Quando rifletto sulle differenze tra le numerose centrali della GDO mi viene sempre in mente l’apologo di Peter Schultz delle tre persone al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il loro lavoro, le risposte furono diverse. “Spacco pietre” rispose il primo. “Mi guadagno da vivere” rispose il secondo. “Partecipo alla costruzione di una cattedrale” disse il terzo. Selex mi dà, più di altre, quest’ultima impressione. Più della somma di insegne senza un’anima comune si intravede l’idea di un’orchestra nella quale ognuno suona il suo strumento all’interno di una percepibile sinfonia precisa. Altrove non è sempre così.
Per quanto mi riguarda non ho mai avuto dubbi nell’ammettere che le due realtà che guidano la GDO italiana meritano entrambe il posto che occupano. Non è solo un problema di fatturati. Se ci si ferma lì non si comprende fino in fondo la differenza di Conad che a buon diritto si presenta come l’unica vera insegna nazionale né si riconosce a Selex la capacità di mettere a fattor comune il lavoro delle diciotto imprese che la compongono e farle sentire parte di un progetto molto più grande. In altre centrali è più facile riscontrare un sano quanto legittimo opportunismo tra insegne. Selex è diversa in questo. Per chiunque la osservi con un minimo di obiettività, non è solo una centrale. Certo, manca l’elemento unificante, agli occhi del consumatore e quindi parte dell’energia prodotta si scarica a terra. L’insegna Famila, la marca privata presente quasi ovunque nelle insegne aderenti e la pubblicità disegnano però un profilo e un’ambizione esplicita diverse da altre centrali pur altrettanto performanti se ci si limita alla somma dei fatturati.
Interessante è la conclusione a cui arriva GDONews, sulle ragioni del primato, individuata nella qualità dei soci. Personalmente non sottovaluterei il ruolo di coach e di spinta del management della centrale. Così come va sottolineato, nel caso di Conad, il ruolo del Consorzio. La domanda vera è se, le diciotto insegne così come le cinque cooperative di Conad sarebbero arrivate dove sono arrivate senza un “capovoga” con il compito di dettare il ritmo delle remate. Non è così dappertutto. Personalmente conosco più da vicino solo alcune di queste diciotto insegne. Seppure da fuori, si percepisce l’evidente ruolo di supporto a disposizione nei passaggi chiave del loro percorso imprenditoriale. Un ruolo non invadente, che mantiene la giusta distanza tra management di centrale e imprenditori, ma assolutamente efficace.
Il compito di un coach non è quello di sostituirsi al giocatore. Non ne ha né l’estro né l’intuito. Ne, in questo caso specifico, di metterci i soldi. Il compito è quello di aiutare i singoli imprenditori a dare il meglio possibile delle loro capacità. Venire dalla consulenza come nel caso di Maniele Tasca, aiuta ad interpretare quel ruolo perché si è allenati all’ascolto, alla valorizzazione delle specificità e al lavoro in team. Nell’intervista al Corriere due passaggi sono da sottolineare. Innanzitutto il metodo di lavoro. “La nostra — spiega Maniele Tasca, direttore generale di Selex —è un’alleanza tra imprenditori basata su un equilibrio in costante adeguamento tra autonomia e adattamento al territorio. Il tutto confrontandoci anche su strategie e ricerca di sinergie ed efficienza a livello di gruppo. Considerando l’eterogeneità del nostro Paese e il bisogno di scala dimensionale del nostro settore, questo modello ci consente flessibilità e velocità senza perdita di competitività”.
In secondo luogo la strategia e la conseguente messa a terra: «Il piano del gruppo per i prossimi anni è basato su investimenti e miglioramento di tutte le leve commerciali che consentono di aumentare la fedeltà dei clienti. Grazie a un investimento di 500 milioni di euro, si prevede l’apertura di 67 nuovi punti vendita, per circa 103 mila metri quadri. A questi si aggiungono le 114 unità con progetti di ristrutturazione che garantiranno ai clienti ambienti dotati dei più alti standard di sicurezza e tecnologie all’avanguardia. Punteremo prevalentemente sul formato supermercato, ma anche su superstore e cash&carry. Un fitto programma, che permette di migliorare ulteriormente i già ottimi risultati della rete commerciale del gruppo e di creare centinaia di posti di lavoro, nonché di raggiungere, per il 2025, un fatturato di 22 miliardi di euro (+4,3% rispetto al 2024)». Infine conclude Tasca, il giusto mix che contribuisce al successo. “Oltre la private label, i reparti freschissimi, i localismi, la qualità del personale e i prezzi convenienti completano gli ingredienti che le diverse insegne mixano con ricette differenti sul territorio”.
Per chi come me, osserva dall’esterno la competizione tra Selex e Conad, i cosiddetti “gemelli diversi” della GDO nostrana, coglie i due piani della sfida. La prima è sui fondamentali. Su questa Conad deve fare di più a livello di singole cooperative. Alcuni imprenditori di Selex, numeri alla mano, appaiono più determinati e motivati. L’altra sfida riguarda l’enorme potenziale dato dai milioni di clienti che entrano nei rispettivi punti vendita. Gestirne interessi e esigenze consente di disegnare i nuovi profili del business. E qui Conad, proprio per la forza dell’insegna, è indubbiamente più avanti. La GDO del futuro è omnichannel e multi servizi. Il cliente si fidelizzerà così. Ed è su questo che Selex (e altre centrali) si devono interrogare. La competizione futura non è con discount e concorrenti ma essenzialmente con sé stessi. Vincerà chi lo comprenderà per primo…