Alle riflessioni già fatte sullo stallo nel rinnovo del CCNL del terziario e della DMO (https://bit.ly/3tKwkhU) aggiungo altri elementi di approfondimento perché l’impasse attuale è anche figlia della stessa composizione delle delegazioni al tavolo negoziale. C’è un’evidente crisi di autorevolezza di entrambe le leadership nei confronti delle rispettive controparti. Nessuno riesce a convincere l’altro delle proprie buone ragioni poste da tempo al confronto.
Sul fronte datoriale lo stallo è evidente (il silenzio ad esempio del Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli dopo quattro anni di tira e molla è assordante). Confcommercio è ferma al palo come mai avvenuto in passato. Affidare la possibile mediazione finale alla Vice Presidente Donatella Prampolini, che ha la stessa flessibilità di una barra di tungsteno, chiarisce più di mille parole lo stato dell’arte. La stessa Federdistribuzione non sembra essere in grado di consolidare una logica di governo del comparto garantita solo dal CCNL. Cerca una specificità che li possa distinguere dalla fotocopia sostanziale del loro testo con quello di Confcommercio concordato a suo tempo, ben sapendo che le aziende associate si muovono autonomamente interpretandone i contenuti ciascuna a casa propria. È c’è pure chi applica tutt’altro. Troppo marcate le differenze e le esigenze tra singole insegne e formati distributivi.
Sul fronte sindacale, i cambiamenti avvenuti ai vertici dei sindacati di categoria dall’ultimo CCNL, scaduto nel 2019, non hanno ancora prodotto figure autorevoli in grado di avanzare sintesi accettabili. Ruolo fondamentale nei delicati passaggi che precedono la conclusione di un contratto nazionale. L’impressione è che ognuno guardi solo in casa propria, e mantenga una certa diffidenza, sulle possibili proposte di mediazione. Cosa peraltro sempre avvenuta. Aggiungo che, il ricorso alla piazza per imprimere una svolta al negoziato (https://bit.ly/3S9NcJ0), pur legittimo, rischia di inserirsi nelle dinamiche e nella competitività tra sindacati confederali che stanno montando su altri piani e di rendere ancora più difficile un possibile compromesso.
Le associazioni datoriali da parte loro continuano a sottovalutare il cambio di fase e il contesto economico e sociale. Nel comunicato di Confcommercio lo si percepisce quando si legge “….Per mantenere il livello di innovazione e di flessibilità che ha sempre caratterizzato il nostro contratto, abbiamo richiesto la revisione di alcune parti normative ormai desuete, dalla classificazione alle modalità di gestione dell’orario di lavoro in un’ ottica di produttività, nonché aggiornamenti in tema di stagionalità”. Richieste assolutamente legittime in un contesto ordinario o all’inizio di un percorso negoziale. Difficili da pretendere mentre intorno cresce la tensione sociale e dove due sindacati confederali dei tre seduti al tavolo stanno marciando dritti verso lo sciopero generale e i Cobas tentano di entrare in partita (https://bit.ly/3sfJvqO).
È sufficiente questo per capire che la fase non è affatto governata.
Condivido assolutamente che il contratto nazionale andrebbe riscritto in molte sue parti. Ma oggi non ci sono le condizioni per farlo. Oggi, al contrario, bisognerebbe provare a chiudere il più rapidamente possibile almeno sul salario. La centralità del CCNL come regolatore condiviso del rapporto di lavoro è stata nel tempo svuotata. Pur accettando di lavorare nei diversi rinnovi sulla produttività e sulla flessibilità come merce di scambio politico, il sindacato non è riuscito ad arginare le conseguenze di un aggiramento sostanziale sul piano normativo e quindi anche economico del CCNL stesso.
Tre temi per comprendere lo stato dell’arte e senza parlare della contrattazione “pirata”. Il lavoro festivo e domenicale, il franchising e le terziarizzazioni di attività a cominciare dalla logistica. Temi che, nel tempo, hanno ridefinito il cosiddetto perimetro dove il “lavoro povero” è diventato parte essenziale rendendo sostanzialmente inefficace il perimetro di tutela del Contratto nazionale. Rifiutandosi di affrontare le conseguenze di quei temi in termini di principio a livello nazionale ma subendoli di fatto, azienda per azienda, il sindacato di categoria ha, di fatto, subito la gestione unilaterale delle aziende sul lavoro. L’obsolescenza del CCNL sta tutta qui. È materia condivisa essenzialmente sul welfare e sui minimi contrattuali. Argomenti importanti per i lavoratori e per i ristori economici alle parti stipulanti ma lontani dalle necessità delle aziende che faticano a riconoscerne l’indispensabilità.
