Sindacato, lavoratori, consumatori e media

Dopo la stagione della Politica che insegue i sondaggi e gli stati d’animo della gente rischiamo di avere i sindacati che inseguono gli stati d’animo dei consumatori per interpretare o ottenere nuove relazioni industriali?

Tra l’altro Molte  aziende lo fanno già per conto loro e da tempo. Un brand importante comprende valori che vanno ben oltre la qualità di un prodotto o il suo prezzo.

Secondo il sociologo Renato Curcio i clienti di un supermercato sono, per definizione, avversari dei lavoratori quando, in fila alle casse, cercano di lasciare, il più velocemente possibile, il punto vendita. E si innervosiscono se la cassiera se la prende comoda perché, dopo un turno di lavoro pesante, si sente stanca.

Ad oggi le forme di boicottaggio in voga in altri Paesi soprattutto anglosassoni da noi sono sempre fallite. La stessa cosiddetta pubblicità negativa viene assorbita abbastanza agevolmente. Quando Barilla “scivolò” sul concetto di famiglia la tempesta mediatica durò pochi giorni.

L’articolo di Di Vico sul corriere riapre, però, la partita. A 360 gradi. Lo stesso professor Tiraboschi, il giorno clou dello sciopero Amazon aveva sostenuto che più che lo sciopero proclamato sarebbe stata la simpatia provocata nell’opinione pubblica a fare la differenza.

Ho obiettato allora e confermo oggi la mia obiezione. Che si tratti della Melegatti, del pastificio Rummo, di Amazon o di Ikea, la simpatia verso un impegno straordinario dei lavoratori o la denuncia di una scorrettezza di un’azienda nei confronti di un singolo lavoratore oggi trova largo sostegno nell’opinione pubblica e quindi nei media.

È però  sempre stato così. L’anno scorso la campagna mediatica e sindacale contro il lavoro festivo negli outlet ha avuto il suo epicentro a Serravalle. A distanza di un anno è arrivato un buon accordo. Non tanto sulle festività in sé che erano state l’argomento del contendere ma su come attutire le conseguenze sui lavoratori che continuano a prestare servizio nelle festività.

Tutto questo è stato ottenuto grazie alle polemiche di allora? Certo che no. Non appena il sindacato ha abbandonato in quel sito la battaglia su principi non negoziabili, la direzione dell’outlet si è dimostrata subito disponibile a trovare, insieme al sindacato, soluzioni sui posteggi, sulla mensa e sul locale asilo da mettere a disposizione delle lavoratrici.

Il sindacato continua ad essere contrario al lavoro festivo, i consumatori che solidarizzano con i dipendenti continuano a frequentare l’outlet nelle festività e, i lavoratori si presentano regolarmente nelle festività comandate. 

Sarà così anche per Amazon e Ikea? Certo che si. Le aziende pur attaccate mediaticamente spiegheranno al sindacato ciò che non ritengono negoziabile né in termini di disciplina aziendale né sul piano organizzativo e poi concorderanno soluzioni compatibili con il loro modello di business.

Il mio dubbio è che, in questo modo, non cambieranno le relazioni industriali. Anzi. Da un lato l’effetto mediatico coinvolgerà superficialmente milioni di persone per un certo periodo di tempo, dall’altro le parti consolideranno la reciproca convinzione che l’interlocutore che si trovano di fronte non è, per definizione, affidabile.

Inoltre, e questo non è da sottovalutare, la solidarietà che comprende i lavoratori spesso esclude il sindacato che, anzi, viene preso di mira proprio perché la mediazione finale non è quasi mai in linea con le aspettative iniziali condivise pur superficialmente dall’opinione pubblica.

Basterebbe leggere in rete le recenti polemiche alla Natuzzi tra lavoratori che rientrano oggi grazie all’accordo rispetto a quelli che sono usciti in forza di un accordo precedente. Il punto sta qui.

Nelle relazioni industriali del comparto manifatturiero, la sfida è sempre nel merito. Se la FIM o la Uilm avessero seguito l’opinione pubblica ai tempi di Fiat/FCA avrebbero forse avuto tanta solidarietà  ma alcuni stabilimenti sarebbero chiusi da tempo. Invece mentre alcuni dei loro sindacalisti  finivano sotto scorta, altri frequentavano salotti televisivi dove erano riveriti e ascoltati.

Se i chimici o gli alimentaristi si fossero fatti dettare i tempi e la linea sindacale dai COBAS, come a volte succede nella logistica o nei trasporti, probabilmente non ci sarebbero stati contratti innovativi come, ad esempio, quello realizzato dai metalmeccanici con Federmeccanica.

Le relazioni industriali se non si consolidano nel luogo di lavoro perdono comunque di significato e valore. Nel terziario, nei trasporti e nella logistica le problematiche sono rese più complesse perché il rapporto con i lavoratori impegnati in turnazioni, tipologie contrattuali, etnie, confini tra lavoro dipendente, cooperativo, autonomo sono difficili da portare a sintesi.

Ma non è più sufficiente bypassare il tema per raggiungere l’obiettivo. O occupare per mezza giornata un piazzale urlando slogan irripetibili senza dimenticare che l’avversione all’azienda e alla sua organizzazione produce una inaspettata solidarietà con una buona parte dei suoi dipendenti da non sottovalutare che si ribalta contro il sindacato stesso. Il fallimento dello sciopero all’IKEA è sotto gli occhi di tutti.

È indubbio che le aziende multinazionali hanno le loro compatibilità e i loro sistemi organizzativi. Confrontarsi con loro non è facile. Forse alcune materie più di carattere organizzativo dovranno trovare risposte a livello transnazionale, altre sicuramente a livello legislativo e contrattuale.

Ma il rapporto tra l’azienda con i lavoratori anche attraverso le rispettive rappresentanza è essenziale nel luogo di lavoro. Se manca quello non saranno le campagne mediatiche a cambiare le relazioni industriali di un settore o di un Paese.

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