuali costruiti nel secolo scorso e, infine, le risorse umane nel post fordismo ridiventano centrali così come tutti i meccanismi di valorizzazione e di relazione dentro e fuori dell’impresa. Su queste tre questioni andrebbero misurate le distanze tra Germania e Italia, non sugli aumenti salariali erogati in un Paese dove questi tre temi sono già stati affrontati e risolti già nel secolo scorso!! Pur avendo lavorato per anni in un’azienda tedesca, sono stato personalmente colpito dalla reazione unanime delle parti sociali sul caso Volkswagen quando, in occasione dell’assemblea nella sede centrale, il sindacato IG Metall (a Wolfsburg hanno oltre il 90% di iscritti) ha distribuito una maglietta con la scritta “un’azienda, una famiglia”. È immaginabile una cosa del genere in Italia? Io credo di no. Anch’io, come direttore risorse umane, non avrei “osato” proporlo ai nostri sindacati di categoria. È solo un esempio ma questa diffidenza contribuisce a mantenere quella distanza, quella insofferenza anche tra i nostri imprenditori che non si fidano di un possibile ruolo protagonista del sindacato italiano e che, se non affrontate e superate, lasciano il campo esclusivamente alla logica dei rapporti di forza oggi indubbiamente sfavorevoli alle organizzazioni dei lavoratori. Anche a quelli più disponibili a muoversi in direzioni meno difensive e conservatrici. Per questo la partita si gioca essenzialmente su questo punto. Se si registreranno passi in avanti (piccoli o grandi non importa) in questa direzione avremo una evoluzione del quadro complessivo positivo e costruttivo. Altrimenti avremo perso una buona occasione di avvicinarci, sul serio, alla Germania.