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Lo scontro non poteva che svolgersi a Philadelphia, la città di Rocky Balboa. Da una parte il sindacato UFCW Local 1776 e, dall’altra Whole Foods (Amazon). Nei panni del pugile  Rocky Balboa, Wendell Young IV presidente della United Food and Commercial Workers Local 1776 Keystone State. Il sindacato che rappresenta 35.000 membri provenienti da Pennsylvania, Ohio, New York e West Virginia dei supermercati, farmacie, stabilimenti di trasformazione alimentare, ecc. Non deve sfidare il campione Apollo Creed ma un altro peso massimo: Jason Buechel, CEO di Whole Foods e, da poco, Vice President of Amazon Worldwide Grocery Stores. Il primo round si è chiuso a favore di Young: 130 lavoratori a favore del sindacato. 100 contrari. Sembrava chiusa lì. Ma, secondo  Whole Foods il sindacato avrebbe fatto indebite pressioni sui dipendenti. Adesso inizia il secondo round.

La partita va ben oltre il punto vendita di Philadelphia. Per l’azienda, ad oggi,  è indubbiamente un danno di immagine enorme. Il caso di Starbucks con l’espansione a macchia d’olio della protesta preoccupa. È Amazon la vera posta in gioco e Philadelphia si presenta come l’anello debole. Entrambi i contendenti lo hanno capito benissimo.  I sindacati in quasi tutti i paesi  del mondo puntano lì. Amazon è la preda più ambita. È il prototipo della multinazionale americana dai mille tentacoli. È però uno dei grandi errori dei sindacati quello di scambiare Amazon per una classica multinazionale del novecento che sfrutta l’oltre milione  e mezzo di lavoratori che occupa.  È una visione miope e semplicistica.

È un riflesso condizionato che impedisce di comprendere i contorni, le potenzialità e le strategie dell’azienda. Amazon è quindi solo l’arci nemico. Per questo la presa nei confronti dei lavoratori è in gran parte così scarsa. L’azienda assume più di altre realtà, ha le sue politiche di gestione dei collaboratori in linea con le migliori realtà sul mercato. Certo il lavoro nei magazzini è pesante, probabilmente gestito da un “freddo algoritmo” ma non ha nulla a che vedere con le situazioni di sfruttamento che colpiscono realtà meno note o, come da noi, ad esempio, le cooperative spurie che spesso omettono di pagare contributi e il dovuto ai lavoratori e al Fisco. Whole Foods sa di giocarsi buona parte della sua credibilità sociale. Il profilo dell’azienda in termini di sostenibilità e quindi di clienti che la scelgono prevede un occhio attento anche al cliente interno. Per questo le dichiarazioni e le azioni di entrambe le parti preannunciano un grande lavoro di recupero interno ma anche per i rispettivi avvocati.

La reazione quindi non si è fatta attendere. Dopo aver rispettato le procedure previste dalla legge americana Whole Foods è passata al contrattacco. Ha denunciato pressioni sui dipendenti per convincerli a votare. Che  il sindacato, per invogliare all’iscrizione, abbia   promesso  un impossibile immediato aumento realizzabile dal giorno dopo. Ha infine  sostenuto che il sindacato avrebbe organizzato pullman per portare al voto lavoratori. Anche quelli che non avrebbero avuto alcuna intenzione  di partecipare. D’altra parte, centotrenta contro 100 presentano una realtà tutt’altro che compatta. Né il sindacato né l’azienda possono sottovalutarlo. I primi rischiano un  vittoria di Pirro. In altri termini di aver vinto una battaglia ma di perdere la guerra. Con quale rappresentatività reale pensano di potersi sedere all’eventuale tavolo negoziale con i lavoratori spaccati praticamente a metà? L’azienda, da parte sua, se non mette velocemente mano ai problemi sollevati, legati al modello organizzativo e all’impegno richiesto rischia un “effetto valanga” come è successo a Starbucks.

Negli USA, va detto,  c’è un atto una ripresa sindacale in più settori. Non tanto sul piano associativo (le iscrizioni restano sotto il 9%) quanto sul piano degli scioperi e  delle proteste. L’inflazione ha portato con sé il tema dell’insufficienza dei redditi. E questo trascina allo scoperto altri problemi importanti che trovano nelle richieste salariali un catalizzatore decisivo: qualità e quantità del lavoro, tensioni con i capi, disinteresse dei manager verso il cosiddetto “cliente interno”.  È un tema che presto arriverà anche da noi.

Oltreoceano le regole sono diverse rispetto alle nostre. Per poter entrare in un’azienda, il sindacato deve dimostrare di avere un consenso preventivo certificato da una votazione esercitata dentro regole dettate da un’agenzia governativa indipendente. La National Labour Relations Board (NLRB) ha  la responsabilità di far rispettare il diritto del lavoro statunitense in relazione alla contrattazione collettiva e la concorrenza sleale. Per questo, com’era  prevedibile,  lo scontro dialettico tra le parti  dopo la “vittoria” del Sindacato  non è destinato a placarsi. Il  Whole Foods Market a Philadelphia, per ora,  è quindi il primo dei negozi della catena a votare a favore della sindacalizzazione. (leggi qui).

Nel merito, Whole Foods accusa il sindacato UFCW Local 1776, di aver interferito sulle elezioni nel deposito di Philadelphia che ha sancito il diritto a negoziare del sindacato stesso.

Le accuse del retailer dopo il voto includono:

– L’assenza di un quorum richiesto da NLRB

– La NRLB avrebbe trattenuto Whole Foods “dal comunicare legalmente fatti, opinioni, esperienze e punti di vista sulla sindacalizzazione ai membri del suo team sul tempo retribuito nelle riunioni obbligatorie”

– il sindacato avrebbe promesso illegalmente un aumento di stipendio del 30% in vigore dal giorno dopo le elezioni se i lavoratori del negozio avessero votato a favore del sindacato per spingerli al voto

– l’UFCW avrebbe fornito illegalmente il trasporto gratuito ai dipendenti del magazzino il giorno delle elezioni

– l’UFCW avrebbe intimidito illegalmente i lavoratori che si sono espressi apertamente contro gli sforzi di sindacalizzazione.

Ovviamente l’UFCW Local 1776 afferma che qualsiasi accusa di cattiva condotta sindacale è infondata e replica che sarebbe stata Whole Foods a impegnarsi in operazioni di intimidazione, “arrivando persino a licenziare i membri del team per aver sostenuto il sindacato”. Ciascuno sta probabilmente tirando la coperta dalla sua parte. Per Jason Buechel, CEO di Whole Foods e, da poco, Vice President of Amazon Worldwide Grocery Stores è uno smacco pesante. La sindacalizzazione dei negozi fisici di Amazon comincia da un suo punto vendita. Credo che l’azienda farà  di tutto per recuperare la situazione. Ci riuscirà? Lo capiremo presto. Da Grocery Dive (l’articolo intero è sul blog)

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