La flessibilità in entrata, consentita dalla legge, quella concordata e quella di fatto “pretesa” direttamente dai responsabili aziendali hanno ridisegnato ruoli e aspettative individuali. In alcune realtà resta la contrattazione aziendale ma spesso è eminentemente “restitutiva” nel senso che aggiunge flessibilità o contribuisce a ridurre i costi come contropartita alle richieste sindacali. La difficoltà al tavolo del rinnovo del contratto nazionale sta tutta qui. Il sindacato non ha quasi più nulla da dare perché buona parte di ciò di cui le aziende avevano bisogno se lo sono già preso. Le associazioni fingono di non rendersene conto e alzano il prezzo. E il sindacato, non avendo sciolto per tempo quelle ambiguità e pressato sul salario dai suoi associati, non ha più grandi spazi di manovra.
Qualche esempio. L’inquadramento professionale nella GDO è stato stravolto e schiacciato verso il basso negli anni. La maggioranza delle insegne lo “interpreta” in chiave aziendale. La necessità di tenere sotto controllo il costo del lavoro nei punti vendita ha reso piatti gli organigrammi dal punto di vista dell’inquadramento professionale, le continue riorganizzazioni tra formati, l’espansione delle reti sul territorio e l’attribuzione di compiti tra sede e periferia, non presenti in passato, hanno reso le aziende più caute nel riconoscere passaggi di livello se non inseriti in percorsi individuali di crescita. Il “diritto sancito dal testo” è stato sostituto dalla valutazione aziendale. Questo ha creato un dualismo nell’inquadramento tra vecchi e nuovi addetti e tra aziende che rispettano il testo alla lettera e chi lo interpreta a modo suo.
Infine il lavoro domenicale e festivo. Restare nel 2023 a difesa del bidone vuoto della contrarietà nascosta dietro il principio della volontarietà quando decine di migliaia di addetti si avvicendano nei punti vendita di tutte le insegne con i riposi (laddove ci sono) a scorrimento assomiglia più ad una reazione pavloviana che ad una convinzione profonda e non negoziabile. E questo impatta sugli orari di lavoro, sul part-time involontario, sugli straordinari e quindi sui modelli organizzativi. Mi fermo qui ma potrei continuare.
Ma è su queste e altre ambiguità che il contratto è finito su un binario morto. Capisco la necessità di parte datoriale di poter considerare il costo contrattuale come complessivo e non semplicemente limitato all’aumento della retribuzione, ma invito tutti a rendersi conto del particolare momento vissuto dai lavoratori il cui salario, deciso a livello nazionale, è scaduto nel 2019 e pure eroso dall’inflazione. E questo è decisamente troppo. Manca a quel tavolo la sensibilità necessaria. Gli elementi per chiudere il contratto ci sono tutti. Inutile girarci intorno. La decisione sindacale di chiamare la piazza è figlia di questa impasse nella quale anziché l’autorevolezza delle rispettive leadership ha prevalso il rimpallo delle responsabilità. Così facendo nessuna delle due parti però ci sta facendo una grande figura né con le aziende né con i lavoratori.
Può spiegare nel dettaglio quali sono le controproposte di Confcommercio e Confesercenti, per poter procedere al rinnovo del CCNL?
Ovunque leggo di 14a, scatti di anzianità, permessi non retribuiti, flessibilità oraria, ma nel dettaglio cosa significa?
Grazie
Non esiste alcuna richiesta scritta né di Confcommercio né di Confesercenti. È questo è ancora peggio perché genera solo confusione. Secondo la ricostruzione che ho potuto fare la richiesta di Confcommercio è di intervenire su alcuni costi determinati dal testo del CCNL che, a detta loro, sarebbero superati. Questo bilancerebbe il costo complessivo. Secondo i sindacati questi interventi ridurrebbero la copertura economica di alcuni istituti (14a, scatti anzianità, ecc.). È quindi modificherebbero il risultato economico finale. Dall’ultimo comunicato delle due confederazioni datoriali parrebbe che le richieste siano cadute. Vedremo. La mancanza di trasparenza sulla discussione in atto è un altro aspetto negativo di questo anomalo negoziato.