Walmart ripensa all’Europa. E se cominciasse dal nostro Paese?

Noël Zierski, uno degli esperti della GDO mondiale che seguo con maggiore interesse ha avviato su LinkedIn una riflessione sulle possibili prospettive di Wamart. “Il rivenditore, numero 1 al mondo, è al top della sua crescita, i risultati del 3° trimestre 2024 mostrano indicatori in verde: Ricavi a +5,5% (169,6 miliardi di dollari nel trimestre) Utile netto a +8,2% E-commerce a +27% Retail media a +28% Un ROI molto alto del 15,1%! Il prezzo delle azioni è vicino ai 92 dollari, che è un massimo storico, che non si vedeva dal 1999. È aumentato del +200% in 10 anni”.

Dai legami con i ristoranti in negozio a un nuovo marchio del distributore, il retailer ha intensificato i suoi sforzi per distinguersi come destinazione gastronomica a 360°. Il formato Neighborhood Market by Walmart sta aggiungendo negozi e testando nuove sedi con offerte di generi alimentari ampliate. Questi e altri cambiamenti arrivano in un momento in cui il retailer sta intraprendendo un ambizioso piano di crescita quinquennale che include la costruzione o la conversione di oltre 150 sedi entro il 2029 e dopo aver ristrutturato un po’ meno di 700 negozi nel 2024. Per Walmart (e non solo) sono sempre più importanti le attività di complemento alle vendite tradizionali (la pubblicità, i servizi, la monetizzazione dei dati, ecc.). Tutte attività in evoluzione. E, sotto questo punto di vista, Walmart sta andando molto bene. Non solo sugli scaffali degli oltre 5200 negozi.

A Betonville  sanno benissimo che, se attaccati da discount e concorrenti, devono ampliare le loro aree di business e, la loro presenza nel mondo,  non limitarsi a difendersi nei loro negozi.  L’azienda dispone di una notevole potenza di fuoco: “Il debito netto di Walmart si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari per un EBITDA annuo di circa 40 miliardi di dollari, il che gli lascia molto spazio per aumentare il debito”. Zierski azzarda: la tentazione di provare a sbarcare di nuovo in Europa, a Betonville potrebbe essere molto forte.  Oggi più dell’80% del business è negli States. Il resto è in Messico, America Centrale, Canada, India  e Cina. Più recentemente, ha attaccato il mercato giapponese, senza successo.

La tentazione potrebbe esserci, almeno “sulla carta”, di studiare l’opportunità di acquistare reti internazionali, al fine di alimentare la propria crescita e ridurre la propria dipendenza dai soli USA. Se non si è scoraggiata di fronte ai suoi fallimenti e se, soprattutto,  gli sono serviti da lezione, Walmart potrebbe pensare all’Europa, che resta un grande mercato, piuttosto ricco nonostante le difficoltà economiche. Le opzioni, per Zierski, sarebbero solo  due. Francia e Regno Unito. Questo perché in Germania Walmart ha già provato nel 1997 ritirandosi  nel 2006. Sul Regno Unito, ho qualche dubbio. Nel 2021 Walmart ha ceduto Asda Group Limited (“Asda”) dopo 20 anni, ai fratelli Issa e TDR Capital una delle principali società di private equity con sede nel Regno Unito, per un valore aziendale di 6,8 miliardi di sterline. Asda è un rivenditore britannico fondato nel 1949 che serve circa 19 milioni di clienti a settimana e attualmente impiega più di 146.000 persone in tutto il Regno Unito. Ha un’offerta multiformato e omnicanale, che vende i suoi prodotti attraverso una rete di 584 negozi di alimentari, 18 stazioni di servizio autonome e 33 negozi Asda Living e anche online. E ha un portafoglio immobiliare significativo. Perché cederla per poi rientrare poco tempo dopo?

Quindi, secondo  Zierski, Walmart potrebbe guardare con interesse alla Francia. Per lui è un potenziale grande mercato, i cui distributori hanno guadagnato una buona reputazione a livello internazionale negli anni ’90 e 2000. L’elenco è lungo. In realtà, credo che, se potesse, punterebbe le sue fiches su Carrefour. Un target interessante che, come abbiamo visto nel caso di Couche Tard, poco fattibile per ragioni politiche. Aggiungo che in questo momento sembra manchi in Francia la lucidità necessaria per concludere operazioni di queste dimensioni. L’altra opzione riguarderebbe insegne  minori che, essendo PMI, non rientrano nelle possibilità di blocco. Fino a qui le riflessioni di Noël Zierski.

Aggiungo i miei più modesti rumors. Non credo che le porte di accesso individuate siano le uniche possibili. Soprattutto in un contesto che vede Regno Unito, Francia e Germania attraversate da evidenti difficoltà sul piano politico e sociale. Non è così per il nostro Paese. Almeno in termini di stabilità e di prospettive. Come ha sottolineato Federico Guiglia su Startmag: L’America è il nostro principale alleato politico, strategico e militare d’Oltreoceano e l’interscambio commerciale fra i due Paesi supera i 92 miliardi di euro all’anno (con un saldo a nostro favore di ben 42 miliardi, cioè esportiamo molto più di quanti importiamo). Quasi venti milioni di americani d’origine italiana rappresentano il ponte naturale fra l’Atlantico e il Mediterraneo, oltre che il quarto gruppo etnico negli Usa. E mai come quest’anno la presenza di turisti americani ha conosciuto un boom in Italia, a suggello di un amore reciproco, se si pensa a quanti italiani per lavoro, studi o passione hanno a loro volta “trovato l’America”.

Per queste ragioni credo che sul tavolo di Doug McMillon, CEO di  Walmart, Kathryn McLay,  responsabile della divisione internazionale, ci abbia messo anche qualche nostra realtà. Se dovessi scommettere un caffè non mi meraviglierei per nulla se tra i più considerati  ci fosse proprio il dossier Esselunga che ciclicamente si ripropone sul tavolo dei principali fondi di investimento. Giuliana Albera sa che non ha di fronte a sé troppo tempo per decidere una cessione alle condizioni migliori e mai come in questo momento un interlocutore USA sarebbe altrettanto gradito dal nostro Governo. Nello stesso tempo Walmart entrerebbe in un importante Paese Europeo in grado di offrire le condizioni migliori di insediamento per molti anni a venire. Da noi i livelli di concentrazione in GDO sono ancora relativamente bassi e, spesso, costruiti sulla capacità tattica di singoli manager o imprenditori più che su una strategia Paese.

Se togliamo i discount tedeschi che Walmart tra l’altro conosce bene, non ci sono insegne, centrali o realtà multi regionali in grado di costruire muri invalicabili al suo insediamento. Ed Esselunga è già ben posizionata nel gruppo di testa. Certo, quest’ultima non è l’unica potabile. Ma la dote che porterebbe al gigante di Betonville è di grande qualità e prospettiva. Non è un caso che anche Amazon guardi con interesse al potenziale offerto dal nostro Paese nel campo del food e alla fragilità del comparto nel suo insieme per costruire una testa di  ponte importante.

È vero, il nostro non è un mercato facile. Altri player sono venuti e se ne sono andati con la coda tra le gambe. Ma i vincoli che hanno imbrigliato l’ingresso e lo sviluppo delle multinazionali sono gli stessi che, di fatto,  ne impediscono l’evoluzione.  Vedremo presto se questa sarà la volta buona.

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