Torino, il nord e lo specchio del Paese

Nel secondo capitolo di “Attraverso lo Specchio” Alice incontra la Regina Rossa che le dice:«Qui, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio!».

Dopo la manifestazione di Torino del “Partito del PIL” ho pensato immediatamente a Lewis Carroll. Il Nord si è rimesso in movimento. Stanco di non poter correre. Anzi. Di trovarsi con la retromarcia innestata e senza la possibilità di muoversi. E’ un segnale all’intero Paese. L’esatto contrario di una chiusura territoriale.

Una importante novità è che alla spontaneità degli imprenditori e dei professionisti torinesi non hanno fatto mancare il loro sostegno le grandi organizzazioni di rappresentanza. E’ un fatto significativo perché, pur alla ricerca di una nuova identità che le proietti verso un futuro comunque denso di incognite, la loro capacità di reazione dimostra che la sintonia con i rispettivi associati resta alta. Si è aperto un laboratorio di innovazione politica e sociale.

Ha ragione Dario Di Vico che ne rappresenta il suo principale ispiratore: ” il Partito del PIL è tale non perché si misura sul terreno elettorale o della propaganda ma perché recupera il meglio della nostra tradizione democratica laddove la rappresentanza è strumento per la risoluzione dei problemi.” E’, esso stesso, un’idea innovativa di rappresentanza. Travalica le vecchie forme associative novecentesche, costringe alla convergenza perché i problemi sono comuni, unisce e non divide per categorie.

Probabilmente (anzi certamente) non è un Partito e non è nemmeno confinabile al “solo” PIL. Anche se la definizione è azzeccata. E’ qualcosa di nuovo che ha in sé un modello economico e sociale che fa dell’innovazione nella competizione internazionale, della volontà di esserci  la sua cifra principale quindi è un movimento progressivo ma anche inclusivo.  Comprende le disuguaglianze che si creano, non ne è indifferente.  Ma non accetta di ossificarle, di renderle permanenti attraverso sussidi o indennizzi. Ma è anche l’esatto contrario del sovranismo egoista e autarchico nel quale si sono trovati, coinvolti, loro malgrado, molti di coloro che oggi convengono che è arrivato il momento di smarcarsi.

Vedere i dodici rappresentanti delle principali associazioni seduti allo stesso tavolo è un segnale forte. E’ vero, ciascuna delle associazioni presenti ha i suoi ritardi e le sue fragilità ma, insieme, hanno una voce più forte e in sintonia con le ansie e le volontà delle imprese e del lavoro.

Seguirà il tempo  per comprendere se anche la Politica, a livello  Paese, e pur nella competizione globale ritornerà ad essere anch’essa uno strumento per risolvere i problemi abbandonando dietro di sé usi e consuetudini del 900. Ma anche la vocazione allo scontro per lo scontro fine a se stesso che sembra caratterizzarla di questi tempi. Se la partecipazione dei cittadini saprà diventare sempre più assunzione e condivisione di responsabilità anche individuale. Se la comunità, pur con strumentazioni nuove, imparerà a distinguere le priorità non più in base a convenienze spicciole o di corto respiro ma all’interno di una visione comune dove nella competizione si vince o si perde insieme.

La Politica tradizionale, dal canto suo, ha ben capito che qualcosa di nuovo si sta mettendo in moto. I governatori del nord (Veneto e Lombardia) segnalano quotidianamente il rischio come buona parte del loro potenziale elettorato non sia interessato ad avventure sovraniste che rischiano di costare care.  Così come nel centro sinistra la sensibilità di molti amministratori, che, pur registrando un fermento nuovo,  cercano di interpretarlo ma non riescono ancora a metterlo a fattor comune.

Ma questa metamorfosi in corso non ha scadenze immediate. Una comunità si sta mettendo in cammino. Nella capacità di includere e non di escludere sta la sua forza e la sua credibilità.

Un dato però sembra certo. La borghesia del nord quella che si riconosce nel lavoro, nella sobrietà nei comportamenti sociali e nel sentirsi parte della comunità nazionale si è guardata negli occhi per la prima volta e ha preso atto della propria autorevolezza e della volontà di mettersi al servizio di qualcosa di più importante.

Non ha ancora la dimensione della sua forza e della sua capacità di interpretare collettivamente il futuro. Ha trovato però accanto a sé tutte le principali associazioni di rappresentanza che a differenza di altri Paesi, non vengono scavalcate o derise. E questo non è da sottovalutare.

E’ la capacità di “intermediare”, di contrastare la disintermediazione attraverso un lavoro paziente di ricostruzione di un tessuto sociale lacerato dalle fughe in avanti dell’uno vale uno. Per questo c’è posto per tutti.

La vera novità è che le reciproche debolezze non stanno mettendo piombo alle ali, non stanno trasformando in modeste gelosie organizzative fuori dal tempo i rapporti tra associazioni. Anzi. E non hanno fortunatamente  l’aria di esaurirsi in un ballon d’essai.

Carlo Sangalli, Presidente di Confcommercio, ha interpretato  correttamente il senso profondo di queste iniziative. Quello che è successo a Torino è ciò che inevitabilmente seguirà “rappresenta un’occasione per aprire un grande confronto pubblico sulle prospettive del nostro Paese. Mi sembra che ve ne sia davvero la necessità e l’urgenza.” 

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